Le Hezbollah joue un rôle fondamental dans la résistance à la domination d’Israël

Mentre le dimissioni del primo ministro libanese Saad Hariri, e le accuse che ha appena fatto contro l’Iran e Hezbollah, sembrano segnare l’inizio di una nuova fase di turbolenze in Libano, ci sembra opportuno ricordare il ruolo giocato da tempo da Hezbollah nella resistenza contro le mire di Israele. Dopo aver fallito, attraverso la guerra contro lo Stato siriano, nel rompere l’asse Siria – Hezbollah – Iran, l’Arabia Saudita e Israele ora cercano un altro modo per raggiungere questo obiettivo.

Arrêt sur info inizia la pubblicazione di una serie di articoli scritti durante la guerra contro Hezbollah condotta e persa da Israele nel 2006, utili per capire cosa sta succedendo oggi. [ASI]

Hezbollah svolge un ruolo fondamentale nella resistenza alla dominazione d’Israele

di Lara Deeb, 31 luglio 2006

Introduzione all’articolo  gentilmente scritto per Invictapalestina da  Zohra Credy

Hezbollah, il movimento sciita libanese i cui miliziani stanno per combattere contro l’esercito israeliano nel sud del Libano, è presentato dalla gran parte della copertura mediatica del conflitto in corso in maniera distorta. Molto più che una semplice milizia, questo movimento è anche un partito politico che gioca un ruolo fondamentale nella politica libanese e fornisce considerevoli servizi sociali alla popolazione. In nessun caso emanazione di non si sa quale sponsorizzazione iraniana e siriana, Hezbollah è nato dalla lotta contro l’occupazione israeliana del Libano meridionale tra il 1982 e il 2000 e, più in generale, per difendere la comunità sciita del Libano, oppressa nel corso di secoli. Sebbene abbia molti oppositori in Libano, Hezbollah è assolutamente a casa sua in questo paese, di cui è un elemento costitutivo. L’unico aspetto positivo della campagna militare israeliana è darne la dimostrazione.

Sciiti libanesi e lo stato libanese

In Libano, il rapporto tra stato e società è di natura “confessionale”. L’autorità e le responsabilità del governo sono assegnate sulla base dell’appartenenza religiosa. Oggi nel paese ci sono diciotto comunità etno-confessionali ufficialmente riconosciute. La distribuzione dei poteri, stabilita nel 1943 con una legge non scritta – il Patto Nazionale, stipulato tra cristiani maroniti e musulmani sunniti alla fine del mandato francese – conferisce la maggior parte del potere a un Presidente della Repubblica (necessariamente) cristiano maronita e a un Primo Ministro (necessariamente) musulmano sunnita, la funzione, relativamente meno prestigiosa, di presidente del Parlamento sciolto a un musulmano sciita. Le restanti funzioni di governo e i restanti seggi in Parlamento sono distribuiti secondo un rapporto di 6 cristiani contro 5 musulmani. Queste disposizioni rispettano presumibilmente la composizione della popolazione libanese registrata nel censimento del 1932, l’ultimo (!) ad essere stato effettuato nel paese.

Questo sistema confessionale è superato in quanto non tiene conto dei cambiamenti demografici. Poiché la comunità sciita è cresciuta più rapidamente delle altre comunità, la rigidità del sistema ha acutizzato la sua sottorappresentazione nel governo. Allo stesso tempo, l’appartenenza comunitaria è diventata sempre più un mezzo per accedere alle risorse statali, con il governo che spande a piene mani denaro per creare reti e istituzioni su base confessionale, come scuole e ospedali. Gli sciiti, sottorappresentati nel governo, non hanno potuto convogliare tante risorse finanziarie quanto gli altri verso la loro comunità, cosa che si è tradotta in una sproporzionata povertà tra gli sciiti libanesi. Questo effetto è stato aggravato dal fatto che i seggi sciiti in Parlamento erano tradizionalmente occupati da proprietari terrieri feudali e da altre élite lontane dal popolo.

