La ribellione del secondo esercito di Israele

Il Capo di Stato Maggiore dell’esercito israeliano uscente, Aviv Kochavi, consegna al suo successore un “esercito di polizia” più autarchico, colluso con i coloni e letale come non  mai.

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Di Yagil Levy – 26 dicembre 2022

Immagine di copertina: Un ufficiale della Polizia di Frontiera israeliana punta la sua arma contro giornalisti e paramedici palestinesi durante gli scontri tra forze israeliane e manifestanti palestinesi a Nord di Ramallah, vicino al checkpoint di Beit El, Cisgiordania occupata, 22 dicembre 2017. (Oren Ziv/Activestills)

Il mese prossimo, il Capo di Stato Maggiore dell’IDF Aviv Kochavi consegnerà le redini delle forze militari israeliane al suo successore, il Maggiore Generale Herzi Halevi. Tra le molte questioni che Halevi affronterà, comprese le domande sul futuro del modello di servizio di leva israeliano, forse la sua più grande sfida sarà come l’esercito affronterà la sua principale arena di operazioni, che è soggetta a profonde controversie tra i vertici politici e militari di Israele: la guerra di polizia contro i palestinesi che vivono sotto il dominio israeliano nella Cisgiordania occupata e nella Striscia di Gaza.

Ciò presuppone che la firma di un accordo sul confine marittimo con il Libano scongiuri una potenziale terza guerra israelo-libanese, mentre non è previsto un attacco imminente agli impianti nucleari dell’Iran. Kochavi non è stato spesso coinvolto nelle missioni di polizia in Cisgiordania, ma sembra che ciò che accade lì possa gettare un’ombra sul suo mandato, come dimostrato dallo scalpore diffuso quando un soldato israeliano ha aggredito un attivista di sinistra a Hebron il mese scorso.

Quando si tratta dei palestinesi, l’esercito israeliano è infatti diviso in due eserciti, una struttura nato sulla scia della Seconda Intifada nei primi anni 2000. Accanto dell’esercito “ufficiale”, nella Cisgiordania controllata da Israele è emersa una forza di “polizia”. L’esercito “ufficiale”, l’IDF, ha un alto comando generalmente subordinato al controllo politico, mentre l'”esercito di polizia”, pur non essendo un’entità ufficiale, è un’organizzazione con caratteristiche chiare e uniche.

L’esercito di polizia comprende tre elementi principali: una milizia armata di coloni che opera sotto l’egida dell’esercito e che agisce come una cosiddetta “difesa territoriale”; la Brigata Kfir, che comprende il Battaglione Haredi Netzah Yehuda, ed è rinforzata da brigate da combattimento dispiegate a rotazione in Cisgiordania; e squadre di Polizia di Frontiera, che combinano poliziotti e militari di leva. Questi elementi sono subordinati alla Divisione Giudea e Samaria dell’IDF.

Il Capo di Stato Maggiore dell’IDF Aviv Kochavi parla a una cerimonia in occasione del Giorno della Memoria di Israele presso il Muro Occidentale nella Città Vecchia di Gerusalemme, il 3 maggio 2022. (Olivier Fitoussi/Flash90)

Il ruolo ufficiale dell’esercito di polizia è proteggere gli insediamenti della Cisgiordania, bloccare l’attività militare palestinese lungo la Linea Verde e far rispettare la legge sulle popolazioni ebraiche e palestinesi dei Territori Occupati. Accanto a queste forze, l’Amministrazione Civile si occupa degli affari civili, la polizia israeliana si occupa di reati penali e lo Shin Bet si occupa della sorveglianza sulla sicurezza.

Chi dà gli ordini?

Sulla carta, l’esercito di polizia dovrebbe rientrare nella gerarchia militare guidata dal Comando Centrale dell’IDF. In pratica, tuttavia, il quadro è più complicato. I confini tra l’esercito di polizia e le comunità di coloni che serve sono indefiniti, come risultato di unità congiunte, profondi legami sociali e ampia presenza di coloni all’interno delle unità. Il controllo sull’esercito di polizia è quindi strutturato non come una gerarchia, ma come una matrice.

