Usare il linguaggio giusto: il “Genocidio Graduale” dei palestinesi continua

Possiamo, e dobbiamo, usare un linguaggio più incisivo e appropriato, visto quello che vediamo accadere quotidianamente in Cisgiordania e a Gerusalemme, dove vengono uccisi soprattutto giovani e bambini.

Fonte: English version 

Ilan Pappé – 16 marzo 2023 

Immagine di copertina: Una donna palestinese esamina i danni causati dal Pogrom dei coloni ebrei nella città di Huwara, nella Cisgiordania occupata. (Foto: Oren Ziv, tramite ActiveStills)

Sto scrivendo questo editoriale il 10 marzo 2023. Settantacinque anni fa, in questa data, il comando militare dell’organizzazione sionista pubblicò il Piano Dalet, o Piano D, che, tra le altre linee guida, istruiva le forze sioniste in marcia per occupare centinaia di villaggi palestinesi e diverse città e quartieri nella Palestina storica, nel compiere:

“Distruzione di villaggi (appiccando fuoco, facendo saltare in aria e piantando mine nelle macerie), in particolare quei centri abitati che sono difficili da controllare continuamente”.

“Pianificare  le operazioni di ricerca e controllo secondo le seguenti linee guida: accerchiamento del villaggio e conduzione di una perquisizione al suo interno. In caso di resistenza, la forza armata deve essere distrutta e la popolazione deve essere espulsa fuori dai confini dello Stato”.

Linee guida simili sono state applicate alle aree urbane. Questa era una versione meno cruenta dei veri comandi che venivano dati alle unità a terra. Ecco un esempio di un ordine inviato a un’unità incaricata di occupare tre grandi villaggi nella Galilea occidentale come parte delle direttive del Piano D:

“La nostra missione è di attaccare a scopo di occupazione, uccidere gli uomini, distruggere e dare fuoco a Kabri, Umm al-Faraj e An-Nahr”

Quindi, non c’è niente di nuovo quando Bezalel Smotrich, il Ministro delle Finanze di Israele chiede la cancellazione di Huwara. Si è scusato perché tali commenti dovevano essere pronunciati solo in ebraico, ma ha dimenticato che questo è il 2023 e le sue parole sono state immediatamente tradotte in inglese. Smotrich si è scusato perché è stato tradotto, non per averlo detto.

Gli studiosi palestinesi hanno capito molto presto che il linguaggio sionista rivolto a Israele è molto diverso dalla sua presentazione all’esterno. Sono stati in grado, qua e là, di trovare espressioni simili, anzi peggiori, su un periodo storico che va dal Piano D alle attuali uccisioni quotidiane di palestinesi, alla demolizione delle loro case e all’incendio delle loro attività.

Walid Khalidi espose al pubblico inglese il Piano Dalet, ed Edward Said attirò la nostra attenzione, nel suo fondamentale volume: ‘The Question of Palestine’ (La Questione Palestinese), in un’intervista, pubblicata nel 1978 su un quotidiano locale israeliano, con Mordechai Gur, allora Capo di Stato Maggiore dell’esercito israeliano. L’intervista è stata condotta sulla scia della prima e in gran parte inosservata invasione israeliana del Libano di quell’anno. Il capo dell’esercito israeliano ha dichiarato:

“Io non sono una di quelle persone che hanno una memoria selettiva. Pensate che io finga di non sapere cosa abbiamo fatto in tutti questi anni? Cosa abbiamo fatto per l’intera lunghezza del Canale di Suez? Un milione e mezzo di profughi! Abbiamo bombardato Ismailia, Suez, Port Said e Port Fuad”.

Sono sicuro che pochissimi dei nostri lettori sanno che Israele ha creato un milione e mezzo di profughi egiziani all’indomani della guerra di giugno.

E poi, a Gur viene chiesto se ha fatto una distinzione tra popolazioni militari e civili:

“Vi prego, siamo seri. Non sapevate che l’intera valle del Giordano era stata svuotata dai suoi abitanti a seguito della guerra di logoramento con la Giordania?”

Il giornalista ha proseguito con una domanda: “Allora lei afferma che la popolazione dovrebbe essere punita?”

“Ovviamente. E non ho mai avuto dubbi su questo. Sono passati ormai 30 anni dalla nostra indipendenza che abbiamo ottenuto combattendo contro la popolazione civile (araba) che abitava i villaggi e le città”.

Questo è stato nel 1978, e come sappiamo, questa politica continua ancora oggi con punti di riferimento orribili che includono Sabra e Shatila, Kafar Qana in Libano, Jenin e la Striscia di Gaza. Eppure, anche quando abbiamo guardato a quelle atrocità le abbiamo definite, giustamente, pulizia etnica; o, come le definì Edward Said, un progetto di accumulazione (di terra e potere) e spostamento (di persone, della loro identità e della loro storia).

Ho esitato a usare, per tutti questi capitoli oscuri, il termine “Genocidio”. L’ho usato solo una volta quando, descrivendo la politica israeliana nei confronti della Striscia di Gaza dal 2006, l’ho inquadrato come un Genocidio Graduale. Le recenti ondate di uccisioni, dall’inizio di quest’anno e il beneficio di un altro momento commemorativo di raccoglimento, giustificano probabilmente l’estensione del termine oltre gli atroci assalti e l’assedio di Israele alla Striscia di Gaza.