Fino agli anni ’60, la maggior parte degli sciiti libanesi viveva in aree rurali, soprattutto nel sud e nella valle della Bekaa, dove le condizioni di vita erano molto lontane dal poter raggiungere il livello di sviluppo delle altre regioni del paese. In seguito ad un programma di modernizzazione che ha creato una rete stradale e introdotto politiche agricole redditizie nelle campagne, molti musulmani sciiti emigrarono a Beirut, dove si stabilirono dando luogo a periferie svantaggiate intorno alla capitale. La rapida urbanizzazione del Libano, come risultato del suo inserimento nell’economia capitalista mondiale, ha ulteriormente accentuato le disparità economiche presenti nella sua popolazione.

Le origini

Inizialmente questa popolazione urbana, composta principalmente da sciiti libanesi diseredati, non fu mobilitata secondo linee settarie. Negli anni ’60 e nei primi anni ’70, gli sciiti costituivano la maggior parte degli attivisti e dirigenti del Partito Comunista Libanese e del Partito Socialista Nazionale Siriano. Ma alla fine degli anni ’70, Sayyid Musa al-Sadr, un religioso musulmano carismatico che aveva studiato nella città santa sciita irachena di Najaf, cominciò a entrare in competizione con i partiti della sinistra, conquistando la fedeltà della gioventù sciita. Al Sadr offrì loro l’alternativa del “Movimento dei Diseredati”, impegnato nel fare ottenere ai diseredati i loro diritti politici all’interno della società civile libanese. Una milizia proveniente da questo movimento, Amal, fu fondata agli inizi della guerra civile libanese nel 1975. Accanto ad al-Sadr c’erano anche altri capi religiosi sciiti libanesi, molti dei quali avevano studiato a Najaf, che operavano attivamente per stabilire reti sociali e religiose di base nella periferia sciita di Beirut. Tra questi, citiamo Sayyid Muhammad Husayn Fadlallah, oggi una delle “fonti di emulazione” più rispettate tra gli sciiti in Libano ma anche ben oltre i confini libanesi, e Sayyid Hasan Nasrallah. Una “fonte di emulazione” (marja’ al-taqlid) è uno studioso di religione la cui erudizione è a tal punto riconosciuta che i musulmani sciiti si preoccupano di conoscere il suo parere riguardo questioni religiose e di seguirlo. Tra gli sciiti, il titolo di “sayyid” (maestro, signore) indica una rivendicazione di appartenza al lignaggio di Mohamed, il profeta dell’Islam.

Tra il 1978 e il 1982 una serie di avvenimenti portò alla ribalta la mobilitazione sciita nascente e spaccò ancor più i partiti di sinistra: due invasioni del Libano da parte di Israele, la scomparsa inspiegabile di Musa al Sadr e la rivoluzione islamica in Iran. Nel 1978, mentre visitava la Libia, Al Sadr scomparve misteriosamente dalla scena e fu questa scomparsa a causare la sua immensa popolarità. Quello stesso anno, per respingere i combattenti dell’Olp che erano allora di base in Libano, Israele invase il sud del paese spostando 250.000 persone. La prima conseguenza di questi due avvenimenti fu la rivitalizzazione del movimento Amal, tra i cui miliziani combatterono i guerriglieri dell’OLP nel sud del Libano. Gli sciiti sentivano sempre più che la sinistra libanese aveva fallito, tanto nell’ottenere più diritti per i poveri, quanto nel proteggere il sud dai combattimenti tra OLP e Israele. L’anno successivo la rivoluzione islamica in Iran diede un nuovo tipo di modello da seguire ai musulmani sciiti di tutto il mondo e offrì una visione di un mondo alternativo al capitalismo liberale occidentale, diversa da quella propugnata dai movimenti di sinistra.

L’ultimo ingrediente – indubbiamente il più importante – di questo coacervo di avvenimenti, fu la seconda invasione del Libano, nel giugno 1982. Questa volta le truppe israeliane, decise a cacciare completamente l’OLP dal Libano, si scagliarono verso il nord e assediarono Beirut. Decine di migliaia di libanesi furono uccisi e feriti durante questa invasione e 450.000 libanesi furono cacciati dalle loro case. Tra il 16 e il 18 settembre 1982, sotto la protezione e la supervisione dell’esercito israeliano agli ordini di Ariel Sharon, allora ministro della Difesa israeliano, un’unità della milizia falangista libanese penetrò nei campi profughi di Sabra e Chatila a Beirut, e questi falangisti violentarono, assassinarono e mutilarono atrocemente migliaia di civili. Circa un quarto di questi profughi erano sciiti libanesi fuggiti dalle violenze scatenate nel sud. L’importanza del ruolo svolto dall’invasione israeliana del Libano nel 1982 nella comparsa di Hezbollah non va sottovalutata.