Pertanto, oltre a obbedire al Comando Centrale, i soldati seguono anche gli ordini dei coloni tramite i coordinatori della sicurezza civile negli insediamenti. Molte delle truppe sono influenzate dalle sentenze rabbiniche, in particolare quelle che vietano ai soldati religiosi di partecipare all’evacuazione degli insediamenti in conformità con le sentenze dei tribunali. I comandanti sono scoraggiati dai metodi aggressivi dei coloni, mentre i soldati sono influenzati dai loro legami sociali con gli insediamenti, pregiudicando così le operazioni dell’esercito, ad esempio, “non intervenendo” quando i coloni infrangono la legge.

Le attività di gruppi per i diritti umani come B’Tselem, MachsomWatch e Breaking the Silence, che monitorano l’esercito di polizia, bilanciano solo in parte questi meccanismi di controllo messi in atto dai coloni. Il risultato è un chiaro pregiudizio dell’esercito a favore dei coloni.

Infatti, i dati cumulativi nei Territori Occupati dimostrano inconfutabilmente che l’esercito israeliano non è solo un facilitatore, ma in molti modi un promotore, della violenza dei coloni. Chiude un occhio sulla creazione di avamposti di insediamento non autorizzati; ha annunciato nel 2009 che l’evacuazione degli insediamenti non faceva parte del suo mandato; ignora la violenza dei coloni contro i palestinesi e a volte ne prende persino parte; e altro ancora.

Un colono, armato di fucile automatico, si trova direttamente di fronte a un soldato israeliano mentre prende la mira e apre il fuoco contro gli abitanti di un villaggio palestinese, Urif, 14 maggio 20201. (Mazen Shehadeh)

Pertanto, in molti modi, l’esercito di polizia sta essenzialmente funzionando come un braccio non ufficiale dello Stato per far avanzare furtivamente l’annessione progressiva nell’Area C della Cisgiordania (che è sotto il pieno controllo israeliano). In questo contesto, l’attività dell’esercito di polizia non riflette l’impotenza delle forze dell’ordine nei confronti dei coloni, ma piuttosto uno sforzo intenzionale che si basa sulla violenza dei coloni. È in questa luce che possiamo comprendere il sistematico fallimento nel punire i soldati che danneggiano i palestinesi. Ad esempio, dal 2017 al 2021, le probabilità che una denuncia riguardante danni causati ai palestinesi da un soldato culminasse in un atto d’accusa contro il soldato erano solo dello 0,87%, come documentato dall’Organizzazione israeliana Yesh Din.

Qualunque sia la spiegazione, l’efficacia dell’esercito di polizia deriva proprio dalla sua capacità di oscurare la struttura di controllo su di esso. La sua legittimità si fonda su un assetto in base al quale le operazioni sul campo sono condotte da milizie di coloni, per lo più giovani delle colline e attivisti “fondamentalisti ebrei”, che hanno prevalso sull'”Israele ufficiale”, che è apparentemente fedele al diritto internazionale ma incontra difficoltà ad adempiere alle proprie responsabilità nei suoi confronti.

Questa legittimità, tuttavia, è stata minacciata dal caso Elor Azaria nel marzo 2016. Il soldato della Brigata Kfir è stato filmato mentre sparava a morte ad Abdel Fatah al-Sharif, che giaceva ferito a terra dopo che lui e un complice avevano tentato di accoltellare i soldati israeliani a Tel Rumeida a Hebron. La decisione dell’esercito di processare Azaria e la decisione del tribunale di condannarlo per omicidio colposo hanno provocato un’ondata di proteste senza precedenti contro i militari, insieme a manifestazioni di sostegno per il soldato.

