Come i palestinesi si stanno opponendo alla politica di umiliazione di Israele

L’esercito israeliano percepisce l’umiliazione dei palestinesi come espressione di dominio, potere e supremazia.

Fonte. English version

Di Ramzy Baroud – 19 dicembre 2023
Quando le milizie sioniste, utilizzando armi occidentali avanzate, conquistarono la Palestina storica nel 1947-1948, espressero la loro vittoria attraverso la deliberata umiliazione dei palestinesi. Sapendo come il disonore delle donne porta, secondo la cultura araba, un senso di disonore per l’intera comunità, gran parte di quell’umiliazione ha colpito in particolare le donne. Questa strategia è rimasta in uso fino ad oggi.

Quando il mese scorso decine di donne palestinesi sono state rilasciate in seguito agli scambi di prigionieri tra la Resistenza Palestinese e Israele, c’era ben poco spazio per nascondere i fatti.

A differenza della comunità palestinese di 75 anni fa, la generazione di oggi non interiorizza più l’umiliazione intenzionale di donne e uomini da parte di Israele come se fosse un atto di disonore collettivo. Ciò ha consentito a molte prigioniere appena rilasciate di parlare apertamente, spesso in diretta televisiva, del tipo di umiliazione a cui sono state esposte durante la detenzione militare israeliana.

L’esercito israeliano, tuttavia, continua ad agire con la stessa vecchia mentalità, percependo l’umiliazione dei palestinesi come espressione di dominio, potere e supremazia.

Nel corso degli anni, Israele ha perfezionato la politica dell’umiliazione, un concetto che si basa sul potere psicologico di umiliare interi collettivi per enfatizzare la relazione asimmetrica tra due gruppi di persone: in questo caso, l’Occupante e l’Occupato.

Questo è esattamente il motivo per cui, nei primi giorni dell’ultima guerra israeliana a Gaza, Israele ha arrestato tutti i lavoratori palestinesi della Striscia che si trovavano a lavorare in Israele come manodopera a basso costo al momento dell’operazione del 7 ottobre. La disumanizzazione sperimentata per mano dei soldati israeliani ha dimostrato una tendenza crescente tra gli israeliani a umiliare i palestinesi senza alcun motivo.

Uno dei peggiori episodi documentati è avvenuto il 12 ottobre, quando un gruppo di soldati e coloni israeliani ha aggredito tre attivisti palestinesi in Cisgiordania. I giornali israeliani Haaretz e Times of Israel hanno descritto come i tre sono stati aggrediti, spogliati, legati, torturati, urinato addosso e fotografati durante le violenze.

Quelle immagini erano ancora fresche nella mente dei palestinesi quando nuove prove arrivarono dal Nord di Gaza. Foto e video pubblicati dai media israeliani hanno mostrato uomini spogliati quasi completamente esibiti in gran numero per le strade di Gaza, mentre erano circondati da soldati israeliani ben equipaggiati e apparentemente minacciosi. Gli uomini sono stati ammanettati, legati insieme, costretti a chinarsi e poi, alla fine, ammucchiati su camion militari per essere portati in una località sconosciuta. Alla fine alcuni degli uomini furono rilasciati ed ebbero modo di raccontare storie da film dell’orrore, che spesso avevano finali sanguinosi.

Ma perché Israele fa questo?

Nel corso della sua storia, dalla nascita violenta all’esistenza altrettanto violenta, Israele ha deliberatamente umiliato i palestinesi come espressione del suo sproporzionato potere militare su una popolazione sfortunata, confinata e per lo più resa profuga.

Questa tattica è stata utilizzata maggiormente in determinati periodi storici, quando i palestinesi si sentivano forti, come un modo per spezzare il loro spirito collettivo. La Prima Intifada, dal 1987 al 1993, fu all’apice di questo tipo di umiliazione. Ragazzi e uomini di età compresa tra i 15 e i 55 anni venivano abitualmente trascinati nei cortili delle scuole, denudati, costretti a inginocchiarsi per ore interminabili, picchiati e insultati attraverso gli altoparlanti dai soldati israeliani. Tali insulti sono diretti a tutto ciò che i palestinesi hanno di più caro: le loro religioni, il loro Dio, le loro madri, i loro luoghi santi e altro ancora.

