Oltre i premi e i riconoscimenti: i giornalisti di Gaza sono i migliori al mondo

“Come Umanità, abbiamo un enorme debito nei confronti del loro coraggio e del loro impegno per la libertà di espressione”

Fonte: English version

Di Ramzy Baroud – 13 maggio 2024Immagine di copertina:  Una cerimonia funebre per il corrispondente televisivo palestinese Mohammed Abu Hatab, ucciso, insieme ai suoi familiari, in un attacco aereo sulla sua casa a Khan Yunis, Gaza, il 3 novembre 2023 (Abed Zagout – Anadolu Agency)

Assegnando il Premio Mondiale per la Libertà di Stampa 2024 ai giornalisti palestinesi che si occupano della guerra israeliana a Gaza, l’UNESCO ha riconosciuto una verità storica.

Anche se la decisione di nominare i giornalisti di Gaza come vincitori del suo prestigioso Premio è stata in parte motivata dal coraggio di questi giornalisti, la verità è che nessuno al mondo meritava un riconoscimento simile come quelli che si sono occupati della Guerra Genocida a Gaza.

“Come Umanità, abbiamo un enorme debito nei confronti del loro coraggio e del loro impegno per la libertà di espressione”, ha dichiarato Mauricio Weibel, presidente della giuria internazionale dei professionisti dei media, che ha raccomandato il Premio, descrivendo sinceramente il coraggio dei giornalisti di Gaza.

Il coraggio è una qualità ammirevole, soprattutto quando molti giornalisti a Gaza sapevano che Israele stava cercando di ucciderli, spesso insieme alle loro famiglie, per garantire che l’orrore della guerra rimanesse nascosto alla vista, nel peggiore dei casi, o contestato come se fosse una questione di opinione, nella migliore delle ipotesi.

Tra il 7 ottobre 2023 e l’11 maggio 2024, 143 giornalisti palestinesi a Gaza sono stati uccisi da Israele. È superiore al numero totale di giornalisti uccisi nella Seconda Guerra Mondiale e nelle guerre del Vietnam messe insieme.

Questo numero non include molti blogger, intellettuali e scrittori che non avevano credenziali mediatiche professionali, ed esclude anche i numerosi familiari che spesso venivano uccisi insieme ai giornalisti presi di mira.

Ma nei giornalisti di Gaza c’è altro oltre al coraggio.

Ogni volta che Israele lancia una guerra a Gaza, quasi sempre nega l’accesso nella Striscia ai professionisti dei media internazionali. Questa strategia mira a garantire che la storia dei Crimini che l’esercito israeliano sta per commettere non venga denunciata.

La strategia ha dato i suoi frutti nella cosiddetta operazione Piombo Fuso nel 2008-2009. La reale portata delle atrocità commesse a Gaza durante quella guerra, che provocò l’uccisione di oltre 1.400 palestinesi, era ampiamente nota alla fine della guerra. A quel punto, Israele aveva concluso la sua importante Operazione Militare, e i principali media occidentali avevano fatto uno splendido lavoro assicurando il predominio di Israele nel dibattito politico riguardo alla guerra.

Il comportamento di Israele da quella guerra è rimasto immutato: escludere i giornalisti internazionali, imporre un ordine di silenzio ai giornalisti israeliani e uccidere i giornalisti palestinesi che hanno osato documentare la storia.

La guerra contro Gaza dell’agosto 2014 è stata una delle più sanguinose per i giornalisti. Durò 18 giorni e costò la vita a 17 giornalisti. I giornalisti palestinesi, tuttavia, sono rimasti fedeli al loro impegno. Quando ne cadeva uno, dieci sembravano prenderne il posto.

La Palestina Occupata è sempre stata uno dei luoghi più pericolosi in cui lavorare come giornalista. L’Unione dei Giornalisti Palestinesi ha riferito che tra il 2000, l’inizio della Seconda Rivolta Palestinese, e l’11 maggio 2022, il giorno dell’omicidio israeliano dell’iconica giornalista palestinese, Shireen Abu Akleh, 55 giornalisti sono stati uccisi per mano dell’esercito israeliano.

