Rapporto sull’Iraq: dopo l’invasione statunitense, il Paese ha perso due decenni

Mentre l’Iraq segna 20 anni dall’invasione statunitense, gli effetti continuano a farsi sentire nell’instabilità politica, nella corruzione e nella violenza settaria che affliggono il paese.

Fonte: English version

The New Arab – 16 marzo 2023

Per gli iracheni si avvicina la commemorazione di un altro triste anniversario, con il 20° anno da quando gli Stati Uniti e la loro cosiddetta “Coalition of the Willing” lanciarono un’invasione non autorizzata del Paese.

L’invasione innescò una reazione a catena di eventi che possono essere avvertiti ancora oggi, tra cui un più ampio disordine globale e un marcato indebolimento dell’ordine internazionale “basato su regole” che aveva dominato dalla fine della Guerra Fredda.

Ma l’impatto che la guerra ha avuto a livello nazionale è ciò che gli iracheni sentono oggi più acutamente. Due decenni dopo che l’allora presidente degli Stati Uniti George W. Bush decise di ignorare la mancanza di consenso e l’ordine internazionale di cui il suo paese era un architetto e mecenate chiave, gli iracheni hanno dovuto affrontare nientemeno che una generazione perduta.

Non solo non hanno ottenuto la libertà che era stata loro promessa, ma le catene della tirannia e la costante minaccia della violenza sono aumentate in modo esponenziale dalla caduta della dittatura baathista di Saddam Hussein nel 2003.

“Due decenni dopo che l’allora presidente degli Stati Uniti George W. Bush decise di ignorare la mancanza di consenso e l’ordine internazionale di cui il suo paese era un architetto chiave e mecenate, gli iracheni hanno affrontato niente meno che una generazione perduta”

Ricco di petrolio, ma ancora povero

Due giorni prima dell’inizio dell’invasione, il 19 marzo 2003, il presidente Bush lanciò un ultimatum a Saddam, affermando che lui ei suoi figli dovevano lasciare l’Iraq entro 48 ore o affrontare un’azione militare. Nello stesso discorso, Bush disse: “Abbatteremo l’apparato del terrore e vi aiuteremo a costruire un nuovo Iraq prospero e libero”.

Secondo tutti i parametri economici oggettivi, l’Iraq è tutt’altro che prospero. Secondo i dati della Banca mondiale, subito dopo l’invasione il PIL iracheno crollò al -36,7%.

Nel 2004, e dopo un pesante afflusso di denaro americano per sostenere il nuovo regime, il PIL raggiunse il 53,4%, per poi scendere rapidamente all’1,7% ; da allora ha ristagnato, a parte una grave contrazione del -11,3% nel 2020 durante il primo anno della pandemia di coronavirus.

All’inizio di quest’anno, il governo iracheno ha dichiarato che un quarto della popolazione – circa 11 milioni di persone – vive al di sotto della soglia di povertà, con segnali che il problema potrebbe essere anche peggiore a causa delle difficoltà nel fornire informazioni accurate.

Il paese si è costantemente classificato tra i paesi più corrotti del pianeta, con l’indice di percezione della corruzione di Transparency International che colloca regolarmente l’Iraq in cima alla classifica dei sistemi politici più corrotti.

L’entità del furto del tesoro iracheno ha acceso un breve e insolito riflettore ai più alti livelli di governo quando l’ex presidente Barham Salih  nel 2021 rivelò che dal 2003 erano stati rubati 150 miliardi di dollari di entrate petrolifere.

Questa ammissione fu vista come una terribile accusa contro l’intero apparato politico, un sistema di clientelismo e nepotismo in cui i partiti si contendono i seggi parlamentari e il controllo dei ministeri non per servire il popolo, ma per trarne profitto.

Arrivava anche in un contesto di violenza politica e settaria che cercava di cementare il controllo politico sulle aspirazioni del popolo iracheno, con conseguenze mortali per tutti coloro che si opponevano o dissentivano.

Un marine americano punta il fucile contro un edificio che brucia nella città di Fallujah, il 14 novembre 2004. [Getty]
Quando iniziò il movimento di protesta dell’ottobre 2019, la risposta del governo fu quella di usare il pugno duro per reprimere le manifestazioni, ignorando la violenza messa in atto dai politici che ancora controllano potenti milizie settarie e godono del sostegno di potenze regionali come l’Iran. Le milizie sponsorizzate dall’Iran schierarono cecchini e fecero ricorso alle armi da fuoco per reprimere le proteste.

Nonostante le numerose promesse di indagare sulla violenza e di identificare i responsabili, Human Rights Watch, nel suo ultimo rapporto mondiale del 2022, ha confermato che ciò non è accaduto.

Ciò si associa a una serie  di promesse non mantenute di indagare sugli abusi di potere dello stato, inclusi potenziali crimini di guerra perpetrati dalle forze governative e dalle milizie irregolari sostenute dallo stato durante la guerra contro il gruppo dello Stato islamico (IS) tra il 2014 e il 2017.

Oltre a questa violenza e insicurezza endemiche, la percezione da parte del popolo iracheno dell’estrema corruzione e della totale mancanza di responsabilità, è stata una causa diretta dietro la bassa affluenza alle urne alle elezioni generali del 2021, un  36% successivamente rivisto dalla commissione elettorale al 43% – una cifra che è stata contestata.