La vicenda ha messo in luce l’autonomia dell’esercito di polizia, mentre il filmato dell’uccisione ha mostrato come la scena a Hebron non fosse gestita dall’esercito, ma dai coloni. “Chi controlla il campo e dà gli ordini?” ha chiesto Uvda, il programma di documentari di punta di Canale 12. È questa atmosfera prevalente che ha incoraggiato Azaria a premere il grilletto quel giorno. Il suo crimine ha ulteriormente messo in luce quanto la gerarchia formale dei militari sia in realtà costantemente interrotta, non solo come evento eccezionale, e ha anche mostrato come la violenza sia usata al di fuori del quadro giuridico, ma ancora sotto la sua egida.

E così, l’esercito israeliano, preoccupato per il crollo del suo sistema di legittimità in Cisgiordania a causa delle stesse contraddizioni che ha creato, è stato costretto a lottare per la legittimità del suo ramo di polizia. È stato costretto a contrastare la percezione che i coloni siano a capo dell’esercito di polizia e che non imponga o cerchi di imporre loro la legge e l’ordine. In questo contesto ha fatto eco l’appello dell’allora Capo di Stato Maggiore Gadi Eizenkot nel 2016: “Coloro che desiderano avere un’etica da squadristi dovrebbero dirlo”.

Coloni e soldati israeliani bloccano una strada principale intorno a Nablus nella Cisgiordania occupata, 10 aprile 2022. (Oren Ziv)

‘Letale, efficiente e innovativo’

Caso Azaria a parte, è dubbio che Eizenkot abbia lavorato per affrontare le condizioni strutturali che davano all’esercito di polizia la sua autonomia, soprattutto cercando di marcare i confini tra soldati e coloni. Il suo successore, Kochavi, non ci stava nemmeno provando. Sotto il mandato di quest’ultimo, la frammentazione dell’IDF in due eserciti e l’autonomizzazione dell’esercito di polizia è stata effettivamente rafforzata in vari modi.

Primo: i confini tra esercito e coloni stanno diventando sempre più permeabili. Niente lo illustra meglio delle ultime nomine di alti comandanti dell’esercito di polizia, nomine supervisionate dal Capo di Stato Maggiore. Molti di questi comandanti sono laureati in accademie pre-militari religiose e yeshive con programmi Hesder (che combinano gli studi della Torah con il servizio militare), e che instillano una visione del mondo messianica mentre educano gli studenti a identificarsi con il progetto di insediamento. Questo processo assicura che i comandanti delle unità di polizia dell’esercito impediscano, in anticipo, qualsiasi scontro importante con i coloni.

Questo processo culturale è così marcatto che è stato persino sostenuto dal comandante decisamente laico della Brigata Samaria, il Colonnello Roy Zweig. Nell’aprile 2022, Zweig ha ordinato ai suoi soldati di riparare la Tomba di Giuseppe a Nablus dopo che era stata danneggiata dai palestinesi. Ha inquadrato la missione in termini religiosi, dichiarando che il sito si trova sulla “terra promessa ad Abramo nostro padre” e che i soldati dovevano agire “con la forza, ma non come illegittimi, come figli di Re”, che è mostrare il potere militare nel cuore di una popolazione palestinese, coordinando le loro azioni con la dirigenza dei coloni. Per non pensare che si tratti di una coincidenza, quest’anno Zweig ha dichiarato verso la fine del suo mandato che “gli insediamenti e l’esercito sono la stessa cosa”.

Secondo: l’esercito israeliano opera oggi all’ombra del caso Azaria che ha fortemente scosso l’istituzione. Nessuno degli alti ufficiali avrebbe potuto prevedere che il processo e la condanna di un soldato che ha sparato a un palestinese inerme avrebbe infiammato l’opinione pubblica in quel modo. Attraverso i loro gruppi sociali e persino direttamente attraverso i social media, i soldati dell’esercito di polizia hanno protestato contro quello che vedevano come l’abbandono di un soldato che si difendeva da un presunto terrorista armato. La vicenda aveva anche sfumature etniche, dato le origini Mizrahi di Azaria, che esprimeva ulteriormente un senso di discriminazione da parte dell’élite Ashkenazita di Israele.

