Gli artisti palestinesi lanciano una piattaforma globale per la Resistenza e la creatività

Il Consorzio degli Artisti Palestinesi è più di un luogo per vedere e acquistare arte, è una finestra sulla Palestina.

Fonte: English version

Di Steve France – 9 giugno 2024

Immagine di copertina: Il campo profughi di Alaa Albaba

Alcune persone potrebbero supporre che il 2024 sia stato un brutto anno per Ahmed Hmeedat per lanciare il Consorzio degli Artisti Palestinesi. La nuova impresa è un “luogo virtuale” per vedere l’arte e incontrare artisti in Palestina e, se lo si vuole, acquistare le loro opere. Ma chi può pensare all’arte, tanto meno comprarla, mentre il Genocidio apocalittico dello Stato israeliano accelera la cancellazione fisica della Palestina e dei palestinesi? Come potrebbe la coscienza degli amici della Palestina permettere loro di acquistare opere d’arte invece di donare tutto ciò che possono per aiutare milioni di vittime e opporsi alla complicità degli Stati Uniti?

Ma non dimentichiamo che l’arte suscita sentimenti profondi che collegano la nostra immaginazione alla vita di altri lontani nel tempo, nello spazio e nella cultura. In questo caso, l’arte è una forte controspinta al continuo sforzo di disumanizzare i palestinesi da parte di Israele e del suo fedele alleato, gli Stati Uniti.

Yusuf Abudi, un palestinese americano, la pensa così, e ora è parte del progetto del Consorzio, che Hmeedat ha avviato con lo sviluppatore web creativo Elias Amro.

Consideriamo l’impatto dell’arte dell’artista del Consorzio Alaa Albaba, residente nel campo profughi di Al Amari a Ramallah-Al Bireh, che anche prima dell’attuale guerra subiva spesso incursioni mortali da parte delle Forze di Occupazione Israeliane. Nelle foto, il campo si presenta come un labirinto angusto e impoverito di vicoli e residenze squallide, intessute di cavi elettrici sospesi. Nei dipinti di Albaba, però, vediamo qualcos’altro, come in quello qui riportato.

Il campo profughi di Alaa Albaba

Il campo è affollato, sì, impoverito, senza dubbio, ma pieno di vita, speranza e gioia umana, che sentiamo nel calore dei colori espressivi e nel modo in cui si elevano verso il cielo come un banco di nuvole di palloncini quadrati. Sembrano sogni e aspirazioni che nascono dalle residenze rettangolari sul terreno e dai loro abitanti. Intellettualmente sapevamo già che anche nello squallore dei campi esiste la vita, l’amore e i momenti di felicità. Ma le immagini vertiginose di Albaba fanno sentire a casa dalla loro prospettiva. L’idea che i campi non ospitino altro che rabbia e risentimento viene spazzata via da un vivido senso della vita interiore delle persone, e della nostra comune Umanità.

Gli artisti fotografici trovano anche il modo di descrivere scorci dolci-amari della verità umana negli intimi meandri delle nostre menti. Rehaf Al-Batniji di Gaza Città si concentra sulla “strada”, che a Gaza comprende chilometri di splendide spiagge. Compone immagini di colore, luce, forma umana e dettagli visivi accattivanti che trasmettono l’incontenibile bellezza della vita a Gaza prima di ottobre e il profondo attaccamento della gente a quel luogo. “Uso la mia arte per ricercare la realtà”, ha detto in un recente seminario via web del Consorzio, come mostrano due delle sue opere:

: In una terra dove il sangue della rosa è un martire, e il sangue della martire è una rosa di Rehaf Al Batniji​

Come artista, Hmeedat ritrae una vasta gamma di soggetti in molti media. I suoi dipinti sono spesso spiritosi e fantasiosi come in “The Trial II” (Il Processo):

L’immagine cattura l’immaginazione. Ecco la tranquilla e deliberata amministrazione della giustizia, con il sole della bella Palestina che si riversa nell’aula solenne del tribunale, riscaldando i pilastri del Diritto Internazionale Umanitario e dando immediatezza alla sua applicazione imperativa ma spesso apparentemente impossibile in Israele-Palestina. (Il dipinto è esposto alla Chiesa Battista di Ravensworth ad Annandale, in Virginia.)

In un altro dipinto, Hmeedat raffigura lo spirito di Resistenza in modo originale: una tavola di legno, un grande martello, e un vivace mazzetto di chiodi che danzano con successo lontano dai colpi. Estremamente fantasiosa, questa immagine induce a pensare, sperare e persino credere che l’arco della giustizia si piegherà verso la causa palestinese.

Infatti, creando il Consorzio, Hmeedat offre agli artisti membri un modo positivo per liberarsi dal martello dell’Occupazione su quella che lui chiama “una piattaforma globale gratuita per gli artisti palestinesi per mostrare professionalmente le loro opere d’arte e fare rete, mettere insieme idee, e vendere le loro opere d’arte a persone che sono desiderosi di ottenere pezzi autentici”. Attraverso i seminari web i membri si collegano direttamente con altri artisti, con il mondo dell’arte internazionale e con il pubblico palestinese.

A soli pochi mesi dal suo lancio, la piattaforma sta già ricevendo attenzione e sancendo collaborazioni con professionisti dell’arte negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Altri artisti palestinesi stanno pensando di aderire al progetto.

Il Consorzio non ha criteri specifici per la scelta dell’arte e degli artisti. “Non vogliamo limitare la loro creatività o restringere la gamma di opere d’arte a disposizione di visitatori e acquirenti”, afferma Hmeedat. “Cerchiamo artisti desiderosi di mostrare le loro opere d’arte, che producono costantemente, sia a tempo pieno che part-time”. L’elemento di Resistenza può essere più o meno evidente nel lavoro, ma è sempre lì, radicato nella vita di tutti gli artisti palestinesi. “Il semplice fatto di fare arte è Resistenza perché riguarda intrinsecamente la dignità umana e la prosperità”, afferma Yusuf Abudi.

Il logo del Consorzio è una rappresentazione dell’Aquila Reale palestinese, una specie in via di estinzione, di cui ne rimane solo due esemplari. (Notare il colore dell’occhio lungimirante dell’aquila, che ammicca al frutto vivificante degli uliveti della Palestina.)

“La nostra identità nazionale è essenziale per il progetto”, spiega Hmeedat. “Ispira in noi un senso di sforzo e possibilità collettivi”. Vuole che la piattaforma sia degli artisti e che questi appartengano al Consorzio. Pertanto, i membri sono invitati a contribuire per aiutare a far crescere il progetto. Un membro sta creando una collezione di manifesti; un altro ha accettato di gestire le operazioni sui social media del Consorzio. “Abbiamo lo slancio e le vibrazioni sono buone”, dice.

Oltre a tutto ciò, il Consorzio si propone di utilizzare la sua finestra artistica sulle realtà palestinesi, visibili e invisibili, per rendere i palestinesi orgogliosi dei loro artisti, e come potente strumento di solidarietà. Tolstoj scriveva che l’arte è “un mezzo di unione tra gli uomini, unendoli insieme negli stessi sentimenti, ed è indispensabile per la vita e il progresso verso il benessere degli individui e dell’Umanità”. Questo non è mai stato più vero, o più importante, che nel caso dell’arte palestinese.

Steve France è un giornalista e avvocato in pensione della zona di Washington. Attivista per i diritti dei palestinesi, è affiliato alla rete Fraternità Episcopale per la Pace in Palestina-Israele e ad altri gruppi cristiani di solidarietà palestinese.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org