In seguito agli avvenimenti del 1982, molti esponenti di spicco del movimento Amal abbandonarono il partito, sempre più coinvolto in politiche venute dall’alto e sempre più slegato dalle lotte popolari contro la povertà e l’occupazione israeliana. In quegli anni, un certo numero di piccoli gruppi armati formati da giovani, organizzati sotto il vessillo dell’Islam, apparvero nel sud, nella valle della Bekaa e nelle periferie di Beirut. Questi gruppi, votati alla lotta contro l’esercito israeliano di occupazione, presero anche parte alla guerra civile libanese che all’epoca coinvolse una quindicina [15!] di armate e varie milizie. L’addestramento militare di base e le attrezzature delle milizie sciite furono forniti dall’Iran. Nel corso del tempo questi gruppi si fusero fondando Hezbollah, ma l’esistenza formale di questo “Partito di Dio” (questo il significato di Hezbollah) e del suo braccio armato, la Resistenza Islamica, non fu annunciata che il 16 febbraio 1985, in una “Lettera aperta agli oppressi del Libano e del mondo intero”.

 

Struttura e comando

 

Dal 1985, Hezbollah ha sviluppato una struttura interna complessa. Negli anni ’80 fu costituito un consiglio religioso formato da dirigenti di spicco, chiamato ëmajlis al-shura’ (ëmajlis al-shura’ = consiglio di consultazione e consenso). Questo consiglio di sette membri si arricchì di diramazioni responsabili dei vari aspetti di funzionamento del gruppo, con comitati ad hoc su questioni finanziarie, legali, sociali, politiche e militari. Si ebbero anche consigli locali a Beirut, nella Bekaa e nel sud. Verso la fine della guerra civile libanese, quando Hezbollah iniziò a prendere parte alla vita politica dello stato libanese, vennero istituiti altri due organismi decisionali politici: un consiglio esecutivo e un ufficio politico.

Sayyid Muhammad Husayn Fadlallah è spesso definito “capo spirituale” di Hezbollah. Tuttavia, sia lui che il partito hanno ripetutamente respinto questo tipo di relazione e, in effetti, c’è stata per un certo periodo una rottura tra lui e il partito sulla natura dell’istituzione islamica sciita che è la marja’iyya. Questa marja’iyya si riferisce alla pratica e all’istituzione che consiste nel seguire o imitare un “marja’ al-taqlid”, vale a dire uno studioso musulmano sciita degno di essere emulato. Fadlallah pensa che i teologi debbano lavorare in ogni genere di istituzione e che non dovrebbero essere affiliati a un singolo partito politico, né essere coinvolti nei banali affari del governo delle cose di quaggiù. In questo è molto vicino alla giurisprudenza sciita tradizionale e molto lontano dal concetto di ‘velayat-e faqih “[(il governo dei chierici (espressione persiana)] promulgato dall’ayatollah Ruhollah Khomeini in Iran.

Hezbollah e il suo ëmajlis al-shura’ (il suo consiglio consultivo) camminano sulle orme dell’ayatollah Ali Khamenei, successore di Khomeini come capo supremo della Repubblica islamica dell’Iran. Ma, individualmente, i simpatizzanti o i membri del partito sono liberi di scegliere quale marja’ [quale esempio] seguire, e molti preferiscono prendere come modello Fadlallah invece di Khamenei. La cosa importante da ricordare è che (per ogni sciita, in questo caso libanese), la fedeltà politica e l’emulazione religiosa sono due cose separate, indipendenti l’una dall’altra, che possono o no sovrapporsi in una singola individualità.