Infatti, nel luglio 2016, mentre era in corso il processo Azaria, i sondaggi mostravano che tra la destra “dura”, circa la metà non vedeva un allineamento tra i valori dell’alto comando militare e quelli del popolo in generale, riflettendo così una crescente spaccatura tra l’esercito e l’ala destra, che in gran parte costituiva il personale di polizia in Cisgiordania.

Il sergente dell’IDF Elor Azaria, il soldato israeliano che ha sparato a un aggressore palestinese disarmato e ferito nella città di Hebron, in Cisgiordania, è circondato da familiari e amici mentre attende di ascoltare il suo verdetto in un’aula di tribunale presso la base militare di Kirya a Tel Aviv, 4 gennaio 2017. (Miriam Alster/Flash90)

La realizzazione di questa spaccatura ha portato Eizenkot a cambiare il linguaggio militare. Sotto il suo mandato, l’esercito, imitando l’eredità della guerra del Vietnam americana, era apertamente orgoglioso del numero di palestinesi uccisi nei Territori Occupati, presentando la cifra come un risultato. Kochavi ha portato avanti questa politica: nel gennaio 2019, ha suscitato polemiche per la sua nomina a capo dell’esercito, quando si è impegnato a presentare un esercito che fosse “letale, efficiente e innovativo”, cioè un esercito che genera morte.

Questo spirito di letalità si è diffuso nell’esercito di polizia. Dopo una serie di attacchi solitari di palestinesi nelle città all’interno di Israele all’inizio del 2022, Kochavi non si è opposto a questa politica come aveva fatto Eizenkot prima di lui durante un’ondata di isolati attacchi di accoltellamento nel 2015-16, nota come “Intifada dei Coltelli”. “Allora, l’esercito mirava a prevenire una terza Intifada e quindi ha in qualche modo frenato la politica del fuoco libero. Sotto Kochavi, la tendenza si è invertita. Entro la fine del 2021, l’esercito aveva ulteriormente allentato le sue regole di ingaggio, consentendo ufficialmente ai soldati di sparare ai palestinesi che lanciano pietre o bottiglie incendiarie, anche dopo l’atto, quando non rappresentano più una minaccia. Questo cambiamento è stato molto visibile durante le incursioni dell’esercito nelle città della Cisgiordania in un’operazione in corso nota come “Frangiflutti” dal marzo 2022, e in cui l’uccisione di palestinesi nei Territori è notevolmente aumentata.

Nulla rimane dell’orgogliosa retorica che i comandanti dell’esercito una volta sposavano sull’evitare la letalità, cioè la diminuzione delle vittime palestinesi. Dal momento in cui Kochavi ha iniziato a insegnare la letalità come valore, i codici culturali nell’esercito di polizia sono cambiati. Non solo le norme sul fuoco libero sono state allentate, ma la loro interpretazione da parte dei soldati ha goduto di una maggiore flessibilità e, per molti versi, è stata attivamente incoraggiata.

Ciò è stato dimostrato, ad esempio, dal licenziamento da parte dell’esercito di un soldato della Brigata Golani nel dicembre 2020, dopo che era stato filmato mentre evitava di sparare a un aggressore palestinese che gli aveva lanciato una bottiglia incendiaria, l’aveva mancato ed era poi fuggito. In una lettera ai suoi sottoposti a seguito dell’incidente, il comandante della Brigata ha scritto che “ingaggiare il nemico ed eliminarlo è un valore fondamentale”. Tuttavia, questa dichiarazione era arrivata prima che i regolamenti sul fuoco libero fossero formalmente allentati per consentire di sparare ai palestinesi che lanciano bottiglie incendiarie e fuggono senza rappresentare più una minaccia. In questo caso e in altri, il mantra della letalità è chiaramente filtrato, creando norme che hanno ampliato l’area grigia al di fuori delle regole ufficiali. Non per caso, quindi, l’esercito si astiene dal punire i soldati che trasgrediscono e danneggiano i palestinesi.