Il numero potrebbe non sembrare troppo alto se paragonato all’ultimo assalto a Gaza, ma, per gli standard internazionali, è stata una cifra terrificante, basata su una logica altrettanto inquietante: uccidere il narratore come il modo più rapido per uccidere la storia stessa.

Per decenni Israele, una Potenza Occupante, è riuscita a presentarsi come una vittima in stato di autodifesa. Senza alcuna voce critica nei media convenzionali, molti in tutto il mondo hanno creduto al pretesto ingannevole di Israele su terrorismo, sicurezza e autodifesa.

L’unico ostacolo che si frappone tra la verità reale e la versione della verità architettata da Israele sono i giornalisti onesti, da qui la guerra in corso contro i media.

Ciò che Israele non aveva previsto, tuttavia, è che bloccando l’accesso dei media internazionali a Gaza, avrebbe inavvertitamente consentito ai giornalisti palestinesi di farsi carico della propria narrativa.

“Le interpretazioni dipendono molto da chi è l’interprete, a chi si rivolge, qual è il suo scopo e in quale momento storico avviene l’interpretazione”, scrisse l’intellettuale palestinese, Edward Said, in “Covering Islam” (Parlare dell’Islam).

Come ogni altra forma di interpretazione intellettuale, il giornalismo è soggetto alla stessa regola di posizionalità in ambito accademico, come nel rapporto tra l’identità del ricercatore e il contesto sociale o politico dell’argomento.

I giornalisti palestinesi a Gaza sono essi stessi la storia e i narratori. Il loro successo o fallimento nel trasmettere la storia con tutti i suoi dettagli fattuali ed emotivi potrebbe fare la differenza tra la continuazione o la fine del Genocidio israeliano.

Sebbene la guerra sia ancora in corso, i giornalisti di Gaza hanno già dimostrato di meritare tutti gli onori e i riconoscimenti, non solo per il loro coraggio, ma per ciò che realmente sappiamo della guerra, nonostante i numerosi e apparentemente insormontabili ostacoli creati da Israele e dai suoi alleati.

La maggior parte delle persone in tutto il mondo vuole che la guerra finisca. Ma come hanno acquisito le informazioni necessarie per rendersi conto della portata dell’orrore a Gaza? Certamente non attraverso i servili sostenitori israeliani nei media convenzionali, ma attraverso i giornalisti palestinesi sul campo che stanno usando ogni mezzo e ogni canale a loro disposizione per raccontare la storia.

Questi giornalisti includono giovani autodidatti, come Lama Jamous, 9 anni, che indossando un giubbotto stampa trasmetteva i dettagli della vita nei campi per sfollati nel Sud di Gaza, riferendo dall’Ospedale Nasser e da molti altri luoghi con compostezza e distinzione.

Per quanto riguarda l’esattezza delle informazioni fornite da questi giornalisti, essi erano certamente abbastanza professionali da essere verificati da numerosi gruppi per i diritti umani, associazioni mediche e legali e da milioni di persone in tutto il mondo che hanno utilizzato le loro testimonianze per costruire un caso contro la guerra israeliana. Infatti, tutto ciò che sappiamo della guerra: il bilancio delle vittime, il grado di distruzione, la sofferenza umana quotidiana, le fosse comuni, la carestia e molto altro, è possibile grazie a questi giornalisti di Gaza.

Il successo e i sacrifici dei giornalisti di Gaza dovrebbero servire da modello per i giornalisti e il giornalismo di tutto il mondo, come un esempio di come dovrebbero essere trasmesse le notizie sui Crimini di Guerra, sugli assedi e sulla sofferenza umana in tutte le sue forme.

Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Ramzy Baroud è un ricercatore senior non di ruolo presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), dell’Università Zaim di Istanbul (IZU).

Traduzione di Beniamino Rocchetto -Invictapalestina.org