Sayyid Hasan Nasrallah è l’attuale leader politico di Hezbollah. Sebbene sia anche lui un teologo e abbia studiato a Najaf, non ha abbastanza prestigio per essere un marja’ al-taqlid, ed è egli stesso un discepolo religioso di Khamenei. Nasrallah è diventato segretario generale di Hezbollah nel 1992, dopo che Israele aveva assassinato il suo predecessore, Sayyid ‘Abbas Musawi (insieme alla moglie e al figlio di cinque anni). Nasrallah è largamente tenuto in considerazione in Libano – anche da coloro che non sono d’accordo con l’ideologia e le azioni del partito – come un leader che “dice le cose come stanno”. E’ sotto la sua guida che Hezbollah si impegnò a lavorare all’interno dello Stato e a iniziare a prendere parte alle elezioni, decisione che ha comportato l’allontanamento dei chierici più rivoluzionari dalla direzione del partito.

 

Hezbollah e Stati Uniti

 

Negli Stati Uniti, Hezbollah è generalmente associato agli attentati che distrussero nel 1983 l’ambasciata statunitense, la caserma dei Marines e il quartier generale di una forza multinazionale sotto la leadership francese a Beirut. Il secondo di questi attentati portò direttamente alla partenza dal Libano dall’esercito americano. Il movimento è citato anche dal Dipartimento di Stato in relazione ai rapimenti di occidentali in Libano e alla crisi degli ostaggi che determinò lo scandalo Iran-Contra, al dirottamento di un volo della TWA nel 1985 e agli attentati contro l’ambasciata israeliana e a un centro culturale a Buenos Aires nei primi anni ’90. Questi sospetti sono il motivo dichiarato della presenza del nome di Hezbollah nell’elenco delle organizzazioni terroristiche tenuto dal Dipartimento di Stato. Nel 2002, il Vice Segretario di Stato Richard Armitage diede una descrizione di Hezbollah rimasta celebre: “È una banda di terroristi” capace di “colpire in tutto il mondo”. Suggerì che “al-Qaeda al confronto è forse solo una squadra di serie B, in materia di terrorismo. Il coinvolgimento di Hezbollah in questi attacchi rimane comunque controverso. Anche se ammesso, è sbagliato quanto illogico relegare Hezbollah alla voce “terroristi”.

Abbiamo più di un buon motivo. In primo luogo, l’attività militare di Hezbollah è stata generalmente indirizzata nel mettere fine all’occupazione israeliana del Libano meridionale. Dopo il ritiro di Israele, nel maggio 2001, i membri di Hezbollah hanno operato per lo più rispettando “regole del gioco”, non dette ma reciprocamente comprese, in schermaglie di confine di bassa intensità, evitando vittime civili. In seguito Hezbollah ha subito un’evoluzione ed è cambiato notevolmente rispetto a come era nato: è diventato sia un partito politico libanese legittimo che un’organizzazione ombrello che riunisce una moltitudine di organizzazioni sociali.

Un altro pretesto invocato per mettere Hezbollah nella lista delle organizzazioni terroristiche: la reputazione di questo gruppo di avere condotto molti “attentati suicidi” o “operazioni di martirio”. In realtà, delle centinaia di operazioni militari intraprese da questa formazione durante l’invasione e l’occupazione del Libano, solo 12 hanno implicato la morte intenzionale di un combattente di Hezbollah. Almeno la metà degli “attentati suicidi” contro le forze d’occupazione in Libano sono stati effettuati da membri di partiti laici e di sinistra.

Infine, la terza ragione per cui gli Stati Uniti qualificano Hezbollah come organizzazione terroristica: l’idea che questa organizzazione ha come ragion d’essere la distruzione di Israele, o della “Palestina occupata”, secondo la retorica del partito. Questa prospettiva è sostenuta dalla Lettera aperta del 1985, che include frasi come “la definitiva partenza di Israele dal Libano prelude alla sua definitiva cancellazione dalla mappa e alla liberazione della venerabile Gerusalemme dal giogo dell’occupazione”. Ci si possono porre domande sulla fattibilità di un simile progetto, in particolare a causa dell’enorme asimmetria in termini di potenza militare e potenza distruttiva attualmente disponibile: gli attacchi di razzi di Hezbollah di questo mese di luglio 2006, iniziati dopo l’inizio dei bombardamenti israeliani sul Libano, hanno finora ucciso diciannove civili e danneggiato diversi edifici – ma questo non è niente in confronto alle devastazioni e morti causate dall’aeronautica israeliana in Libano. Fino a maggio 2000 la quasi totalità dell’attività militare di Hezbollah si era limitata alla liberazione del territorio libanese dall’occupazione israeliana. Gli attacchi transfrontalieri da maggio 2000 a luglio 2006 erano piccole operazioni tattiche (Israele non ha nemmeno risposto militarmente a tutti questi attacchi).

