La crescente censura mediatica israeliana sulla guerra di Gaza

Crescono le preoccupazioni su come la cosiddetta “Legge Al Jazeera” possa essere utilizzata per vietare qualsiasi media straniero che operi in Israele nel mezzo della sua brutale guerra.

Fonte: English version

Di Alessandra Bajec – 29 maggio 2024

La settimana scorsa, il governo israeliano ha restituito le apparecchiature di trasmissione che aveva sequestrato dall’Associated Press (AP) al confine della Striscia di Gaza, dove un collegamento in diretta mostrava filmati della guerra di Israele sul territorio assediato.

Il governo israeliano ha agito contro l’agenzia di stampa dopo averla accusata di violare una nuova legge sui media, fornendo immagini al canale di notizie con sede in Qatar Al Jazeera.

“Il sequestro non era basato sul contenuto dei filmati, ma piuttosto è stato un uso abusivo da parte del governo israeliano della nuova legge sulle emittenti straniere”, si legge in una dichiarazione di AP.

L’agenzia ha sottolineato di aver rispettato le regole di censura militare israeliane che vietano la trasmissione di dettagli come i movimenti delle truppe che potrebbero mettere in pericolo i soldati.

Il Ministro delle Comunicazioni israeliano ha successivamente annullato l’ordine di confisca in seguito alle continue critiche da parte dall’amministrazione Biden e delle organizzazioni giornalistiche internazionali.

La legge repressiva sui media di Israele

Nonostante la restituzione delle apparecchiature, l’episodio ha sollevato timori tra gli enti radiotelevisivi stranieri che operano in Israele circa la possibilità di essere presi di mira per presunto danno alla sicurezza del Paese ai sensi della restrittiva legge sui nuovi media.

All’inizio di aprile, il Parlamento israeliano ha approvato una legge radicale che consente agli alti funzionari governativi di chiudere temporaneamente le testate giornalistiche straniere in territorio israeliano percepite come una minaccia alla sicurezza nazionale per un periodo di 45 giorni, che può essere rinnovato.

Il nuovo disegno di legge resterà in vigore fino a luglio, alla fine della dichiarazione di una situazione speciale sul fronte interno, o fino alla conclusione di importanti operazioni militari a Gaza.

All’inizio di questo mese, le autorità israeliane hanno utilizzato la legge per chiudere gli uffici di Al Jazeera, confiscandone le attrezzature, bloccandone i siti web e vietandone le trasmissioni. È stata la prima volta che i parlamentari israeliani hanno votato per chiudere unilateralmente le attività di un’entità mediatica straniera nel Paese.

“È molto chiaro che stanno cercando di eliminare le voci critiche delle reti di notizie che sono in grado di riferire su come si sta svolgendo il conflitto”, ha detto Inge Snip, che dirige la redazione della Coalizione Per Le Donne Nel Giornalismo (Coalition For Women In Journalism – CFWIJ).

Negare ai media internazionali la possibilità di operare liberamente in Israele rappresenta un “pericolo” per l’integrità dell’informazione. “Se adesso si crea un vuoto d’informazione, ciò viola il diritto delle persone dentro e fuori Israele di sapere cosa sta succedendo”, ha sottolineato il caporedattore, aggiungendo che il diritto all’informazione è già leso dal momento che Israele non concede alcun accesso indipendente alla stampa straniera a Gaza.

La nuova legislazione è ampiamente definita “Legge Al Jazeera” poiché è stata fondamentalmente progettata per impedire alla rete di notizie del Qatar di trasmettere da Israele. Al Jazeera, che in Israele era percepita come ostile anche prima della guerra, è una delle pochissime emittenti internazionali a fornire un resoconto approfondito della brutale offensiva militare a Gaza.

Durante la guerra, diversi giornalisti di Al Jazeera, insieme ai loro familiari, sono stati uccisi dai bombardamenti israeliani, secondo l’emittente. Hamza Al Dahdouh, giornalista e operatore televisivo di Al-Jazeera, che era anche il figlio maggiore del capo dell’ufficio di Gaza di Al Jazeera Wael Dahdouh, è stato ucciso da un attacco israeliano a Rafah all’inizio di gennaio.

Foto: Più di tre quarti dei giornalisti e degli operatori dei media uccisi in tutto il mondo nel 2023 sono morti a Gaza. (Getty)

Wael Dahdouh aveva già perso la moglie, il figlio, la figlia, il nipote e almeno altri otto parenti durante gli attacchi aerei nel campo profughi di Nuseirat il 25 ottobre. Il cameraman di Al Jazeera Samer Abudaqa, nel frattempo, è stato ucciso in un attacco di droni israeliani a Khan Younis il 15 dicembre.

All’inizio del 2022, la famosa giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh è stata uccisa mentre stava documentando un’incursione militare israeliana nella città Occupata di Jenin, in Cisgiordania.

“A prima vista, è tutto molto preoccupante. La legge consente di mettere fuorilegge i media stranieri con una definizione molto ampia di danno alla sicurezza nazionale”, ha detto Haggai Matar, giornalista israeliano e direttore esecutivo della rivista +972 Magazine. “Ci sono infinite possibilità lì”, ha continuato, mettendo in guardia da un’interpretazione ampia del danno alla sicurezza di Israele che potrebbe comportare rischi per la reputazione del Paese all’estero o danneggiare le sue relazioni estere.