Quindi, ragazzi e uomini sarebbero stati costretti a compiere atti auto-degradanti, come sputarsi in faccia a vicenda, insultarsi o schiaffeggiarsi a vicenda. Coloro che si fossero rifiutati sarebbero stati immediatamente sopraffatti, picchiati e arrestati.

Questi metodi continuano ad essere applicati nelle carceri israeliane, soprattutto durante gli scioperi della fame, ma anche durante gli interrogatori. In quest’ultimo caso, gli uomini sarebbero minacciati di stupro delle loro mogli o sorelle, mentre le donne sarebbero minacciate di violenza sessuale.

Questi episodi incontrano spesso una sfida collettiva palestinese, che alimenta direttamente la Resistenza Popolare Palestinese.

L’immagine del combattente palestinese, vestito con una divisa militare e brandendo un fucile automatico mentre cammina con orgoglio per le strade di Nablus, Jenin o Gaza, di per sé non ha uno scopo militare. Si tratta, tuttavia, di una risposta diretta all’impatto psicologico del tipo di umiliazione inflitta alla società palestinese dall’Esercito di Occupazione Israeliano.

Ma qual è la funzione di una parata militare palestinese? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo esaminare la sequenza degli eventi. Quando gli israeliani arrestano gli attivisti palestinesi, tentano di creare lo scenario perfetto di una comunità umiliata e sconfitta: il terrore provato dalla gente quando iniziano le incursioni notturne, i pestaggi dei familiari, dei detenuti e le ingiurie, insieme ad altre scene orribili ben coreografate.

Ore dopo, i giovani palestinesi escono per le strade dei loro quartieri, sfilando orgogliosamente con le loro armi, tra le urla delle donne e gli sguardi eccitati dei bambini. Questo è esattamente il modo in cui i palestinesi rispondono all’umiliazione.

La Resistenza armata palestinese è diventata molto più forte negli ultimi anni, e Gaza rappresenta attualmente un esempio calzante. Poiché l’esercito israeliano non riesce a rioccupare Gaza e a sottomettere la sua popolazione, utilizzare la politica dell’umiliazione su vasta scala è semplicemente impossibile. Al contrario, sono gli israeliani a sentirsi umiliati, e non solo per quello che è successo il 7 ottobre, ma anche per tutto quello che è successo da allora.

Incapace di operare liberamente nel cuore di Gaza, Khan Yunis, Rafah o qualsiasi altro grande centro abitato della Striscia, l’esercito israeliano è costretto a umiliare i palestinesi in qualunque contesto possa controllare; Beit Lahia, per esempio.

Frustrati dal fallimento dei loro militari nel mantenere le promesse di sottomettere gli abitanti di Gaza, molti israeliani comuni si sono rivolti ai social media per schernire i palestinesi a modo loro. Le donne israeliane, spesso insieme ai propri figli, si vestivano in modo da trasmettere una rappresentazione razzista delle donne arabe che piangono sui corpi dei loro figli morti. Questo scherno sui social media sembra aver attinto all’immaginazione di alcuni settori della società israeliana, che ancora insistono sul loro senso di superiorità, anche se stanno pagando il prezzo della propria violenza e arroganza politica.

Questa volta, tuttavia, la politica di umiliazione di Israele si sta rivelando inefficace perché il rapporto tra palestinesi e israeliani è sul punto di essere radicalmente cambiato.

Una persona viene umiliata solo se interiorizza quell’umiliazione come un senso di vergogna e impotenza. Ma oggi i palestinesi non provano questo tipo di sentimenti. Al contrario, il loro continuo “Sumud” (Fermezza) e unità hanno generato un senso di orgoglio collettivo senza eguali nella storia.

Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Ramzy Baroud è un ricercatore senior non di ruolo presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), dell’Università Zaim di Istanbul (IZU).

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org