Facebook assume un censore israeliano

Un altro attacco alla libertà di parola da parte di Israele.
Fonte –  English version

Di Philip Giraldi – 1 Settembre 2020

I sostenitori di Israele sia nell’ambito politico che mediatico hanno a lungo usato ogni arma disponibile per neutralizzare qualsiasi critica al razzismo israeliano e alla conseguente oppressione dei palestinesi. In particolare, l’uso dell “antisemitismo” come qualcosa di simile a una tattica per ostacolare il dibattito nelle deliberazioni sul Medio Oriente è stato a lungo un punto fermo della politica americana ed europea. È largamente impiegato per porre fine a tutte le controversie condannando inoltre gli accusati del crimine di essere in qualche modo colpevoli, mostri che vengono consegnati per sempre alla derisione e all’oscurità. Ma gli israeliani e, di sicuro, molti ebrei della diaspora sanno esattamente come l’espressione “antisemitismo” è stata usata come arma.

L’ex ministro israeliano Shulamit Aloni ha ammesso: “l’Antisemitismo”, “è uno stratagemma, lo usiamo sempre”.

Leggendo i giornali statunitensi, che riflettono quasi costantemente un certo punto di vista istituzionale ebraico, si potrebbe pensare che ci sia stato un drammatico aumento dell’antisemitismo in tutto il mondo, ma questa affermazione non è corretta. Ciò a cui stiamo assistendo non è antisemitismo, ma piuttosto una confluenza di due fattori. Il primo è il fatto innegabile che Israele si è comportato in maniera particolarmente criminale, anche per i suoi standard indubbiamente bassi. Il massacro israeliano di palestinesi a Gaza è stato ampiamente documentato nonostante i tentativi dei media di evitare di menzionarlo, oltre al suo sostegno ai terroristi in Siria e ai loro attacchi nel paese che hanno anch’essi sollevato interrogativi sulle intenzioni del regime cleptocratico di Tel Aviv, che sta attualmente esercitando forti pressioni per un attacco all’Iran e sembra che l’amministrazione Trump sia pienamente d’accordo. Questo significa che la percezione di Israele come uno stato esclusivamente ebraico solleva inevitabilmente interrogativi sul comportamento della comunità ebraica internazionale che ha fatto così tanto per plasmare una narrativa favorevole, ma non implica necessariamente l’odio per l’etnia o la religione ebraica.

In secondo luogo, il presunto aumento degli episodi antisemiti è anche ampiamente alimentato dal modo in cui vengono definiti tali eventi. Israele e i suoi alleati si sono prodigati duramente per ampliare i parametri della discussione, rendendo qualsiasi critica a Israele o alle sue attività un crimine d’odio o, sommariamente, un atto antisemita. La definizione pratica di antisemitismo del Dipartimento di Stato Americano ora include; “la critica dello stato di Israele”, e avverte che l’antisemitismo è un reato penale. La recente legislazione americana ed europea ha criminalizzato gli sforzi fino ad ora legali e non violenti per fare pressione su Israele riguardo alla sua disumanità nei confronti dei palestinesi. La legittima critica di Israele diventa quindi sia antisemita che criminale, aumentando il numero dei cosiddetti episodi antisemiti. Ciò significa che i numeri aumentano inevitabilmente, alimentando la legittimità per una risposta repressiva.

Si potrebbe aggiungere che Hollywood, i mezzi d’informazione e il mondo accademico hanno contribuito alle argomentazioni riguardanti l’aumento dell’antisemitismo, lanciando inesorabilmente numerose accuse e denunciando presunti antisemiti e cosiddetti negazionisti dell’olocausto, mentre contemporaneamente glorificano Israele e i suoi successi. Tutta l’esposizione mediatica del cosiddetto antisemitismo ha un obiettivo politico, intenzionale o meno, che è quello di proteggere Israele da qualsiasi critica e di creare per tutti gli ebrei lo status di perpetuo vittimismo che consente a molti nella diaspora di sostenere senza riserve un paese straniero contro gli interessi delle nazioni in cui sono nati, cresciuti e prosperati.

Due donne musulmane del Congresso, Rashida Tlaib del Michigan e Ilhan Omar del Minnesota, hanno osato sfidare apertamente la lobby sionista di Washington constatandone di persona l’enorme e sproporzionato potere. Tlaib ha detto che i promotori della legislazione destinata a beneficiare Israele limitando la libertà di parola hanno dimenticato quale paese rappresentano. Questi sono gli Stati Uniti dove il boicottaggio è un diritto e fa parte della nostra storica lotta per la libertà e l’uguaglianza. Forse è necessaria una riscoperta della Costituzione Americana, è quindi tornare ad essere garantiti dal nostro governo invece che privati dei nostri diritti”.

In effetti, i membri pro-Israele del Congresso hanno da tempo dimenticato che dovrebbero sostenere la Costituzione degli Stati Uniti promuovendo allo stesso tempo gli interessi dei loro elettori, non quelli di un paese a settemila miglia di distanza. Glenn Greenwald di The Intercept ha risposto al commento di Tlaib con un tweet: “È incredibile quanto tempo i leader politici statunitensi spendono per difendere una nazione straniera anche se ciò significa ledere il diritto alla libertà di parola degli americani”.

Ilhan Omar ha poi twittato la sua concisa replica a Greenwald: “È tutta una questione di Benjamins, Glenn!”, in riferimento al ritratto del padre fondatore Benjamin Franklin sulle banconote da cento dollari. Il suo commento è stato quasi immediatamente interpretato come un’accusa nei confronti di importanti politici di essere stati comprati dalla lobby israeliana, il che almeno in alcuni casi è fondamentalmente vero.