 “Come risultato diretto dell’invasione, il settarismo è ora un fatto inevitabile del tessuto socio-politico dell’Iraq moderno”

Settarismo sponsorizzato dallo stato e politica di divisione

Mentre la comunità internazionale, e in particolare gli Stati Uniti, sono rimasti relativamente inattivi sugli abusi perpetrati dai loro nuovi alleati a Baghdad, non è solo qui che le loro promesse agli iracheni sono state infrante. Come risultato diretto dell’invasione, il settarismo è ora un fatto inevitabile del tessuto socio-politico dell’Iraq moderno, anche se gli iracheni lo disapprovano a causa degli  effetti distruttivi sul paese.

La ragione di ciò è sistemica, piuttosto che una predisposizione sociale. Con l’invasione e il rovesciamento del governo di Saddam nacque un nuovo ordine, garantito dagli americani in armi e con l’intento dichiarato di garantire i diritti di partecipazione di tutte le maggiori comunità etno-settarie irachene: gli arabi sciiti, gli arabi sunniti e i curdi sunniti.

Quello che divenne noto come muhasasa era radicato nel nascente processo politico. Gli alti seggi delle cariche pubbliche erano divisi secondo criteri etno-settari, con le cariche di primo ministro, presidente e presidente del parlamento suddivise rispettivamente tra sciiti, curdi e sunniti.

Questa divisione del potere politico lungo linee confessionali prevedeva che ciascuno dei principali gruppi demografici dell’Iraq avrebbe votato secondo le proprie comunità ma, invece di ridurre le tensioni tra le comunità, ha avuto l’effetto negativo di approfondirle e di dividere ogni gruppo principale in fazioni intrinsecamente diffidenti verso coloro che avrebbero dovuto essere considerati loro connazionali.

Questo è ormai evidente e si riflette nei mutevoli atteggiamenti degli iracheni negli ultimi due decenni. Laddove alcuni iracheni hanno accolto con favore l’invasione del 2003, credendo che fosse la fine della tirannia, hanno invece scoperto che l’oppressione si è aggravata.

In un’ormai famosa intervista alla BBC, un meccanico iracheno raccontò la storia di come accolse le forze d’invasione americane quando  entrarono a Baghdad, apparentemente come liberatori, il 9 aprile 2003. Era così euforico che colpì con una mazza la statua di Saddam Hussein, che fu poi abbattuta da un blindato americano.

Tuttavia,  13 anni dopo, quando venne nuovamente intervistato da media internazionali, espresse rammarico per le sue azioni e  auspicò apertamente  il ritorno di Saddam, affermando che gli iracheni “ora hanno un Saddam ad ogni angolo di strada”, in riferimento allo stato di gangsterismo che aveva conquistato il suo paese.

Truppe statunitensi entrano a Baghdad, drappeggiano una bandiera americana e rovesciano una statua di Saddam Hussein il 9 aprile 2003. [Getty]
 Le cose sono peggiorate molto dal 2013, e non solo in Iraq. Con il totale fallimento degli Stati Uniti e dei suoi alleati nel mantenere ciò che avevano promesso al popolo iracheno, e con una scia di distruzione lasciata dietro di loro, si manifestarono riverberi regionali che possono essere riconosciuti nel conflitto settario in Siria, Yemen, Libano e nelle aree irrequiete del Golfo Arabo, tra cui l’Arabia Saudita e il Bahrein.

A livello internazionale, ciò portò altre potenze emergenti come la Russia e la Cina a citare il completo disprezzo dell’America per le Nazioni Unite e per altri strumenti dell’ordine internazionale che  si erano opposti alla guerra in Iraq, ogni volta che vogliono giustificare le proprie azioni destabilizzanti e distruttive.

L’opinione è che gli Stati Uniti non siano in grado di fare la morale sull’invasione russa dell’Ucraina o sulle azioni cinesi a Hong Kong e altrove dopo aver essi stessi ignorato il consenso internazionale e il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, rendendo quindi la guerra illegale dal diritto internazionale, come confermato dell’ex segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan.

Mentre le azioni immorali di uno stato non dovrebbero costituire una giustificazione per le azioni immorali di altri, gli Stati Uniti avevano una posizione unica come egemone unipolare del mondo ed erano un architetto chiave dietro l’ordine internazionale che continuò a minare non solo invadendo l’Iraq , ma anche lasciandolo nello stato in cui si trova oggi.

 “Con il totale fallimento degli Stati Uniti e dei suoi alleati nel mantenere ciò che avevano promesso al popolo iracheno, e con una scia di distruzione lasciata dietro di loro,  arrivarono le ripercussioni regionali”

Il sostegno internazionale all’Iraq affinché diventi un paese stabile e indipendente che rispetti i desideri del suo popolo contribuirebbe in qualche modo a invertire il pantano regionale che affligge il Medio Oriente e ripristinerebbe anche la fiducia nel sistema internazionale.

Tuttavia, con l’attuale lista di politici che governano il paese e l’incessante ingerenza negli affari iracheni da parte di Iran e Stati Uniti, quella soluzione sembra essere molto lontana.

La realtà è che l’Iraq ha perso due decenni e un’intera generazione a causa della guerra, della corruzione e della miseria.

 

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org