Soldati israeliani e agenti della polizia di frontiera fanno la guardia davanti all’insediamento israeliano illegale di Havat Ma’on durante una visita di solidarietà e un convoglio d’acqua nelle colline a Sud di Hebron, Cisgiordania occupata, 2 ottobre 2021. (Keren Manor/Activestills)

La ribellione dei soldati di classe inferiore 

Il terzo grande cambiamento sotto il comando di Kochavi avbiene “dal basso”. Durante gli anni 2010, molti rapporti hanno mostrato come i giovani appartenenti a gruppi ricchi nella società israeliana fossero sovrarappresentati nelle unità cibernetiche e di spionaggio dell’esercito (come l’Unità 8200). Questo spesso ha aperto la strada a maggiori opportunità economiche dopo essere stati congedati, a testimonianza delle continue barriere incontrate dai gruppi svantaggiati in Israele.

Allo stesso tempo, i ranghi di combattimento dell’esercito, in particolare quelli dell’esercito di polizia, erano composti da un numero crescente di appartenenti a comunità religiose, Mizrahim di classe media e inferiore, coloni, immigrati, drusi e donne. In altre parole, i gruppi al di fuori della classe media laica (principalmente Ashkenazita), che storicamente costituivano la colonna portante dell’esercito, stavano ora sopportando il peso maggiore del lavoro di polizia.

Kochavi ha osservato da bordo campo mentre questo progetto prendeva forma. Ha descritto l’esercito come un progetto di collocamento nazionale che fornisce alle reclute le competenze del 21° secolo, in modo tale che l’industria tecnologica israeliana non può crescere senza di esso. Questo progetto, si vantava, incanala centinaia di lavoratori specializzati nell’economia ogni anno. Eppure Kochavi non ha menzionato le truppe da combattimento tra quelle che ha elogiato per aver contribuito all’economia, sottolineando il basso valore economico che ha attribuito a coloro che svolgono i ruoli più rischiosi nell’esercito. Questo processo simbolico, insieme agli impatti del “monitoraggio” militare amplificato dalla politica dell’identità e all’esposizione dei tassi crescenti di esenzioni dalla leva militare, ha istigato una lenta ma graduale “rivolta dei soldati di classe inferiore” all’interno dell’esercito di polizia.

Questa “rivolta” è stata evidenziata in diversi incidenti. Due anni prima del caso Azaria, nell’aprile 2014, è scoppiata una controversia sulla punizione di un soldato che era stato filmato mentre spingeva e insultava un giovane palestinese che lo aveva affrontato a Hebron. La punizione del soldato, un residente di Be’er Sheva di nome David Adamov (noto come “David HaNahlawi”), ha provocato un’ondata di proteste senza precedenti attraverso i social media, in cui altri soldati hanno simpatizzato con il loro pari.

Foto: Agenti della Polizia di Frontiera israeliana arrestano violentemente un manifestante palestinese durante gli scontri tra forze israeliane e manifestanti palestinesi a Nord di Ramallah, vicino al checkpoint di Beit El, Cisgiordania occupata, 22 dicembre 2017. (Oren Ziv/Activestills)

Cinque anni dopo il caso Azaria, nel settembre 2021, è scaturita un’altra protesta pubblica in seguito all’uccisione di un soldato della Polizia di Frontiera, Barel Hadaria Shmueli, residente a Be’er Ya’akov, da parte di un uomo armato palestinese mentre stava presidiando la recinzione di confine Israele-Gaza; i militari, si sosteneva, avevano inutilmente messo a repentaglio la vita di Shmueli. Un anno dopo, nel novembre 2022, è scoppiato un altro putiferio contro la punizione del soldato della Brigata Givati ​​che ha aggredito un attivista israeliano di sinistra a Hebron.

