I dati mostrano che l’esercito, con il sostegno dei coloni, sta intensificando la confisca delle attrezzature agricole palestinesi , traendo profitto dalle tasse richieste per il loro rilascio.
Fonte: english version
Di Basil al-Adraa e Oren Ziv – 1 maggio 2022
Immagine di copertina: L’esercito israeliano blocca la strada a un agricoltore palestinese alla guida di un trattore, durante un’azione di piantumazione di olive nel villaggio di Deir Nizzam, distretto di Ramallah, Cisgiordania, 15 dicembre 2009. (Keren Manor/Activestills)
Nel cuore della notte del 1° dicembre 2021, i soldati israeliani hanno marciato su un piccolo villaggio palestinese nella Valle del Giordano alla ricerca di uno strano obiettivo: macchine agricole. Svegliarono le famiglie di Ras al-Ahmar, ordinarono loro di uscire dalle loro case e confiscarono le loro macchine agricole. Il villaggio, situato nella Cisgiordania occupata, ospita circa 180 residenti, tutti agricoltori e allevatori di bestiame.
“Erano le 4 del mattino”, ricorda il sindaco del villaggio, Abdullah Bisharat, pochi mesi dopo l’episodio. “Hanno sequestrato trattori, carri rimorchi e cisterne d’acqua proprio all’inizio della stagione dell’aratura. Circa 3.000 dunam/Km2 (740 acri) di terra non seminata andarono in rovina. Quella notte fu un duro colpo per tutte le famiglie”.
L’esercito israeliano ha giustificato la confisca con la motivazione che il villaggio si trova all’interno di una “Zona di Fuoco” militare. Quasi il 20% della Cisgiordania, tuttavia, è stata dichiarata Zona di Fuoco dalle autorità di occupazione. Circa 38 comunità palestinesi vivono in queste aree e sono a rischio di espulsione.
Dati inediti dell’Amministrazione Civile, il braccio dell’esercito israeliano che governa i Territori Occupati, raccolti dall’ONG Kerem Navot, suggeriscono che le confische di attrezzature agricole ed edili palestinesi (inclusi trattori, gru, materiali da costruzione e cisterne d’acqua) sono triplicati negli ultimi sette anni. Nel frattempo, le confische di attrezzature simili da parte di coloni israeliani in Cisgiordania sono diminuite del 42% nello stesso periodo.
La differenza non è stata sempre così netta. Nel 2014, i dati mostrano che palestinesi e coloni israeliani si sono visti confiscare quantità simili di equipaggiamento dalle autorità: 262 singoli attrezzi sono stati confiscati ai palestinesi e 253 ai coloni. Nel 2015 era iniziata la nuova tendenza: i palestinesi hanno perso 812 pezzi di attrezzatura quell’anno, mentre i coloni israeliani ne hanno persi solo 154.
I dati ottenuti da Kerem Navot mostrano inoltre che, tra il 2014 e il 2020, l’Amministrazione Civile ha incassato oltre 8 milioni di NIS (2.268.000 euro) dalle tasse di rilascio per l’attrezzatura sequestrata e ha tratto profitti per circa 2,5 milioni di NIS 708.271 euro) dalla vendita di attrezzature che i proprietari non erano in grado o non volevano reclamare. In altre parole, l’Amministrazione Civile ha ricavato oltre 10 milioni di NIS (2.832.000 euro) dalla confisca di attrezzature agricole e da costruzione in quel periodo.
Per recuperare i materiali e le attrezzature, ai palestinesi viene generalmente richiesto di pagare da 6.000 a 8.000 NIS (da 1.770 a 2.265 euro) ciascuno, un costo di gran lunga superiore ai costi del processo di confisca stesso, secondo i registri dell’esercito.
L’acquisizione di questi dati ha richiesto due ricorsi separati ai sensi della legge israeliana sulla libertà di informazione. “Abbiamo richiesto le informazioni all’Amministrazione Civile un anno fa, ma hanno ignorato le nostre richieste per mesi”, afferma Dror Etkes, il fondatore di Kerem Navot. “Quando abbiamo finalmente ottenuto i dati, abbiamo capito perché”.
Etkes ha continuato: “I dati mostrano le enormi differenze nell’applicazione delle confische tra israeliani e palestinesi per quanto riguarda la costruzione nell’Area C”, riferendosi al 60% della Cisgiordania occupata che è sotto il pieno controllo civile e militare israeliano, e dove si trovano anche le Zone di Fuoco. “Queste sono cose che chiunque lavori sul campo vede ogni giorno, nell’enorme picco di demolizioni delle costruzioni palestinesi e nell’aumento del numero di avamposti illegali israeliani negli ultimi anni”.
“I dati riflettono fedelmente la radicalizzazione nazionalista della politica israeliana negli ultimi anni e la cultura dell’Apartheid, che si sta diffondendo tra le autorità israeliane in Cisgiordania, a cominciare dalla stessa Amministrazione Civile”, aggiunge.
“Fa tutto parte di una politica per cacciarci via”
Il pretesto legale per le confische israeliane è il più delle volte il reato di lavorare in un’area definita come “Terra Demaniale” o “Zona di Fuoco” o di svolgere qualsiasi lavoro al di fuori dei piani di zonizzazione che Israele ha autorizzato per le comunità palestinesi sotto il suo pieno controllo, cosa che non accade quasi mai.
