I palestinesi vengono uccisi non perché i soldati israeliani disobbediscono agli ordini ma perché li eseguono.

L’esercito israeliano ha detto chiaramente che gli ordini dello Stato Maggiore ai cecchini consentono che munizioni vere siano sparate contro manifestanti palestinesi.

Ben White, 16 aprile 2018

È passata più di una settimana da quando un cecchino israeliano ha sparato e ucciso il giornalista palestinese Yaser Murtaja, mentre copriva le proteste della “Great Return March” in corso nella Striscia di Gaza occupata. Incredibilmente, finora, l’esercito israeliano non ha ancora offerto alcuna spiegazione sul perché è stato colpito.

L’uccisione di Murtaja ha provocato una condanna diffusa. È, tuttavia, solo uno dei 35 palestinesi – compresi tre bambini – uccisi dalle forze israeliane dal 30 marzo, con altri 1.500 manifestanti colpiti dal fuoco israeliano.

La questione della responsabilità

Nessuno si aspetta molto in fatto di responsabilità. Anche se le forze armate israeliane hanno annunciato una “indagine operativa” per un numero indefinito di incidenti nelle ultime settimane, un ufficiale dell’esercito ha ammesso che “l’indagine agirà per sostenere le truppe”.

La questione della responsabilità spesso si focalizza su quanto l’esercito israeliano indaghi e/o persegua singoli soldati sospettati di crimini – e qui le statistiche raccontano una storia chiara – così come sulla clemenza goduta da quei pochissimi che vengono condannati.

Tuttavia, il giro di vite delle autorità israeliane contro i manifestanti palestinesi nella striscia di Gaza è istruttivo riguardo un problema molto più sostanziale. In poche parole: i palestinesi vengono uccisi e menomati non perché i soldati israeliani disobbediscono agli ordini, ma perché li seguono.

L’esercito israeliano ha chiarito che gli ordini dello Stato Maggiore per i cecchini consentono che munizioni vere siano sparate contro manifestanti palestinesi designati come “istigatori centrali”, così come contro quanti si avvicinano semplicemente a 100 metri dalla recinzione perimetrale della striscia di Gaza, anche se disarmati.

Queste norme sull’aprire il fuoco sono in palese violazione della legge internazionale sui diritti umani, come ripetutamente sottolineato. L’approccio delle autorità israeliane, tuttavia, è semplice: sviluppare la propria “interpretazione” della legge che consenta ciò che è inammissibile.

Ci siamo già passati. Durante e dopo tre assalti su larga scala di Israele nella Striscia di Gaza nell’ultimo decennio (2008-’09, 2012, 2014), ci sono state significative critiche internazionali alla devastazione e all’enorme numero di vittime palestinesi causate dalle tattiche militari israeliane.

La risposta di Israele, tuttavia, non è stata un serio minuzioso esame interno o assunzione di responsabilità per le violazioni del diritto internazionale, ma piuttosto un sostenere che le leggi stesse sono il problema.

Aggiornamento delle leggi di guerra?

Nel settembre 2009, ad esempio, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu “ha incaricato gli organi governativi competenti di studiare una campagna mondiale per emendare le leggi internazionali di guerra”. In una conferenza del 2015, l’allora ex capo dell’esercito israeliano Benny Gantz ha parlato della necessità di “aggiornare le leggi [di guerra] e i regolamenti alle realtà attuali”.

Nel 2011, Louise Arbor, ex procuratore capo dei Tribunali criminali internazionali per l’ex Jugoslavia e il Ruanda, ha suggerito che le richieste di tali revisioni “derivano più dal desiderio di alcuni stati di legittimare le loro recenti violazioni del diritto umanitario che non da una qualsiasi preoccupazione reale di aggiornare la legge”.

Nel contesto delle offensive su larga scala contro la Striscia di Gaza, l’approccio di Israele – reinterpretare il diritto internazionale in modo da impartire ordini illegali e poi scagionare se stesso – può essere offuscato dalla “fitta nebbia di guerra” e dai punti riportati dalla propaganda (“Hamas si nasconde dietro scudi umani”, ecc.).

Ma nelle ultime settimane, mentre cecchini israeliani sparano a dimostranti disarmati con fuoco vero, godendo dell’aperto sostegno di alti dirigenti politici e militari, l’illegittimità di queste distorsioni del diritto internazionale è evidente e chiaramente alla vista di tutti.

In una nuova relazione pubblicata la scorsa settimana, l’ONG israeliana per i diritti umani B’Tselem ha avvertito che, mentre le violazioni dei diritti umani da parte di Israele non sono certamente uniche, c’è una particolare minaccia che emerge da Israele “con l’insistere sul fatto che le sue azioni illegali sono in linea con legge”.

“Questo mette in discussione le stesse basi del diritto internazionale”, ha affermato B’Tselem, “a differenza della condotta di stati che non tentano di dare una parvenza di legalità alle loro azioni”.

Giustifica la brutalità

Con un’occupazione militare della Cisgiordania e della Striscia di Gaza per più di mezzo secolo, le autorità israeliane sono costantemente alla ricerca di modi per giustificare politiche di discriminazione, esclusione e brutalità, anche attraverso reinterpretazioni, se non con revisioni, al diritto internazionale.

“Se fai qualcosa per un periodo abbastanza lungo, il mondo lo accetterà”, ha detto candidamente un ex capo della divisione di diritto internazionale presso l’Ufficio dell’avvocato generale dell’esercito israeliano. “L’intera legge internazionale è ora basata sulla nozione che un atto che è proibito oggi diventa ammissibile se eseguito da un numero sufficiente di paesi … Il diritto internazionale procede attraverso le violazioni”.

Nella sua nuova relazione, B’Tselem ha argomentato che “se la comunità internazionale non rinsavisce e costringe Israele a rispettare le regole che sono vincolanti per ogni stato del mondo, toglierà il tappeto da sotto i piedi allo sforzo globale di proteggere i diritti umani nell’era post-seconda guerra mondiale”.

Naturalmente, come ha aggiunto la ONG, “questa non è una preoccupazione puramente teorica: finché Israele non cambierà la sua politica, i palestinesi continueranno a pagare per questo stato di cose con la vita e gli arti”.

Ben White è l’autore di Israeli Apartheid: A Beginner’s Guide and Palestinians in Israel: Segregation, Discrimination and Democracy. Scrive per Middle East Monitor e suoi articoli sono stati pubblicati da Al Jazeera, al-Araby, Huffington Post, Electronic Intifada, The Guardian’s Comment is Free e altro.

Traduzione: Simonetta Lambertini – Invictapalestina.org

Fonte:http://www.middleeasteye.net/columns/palestinians-are-killed-not-because-israeli-soldiers-disobey-orders-because-they-follow-them

 

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