Ciò che accomuna questi eventi è che fanno parte di una ribellione delle periferie socioculturali di Israele che si sentono frustrate da ciò che percepiscono come ingratitudine per il loro servizio: Lo “sporco” lavoro di polizia che manca di prestigio, non offre risultati gloriosi (ma piuttosto solo una conservazione dello status quo), non raccoglie l’etica dell’eroismo e non porta a lavori ben pagati nel mercato del lavoro.

Sostegno politico

Con queste rivendicazioni, i gruppi emarginati si ribellano contro i codici culturali dell’esercito ufficiale, chiedendo che quei codici vengano cambiati e insistendo affinché sia ​​concessa l’immunità ai soldati anche se violano le regole. Ciò che è importante non sono solo i valori ideologici di questi soldati, ma piuttosto la capacità di sfruttare la loro crescente massa critica nell’esercito di polizia per tradurre i loro valori in una voce pubblica. Allo stesso tempo, i soldati religiosi si stanno ribellando, attraverso le accademie pre-militari e le yeshive Hesder che parlano a loro nome, contro i regolamenti esistenti sul fuoco libero, l’apertura dei ruoli di combattimento alle donne e le direttive per agire contro i coloni.

Queste ribellioni rappresentano un conflitto sul carattere dell’esercito. Rafforzano fenomeni come la riluttanza dei soldati della polizia ad agire nei confronti dei coloni che infrangono la legge o hanno il grilletto facile contro i palestinesi. In altre parole, queste pressioni dal basso mirano a rafforzare ulteriormente l’autonomia dell’esercito di polizia.

Politicamente, la ribellione dei soldati di classe inferiore si esprime attraverso il crescente sostegno dei soldati a Itamar Ben Gvir, capo del partito di estrema destra Otzma Yehudit (Potere Ebraico), che condivide l’identità religioso-Mizrahi di molte delle truppe. Per la prima volta vedono un politico che comprende la loro situazione, che chiede la protezione di questi soldati da funzionari che li “abbandonano” e che garantirà loro la piena immunità anche se hanno sbagliato.

Foto: Itamar Ben Gvir visita l’insediamento ebraico di Beit Orot vicino al quartiere di At-Tur, Gerusalemme Est occupata, 13 ottobre 2022. (Yonatan Sindel/Flash90)

Il leader kahanista, che diventerà Ministro della Sicurezza Nazionale responsabile della polizia, tratta questi poliziotti come eroi che sono stati sottostimati e ai quali i politici impediscono di emergere. Gli parla nella loro lingua e affida all’esercito di polizia un compito di importanza nazionale. Per Ben Gvir, l’uso della violenza non è in contrasto con i “valori dell’IDF”, ma rappresenta piuttosto ciò che l’esercito dovrebbe simboleggiare. Il suo crescente potere assicura che diventerà ancora più difficile per l’esercito ufficiale frenare l’esercito di polizia, mentre aumenterà la separazione tra le due entità.

Questa è l’eredità che Kochavi ha lasciato a Herzi Halevi. Kochavi non è riuscito a indebolire l’autonomia dell’esercito di polizia in seguito al caso Azaria e ha accettato i labili confini tra le truppe e i coloni; ha incoraggiato una politica di fuoco libero “letale” che ha alimentato l’aggressività in Cisgiordania; e ha rafforzato le pratiche di tracciamento infoltendo l’esercito di polizia con gruppi religiosi ed emarginati che si ribellano contro ogni tentativo di frenarli. In che modo Halevi affronterà questi problemi, se lo farà? Solo il tempo ce lo dirà.

Yagil Levy è professore di sociologia politica e politiche pubbliche presso la Open University of Israel. Il suo campo di ricerca sono gli aspetti teorici ed empirici delle relazioni tra società e militari. Ha pubblicato otto libri.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org