Ne è seguita una manifesta indignazione, con i leader politici di entrambe i partiti che si sono scatenati sui media con dibattiti per screditarsi l’un l’altro. Anche se è perfettamente legittimo per un membro del Congresso della commissione per gli affari esteri contestare ciò che fa la lobby israeliana e da dove provengono i suoi finanziamenti, il presidente della Camera Nancy Pelosi si è lamentata del fatto che “l’uso della retorica antisemita da parte di Ilhan Omar e le accuse pregiudizievoli sui sostenitori di Israele erano profondamente offensivi”. Anche il presidente Donald Trump, che ha ammesso che la sua politica mediorientale è destinata a servire gli interessi israeliani piuttosto che quelli statunitensi, è intervenuto dicendo: “Penso che dovrebbe dimettersi dal congresso o dovrebbe certamente dimettersi dalla Commissione Affari Esteri della Camera.”

I commenti di Ilhan Omar hanno preceduto la recente campagna di censura mediatica a favore di Israele, sui social media e anche all’interno dei motori di “ricerca” su Internet. Semmai, è aumentato lo sforzo per ampliare la censura del linguaggio e delle espressioni relative a Israele e alle attività della lobby israeliana sia negli Stati Uniti che nel mondo. I siti di notizie / informazioni come Yahoo hanno smesso di consentire commenti sui loro articoli in parte perché i commenti spesso contraddicevano le loro posizioni sul Medio Oriente e anche su altre questioni. Le ricerche su Google sono manipolate per nascondere articoli particolarmente critici nei confronti di Israele.

Poiché corre l’anno delle elezioni, ed entrambi i partiti stanno cercando finanziamenti per decine di milioni di dollari da donatori ebrei legati a Israele come Sheldon Adelson e Haim Saban, lo sforzo di trasformare qualsiasi critica ad Israele in un incitamento all’odio si sta intensificando. Due settimane fa più di 120 organizzazioni hanno inviato una lettera al gigante dei social media Facebook, esortandolo ad “adottare pienamente” la definizione di antisemitismo indicata dall’Alleanza Internazionale per la Memoria dell’Olocausto (International Holocaust Remembrance Alliance – IHRA) come riferimento della politica contro l’incitamento all’odio di Facebook riguardo l’antisemitismo. “Questa definizione, che è stata adottata dall’IHRA nel 2016 ed è stata promossa dai governi di tutto il mondo, include diversi esempi di ciò che descrive come antisemitismo contemporaneo, compreso il negare al popolo ebraico il diritto all’autodeterminazione, ad esempio, sostenendo che l’esistenza di uno Stato Ebraico è un’istituzione razzista” e “applicando doppi standard per Israele, questo può essere interpretato per definire molte critiche a Israele, alle politiche israeliane o al sionismo come antisemitismo”.

Emi Palmor with Benjamin Netanyahu

Facebook da parte sua ha assunto Emi Palmor, ex direttore generale del ministero della giustizia israeliano, come membro del suo nuovo consiglio di sorveglianza che censurerà i contenuti del social media. Il capo delle operazioni della società Sheryl Sandberg ha inoltre dichiarato che Facebook sta utilizzando “le linee guida dell’IHRA” per adeguare il proprio approccio e i propri parametri”, è che la sua nuova politica” si ispira allo spirito e al testo dell’IHRA”, e che secondo la politica di Facebook, “ebrei e israeliani sono trattati come “categorie protette”.

Le categorie protette significano in pratica che le critiche alle attività di gruppi israeliani o ebraici non sarebbero state tollerate sul social network. Indiscrezioni suggeriscono che Facebook stia ora censurando qualsiasi materiale che possa portare a legittime critiche a Israele e alle sue politiche. Il 18 agosto Facebook ha rimosso un’immagine e un articolo che mostravano una strada piena di pecore morte di proprietà palestinese che sarebbero state uccise da un colono israeliano con l’auto. L’israeliano ha deliberatamente investito gli animali con la sua auto come parte di una campagna per distruggere i mezzi di sostentamento dei contadini palestinesi in Cisgiordania.

Quando la lobby israeliana si lamenta del fatto che ritrarre Israele in modo negativo è antisemitismo sottilmente velato, si potrebbe ben rispondere che in Medio Oriente si stanno facendo cose terribili in nome degli ebrei e di Israele. Mettere a tacere i critici accusandoli di un crimine d’odio è poco più che una perversione della giustizia per servire le richieste di una minoranza potente e ricca, nonché una negazione dei diritti costituzionali per tutti gli americani. Di fronte ad accuse di “antisemitismo”, basta ricordare ciò che il ministro israeliano Shulamit Aloni ha ammesso: “È uno stratagemma, lo usiamo sempre”.

Philip M. Giraldi è un ex specialista dell’antiterrorismo della CIA e ufficiale dell’intelligence militare che ha servito diciannove anni all’estero in Turchia, Italia, Germania e Spagna. Era il capo della base della CIA per le Olimpiadi di Barcellona nel 1992 ed è stato uno dei primi americani ad entrare in Afghanistan nel dicembre 2001. Phil è il direttore esecutivo del Consiglio per l’Interesse Nazionale, un gruppo di difesa con sede a Washington che cerca di incoraggiare e promuovere una politica estera statunitense in Medio Oriente che sia coerente con i valori e gli interessi americani.

Trad: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

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