Snip ha sostenuto che l’ordine di Israele di interrompere la trasmissione in diretta di AP da Gaza rivela fino a che punto le autorità del Paese possono spingersi nel decidere cosa si ritiene minacci la sicurezza nazionale. “L’episodio AP mostra il margine di manovra che questa legge offre ai funzionari del governo israeliano nel reprimere le voci dissenzienti”, ha detto il capo della redazione del CFWIJ.

Ridurre la copertura di Gaza

I media hanno espresso preoccupazione per le implicazioni della legge sulla libertà di stampa nel Paese e sulla copertura mediatica internazionale della guerra a Gaza.

“Sotto questo governo abbiamo assistito a una tendenza nei tentativi di limitare la libertà di stampa, un picco davvero significativo nell’intervento della censura militare”, ha commentato il direttore di +972 Magazine. Nel 2023, la censura militare israeliana ha vietato la pubblicazione di 613 articoli da parte dei media israeliani, sulla base dei dati raccolti dalla rivista, il numero più alto di articoli vietati dalla censura in oltre un decennio. Lo scorso anno ha inoltre censurato parti di altri 2.703 articoli.

L’approvazione della legge sui media, con i maggiori vincoli che comporta per il lavoro giornalistico di organi di informazione come Al Jazeera e AP, arriva a quasi otto mesi dall’inizio della guerra in corso a Gaza, nel mezzo del divieto quasi totale da parte di Israele ai giornalisti internazionali di riferire dall’enclave assediata, minando ulteriormente la libertà di stampa in un ambiente mediatico già restrittivo.

Ciò avviene anche dopo che il gabinetto di sicurezza israeliano a novembre ha approvato la decisione di bloccare la televisione libanese Al-Mayadeen in Israele.

Nello stesso mese, la Knesset (Parlamento) israeliana ha adottato un emendamento alla legge antiterrorismo del Paese introducendo un nuovo reato chiamato “consumo di materiali terroristici”. Il disegno di legge ha sollevato timori tra i gruppi per i diritti umani poiché i suoi termini generali potrebbero essere potenzialmente utilizzati per perseguitare i giornalisti che fanno affidamento su informazioni provenienti da fonti designate come “terroristiche” da Israele.

Dal punto di vista di Matar, la legge sulle emittenti straniere recentemente adottata dovrebbe essere interpretata come un modo per il governo di Netanyahu di “placare” la sua base di destra dimostrando che sta perseguendo i media critici, in particolare Al Jazeera.  D’altra parte, è anche motivato dalla preoccupazione del governo di “controllare” le notizie a cui il pubblico israeliano può accedere sulla guerra a Gaza.

Il giornalista, che è anche membro del Consiglio dell’Unione dei Giornalisti in Israele, ritiene che il “continuo rifiuto” di Israele di consentire ai media internazionali l’ingresso a Gaza, insieme al suo tentativo di “screditare” il lavoro dei giornalisti palestinesi, incidano chiaramente sulla copertura della guerra.

Mentre il governo israeliano si è mosso per attuare un ordine di chiusura delle reti mediatiche straniere, i giornalisti palestinesi, compresi quelli che lavorano per le poche agenzie di stampa internazionali ancora operative a Gaza, vengono uccisi da Israele a un ritmo record.

Si stima che dall’inizio della guerra circa 107 giornalisti e operatori dei media siano stati uccisi da Israele a Gaza. (Getty)

Si stima che dall’inizio della guerra siano stati uccisi 107 giornalisti e operatori dei media, secondo il conteggio più recente del Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ), rendendolo il periodo più mortale per i giornalisti da quando il CPJ ha iniziato a raccogliere dati nel 1992.

Mentre i giornalisti a Gaza corrono un rischio particolarmente elevato poiché cercano di coprire il conflitto durante le operazioni militari israeliane, anche i giornalisti palestinesi nella Cisgiordania Occupata hanno subito molestie sistematiche da parte dell’esercito israeliano dall’inizio della guerra a Gaza.

I giornalisti palestinesi continuano ad essere arrestati, spesso senza accusa. La Federazione Internazionale dei Giornalisti afferma che 76 giornalisti palestinesi o operatori dei media sono stati detenuti dalle forze di sicurezza israeliane nella Cisgiordania Occupata e a Gaza dall’inizio della guerra, di cui 50 ancora in carcere.

Inoltre, in Israele e nei Territori Palestinesi Occupati sono stati segnalati numerosi episodi di giornalisti aggrediti, minacciati e intimiditi nel mezzo di una censura senza precedenti.

L’editrice di CFWIJ ha osservato che per decenni le autorità israeliane, secondo la legge militare, hanno arrestato e tenuto giornalisti palestinesi in detenzione indefinita, spesso senza accusa o processo.

Ma il livello di censura e repressione dei media, sia palestinesi che internazionali e, in futuro, potenzialmente israeliani, non serve solo a nascondere gli orrori della guerra di Gaza. Costituisce inoltre un preoccupante precedente per il futuro delle libertà civili e politiche.

Alessandra Bajec è una giornalista indipendente attualmente residente a Tunisi.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org