Collegare i punti delle uccisioni tra un periodo di pochi mesi in cui “solo” un piccolo numero di persone viene fucilato ogni giorno e massacri che si estendono su più di 70 anni è qualcosa che non è facilmente accettato come prova di politiche genocide.

Eppure, quella storia è la genealogia del Genocidio secondo l’Articolo 2 della “Convenzione delle Nazioni Unite sulla prevenzione e la punizione del crimine di Genocidio”, che stabilisce che i seguenti atti, elencati di seguito, equivalgono a Genocidio se sono stati compiuti “con  l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”:

1 – Uccidere membri del gruppo.

2 – Causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo.

3 – Infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita concepite appositamente per provocarne la distruzione fisica in tutto o in parte.

4 – Imporre misure volte a impedire la natalità all’interno del gruppo.

5 – Trasferimento forzato di bambini del gruppo in un altro gruppo.

6 – cercare di persuadere le persone a credere a cose in cui già credono:

Sono certo che molti dei nostri lettori reagirebbero dicendo che sanno che si tratta di Genocidio. Ma nessuno di noi che fa parte del gruppo di The Palestine Chronicle, e generalmente parte del movimento di solidarietà con i palestinesi, è qui per cercare di persuadere le persone a credere a ciò in cui già credono. Facciamo tutti parte dello sforzo, guidato dal movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), per persuadere la società civile internazionale a riconoscere Israele come uno Stato di Apartheid. Questo non è un semplice risultato, anche se la maggior parte dei governi del mondo si rifiuta ancora di farlo. Si tratta di un progetto meritevole poiché, quando avrà successo, porterà a sanzioni significative.

Allo stesso modo, lo svolgimento molto chiaro delle politiche genocide israeliane in Cisgiordania, non solo nella Striscia di Gaza, e non solo di recente, ma dal 1948, anche sulla base di prove fornite dagli stessi alti generali israeliani, potrebbe finalmente consentire di rendere il diritto internazionale rilevante per la Palestina. Per anni, le principali istituzioni e tribunali hanno deluso i palestinesi e fornito l’immunità a Israele, principalmente a causa della pretesa di avere un sistema giudiziario forte e indipendente. Quest’ultima è una pretesa infondata nel migliore dei casi, e una pretesa totalmente ridicola ora, dati i recenti sforzi legislativi in Israele.

Anche se le istituzioni preposte all’applicazione del diritto internazionale fossero state più ligie nel loro sostegno ai palestinesi, avrebbero avuto difficoltà a processare comandanti o soldati israeliani sulla base delle accuse di pulizia etnica dei palestinesi. La “pulizia etnica” non è un termine legale, nel senso che i suoi autori non possono essere assicurati alla giustizia sulla base di quella specifica accusa; non è riconosciuto come reato dal diritto internazionale. Questo è ingiusto e può cambiare, ma è la realtà con cui dobbiamo fare i conti. Il crimine di Apartheid è riconosciuto come crimine contro l’umanità dal diritto internazionale e i suoi autori possono essere assicurati alla giustizia.

È importante considerare l’uso del termine per un ulteriore motivo. Una visione comune dei sionisti liberali è che ciò che è accaduto in Palestina è una piccola ingiustizia commessa per rimediare ad una più grande e orribile. Questa assurda giustificazione è stata recentemente accompagnata dalle nuove definizioni di negazione dell’Olocausto adottate da molti Paesi e università che non ammettono alcuna comparazione tra l’Olocausto e la Nakba; un’equiparazione che sarà inquadrata come antisemitismo.

Queste due ipotesi sono sbagliate per due motivi. Primo, la “piccola” ingiustizia è ancora in corso; non sappiamo ancora quanto sarà orribile alla fine, ma quello che sappiamo è che non è piccola e si adatta alla definizione di Genocidio.

Secondo, questo non è un paragone con l’Olocausto. È un’insistere sul fatto che un crimine contro l’umanità, ben definito nel diritto internazionale, possa continuare. E perché ciò finisca, forse non basterà parlare di Apartheid e pulizia etnica.

Possiamo, e dobbiamo, usare un linguaggio più incisivo e appropriato, visto quello che vediamo accadere quotidianamente in Cisgiordania e a Gerusalemme, dove vengono uccisi soprattutto giovani e bambini. Ciò è necessario anche alla luce della criminalizzazione in corso degli arabi del 1948, nei cui villaggi e città le forze di sicurezza israeliane consentono a bande locali, purtroppo palestinesi, di uccidere per lo Stato.

Ilan Pappé è professore all’Università di Exeter. In precedenza è stato docente di scienze politiche presso l’Università di Haifa. È autore di The Ethnic Cleansing of Palestine, The Modern Middle East (La Pulizia Etnica della Palestina, il Medio Oriente Moderno); A History of Modern Palestine: One Land, Two Peoples (Una Storia Della Palestina Moderna: Una Terra, Due Popoli) e Ten Myths about Israel (Dieci Miti su Israele). Pappé è descritto come uno dei “Nuovi storici” israeliani che, dal rilascio dei pertinenti documenti del governo britannico e israeliano all’inizio degli anni ’80, hanno riscritto la storia della creazione di Israele nel 1948.

Traduzione: Beniamino Rocchetto –  Invictapalestina.org