I sequestri non sono limitati all’Area C; Israele confisca anche le attrezzature per l’agricoltura e l’edilizia palestinesi nell’Area B, dove la responsabilità per le questioni civili, come la pianificazione e la costruzione, ricade apparentemente sotto l’Autorità Palestinese. Qui, Israele utilizza il “Divieto di costruzione 1/96”, che proibisce la costruzione vicino alle strade principali, anche nelle aree sotto il controllo palestinese.
Nel settembre 2021, ad esempio, sono iniziati i lavori per un parco giochi nel villaggio di Jaba’ vicino a Jenin, nella Cisgiordania settentrionale. L’Amministrazione Civile ha presentato un ordine di sospensione dei lavori e ha confiscato l’escavatore dell’appaltatore, sostenendo che il parco giochi si trovava a meno di 100 metri dalla tangenziale di Ramallah, che Israele ha costruito nell’area B negli anni ’90.
“Nessuno osa portare un trattore o qualsiasi altro tipo di veicolo per arare la terra”, afferma Bisharat. “La gente sta tornando ad arare con l’asino, come ai vecchi tempi. Sta rendendo la vita molto difficile. Fa tutto parte di una politica per cacciarci via”.
Gli agricoltori palestinesi dipendono soprattutto da trattori e camioncini per il trasporto di cisterne d’acqua e balle di fieno per il bestiame. Questo perché l’esercito, come regola generale, vieta ai palestinesi di costruire strade di accesso e infrastrutture idriche nell’Area C, che contiene la maggior parte dei terreni agricoli della Cisgiordania. Il sequestro di questa attrezzatura, quindi, può paralizzare un’intera comunità.
In molti casi, l’esercito israeliano confisca le attrezzature dei palestinesi mentre i lavori sono in corso. È quello che è successo a Mohammed Bani Odeh, residente nella Valle del Giordano, che stava usando un escavatore per scavare un solco dove posare un tubo di irrigazione nella sua terra, dove coltiva za’atar.
“Mentre stavo scavando, i soldati si sono presentati e hanno detto che lo stavo facendo illegalmente”, ricorda. “Hanno confiscato l’escavatore per dieci giorni. Ho dovuto pagare 8.000 NIS (2.265 euro) per riaverlo”.
I coloni riferiscono, l’esercito sequestra
L’intensificazione della campagna di confisca è stata alimentata in parte dall’attivismo dei coloni israeliani. Negli ultimi due anni, i consigli regionali degli insediamenti hanno istituito gruppi WhatsApp in cui i residenti possono riferire ogni volta che individuano lavori di costruzione palestinesi in corso. L’Amministrazione Civile ha anche istituito una linea diretta per tali segnalazioni, soprannominata “War Room C” (Sala Operativa C).
Una relazione del Consiglio Regionale di Mateh Binyamin, nella parte settentrionale della Cisgiordania, preparata per una conferenza sulla questione nell’aprile 2021, affermava che centinaia di suoi residenti prendono parte al processo di segnalazione, insieme a coordinatori della sicurezza civile (impiegati dall’esercito in ogni insediamento), ispettori, coloni agricoltori e altri. Un prospetto vantava 600 segnalazioni fatte dai coloni nel solo 2020, tutte all’interno del Consiglio Regionale. Le segnalazioni hanno portato a 60 confische.
Un altro pretesto per la confisca è lavorare su terreni che Israele ha espropriato fin dagli anni ’80, spesso all’insaputa dei contadini palestinesi. Il mese scorso, nell’area di Masafer Yatta, nelle colline a Sud di Hebron, due trattori agricoli sono stati confiscati in uno di questi appezzamenti di terreno. Queste aree, che Israele chiama “Terra Demaniale”, sono effettivamente aree di Apartheid, precluse ai palestinesi e assegnate esclusivamente ai coloni ebrei.
In altre occasioni, le confische vengono effettuate senza alcun pretesto legale, ma semplicemente in risposta alle richieste avanzate dai coloni. Questa è stata l’esperienza di Sa’id Alian, che possiede un terreno vicino all’avamposto illegale di Mitzpeh Yair. Lo scorso marzo, Alian e sua moglie sono stati attaccati da un gruppo di coloni mascherati con tubi di ferro mentre stavano facendo una scampagnata nella loro stessa terra. La moglie di Alian ha filmato l’attacco.
Quest’anno, quando Alian ha avuto bisogno di lavorare nel suo uliveto, si è assicurato di avvisare l’Amministrazione Civile e l’esercito, nella speranza che quest’ultimo lo proteggesse da attacchi simili. L’esercito ha risposto confiscandogli il trattore e l’escavatore, senza alcuna apparente motivazione se non quella di assecondare le richieste dei coloni nell’avamposto illegale nelle vicinanze.
Basil al-Adraa è attivista, giornalista e fotografo del villaggio di al-Tuwani nelle colline a sud di Hebron.
Oren Ziv è fotoreporter e membro fondatore del collettivo fotografico Activestills.
Traduzione d Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org