Il documento fondatore di Hezbollah afferma tra l’altro: “Non riconosciamo alcun trattato con Israele, nessun cessate il fuoco e nessun accordo di pace, né bilaterale né globale”. Questo linguaggio era stato adottato in un momento in cui l’invasione israeliana del Libano aveva dato vita alla milizia Hezbollah. Augustus R. Norton, autore di numerosi libri e articoli dedicati a Hezbollah, rileva che “anche se l’inimicizia di Hezbollah verso Israele non si deve comunque scartare, il fatto è che negozia tacitamente con Israele da anni.” I colloqui indiretti di Hezbollah con Israele nel 1996 e nel 2004, così come l’attualmente dichiarata volontà di raggiungere uno scambio di prigionieri, tutto questo denota un certo realismo da parte della leadership di questo partito.

Resistenza, politica e regole del gioco

Nel 1985 Israele si ritirò dalla maggior parte del territorio libanese, ma continuò ad occupare la parte meridionale del paese, controllando circa un decimo del Libano per mezzo sia di soldati israeliani che di una milizia di ausiliari libanesi, l’Esercito del Libano del Sud (ALS). La resistenza islamica di Hezbollah prese il comando delle operazioni, anche se altri contingenti partecipavano alla lotta contro l’occupante. Il partito lavorò anche per difendere e rappresentare gli interessi degli sciiti nella politica libanese.

La guerra civile libanese si è conclusa nel 1990, dopo la firma l’anno precedente degli Accordi di Ta’if. Questi accordi di Ta’if riaffermavano una variante del Patto Nazionale, dando più potere al Primo Ministro e aumentando il numero dei ministri musulmani nel governo. Ma anche se la forza numerica o confessionale delle diverse componenti della popolazione libanese è fonte di forti contestazioni, gli analisti più cauti ritengono che alla fine della guerra civile i musulmani sciiti rappresentavano almeno un terzo della popolazione, erano la più importante comunità confessionale. Altre stime sono ancora più alte.

Quando nel 1992, dopo la guerra civile in Libano, si tennero le prime elezioni, molte delle diverse milizie (che spesso provenivano da partiti politici) riacquistarono il loro status di partito politico e questi partiti parteciparono alle elezioni. Anche Hezbollah decise di prendervi parte dichiarando la sua intenzione di operare all’interno del quadro del sistema politico libanese esistente, pur mantenendo le sue armi per continuare la sua campagna di guerriglia contro l’occupazione israeliana nel sud, come gli accordi di Ta’if autorizzavano a fare. In queste prime elezioni il partito conquistò otto seggi, ottenendo il più grande gruppo parlamentare nel Parlamento forte di 128 seggi, i suoi alleati portarono altri quattro seggi. Da allora Hezbollah si è guadagnato la reputazione – anche tra coloro che respingono con veemenza la sua ideologia – di partito politico “pulito” e competente, sia a livello nazionale che locale. Questa reputazione è particolarmente importante in Libano, dove la corruzione del governo è dichiarata e sostenuta, in cui il clientelismo è la regola e le responsabilità politiche sono spesso ereditarie. In quanto corporazione, i parlamentari libanesi sono il corpo legislativo più fortunato del mondo.

Con la politica parlamentare del partito generalmente rispettata, nel corso degli anni il sostegno nazionale alle azioni della Resistenza islamica nel Sud ha subito oscillazioni. Gli attacchi israeliani contro i civili e le infrastrutture del Libano – compresa la distruzione delle centrali elettriche a Beirut nel 1996, 1999 e 2000 – hanno generalmente contribuito al rafforzamento del sostegno nazionale alla Resistenza. Ciò è avvenuto in particolare dopo il bombardamento israeliano del 18 aprile 1996 di un rifugio delle Nazioni Unite a Qana, dove dei civili si erano rifugiati, provocando la morte di 106 di loro.

L’occupazione del Libano meridionale è stata particolarmente costosa per Israele. Il primo ministro israeliano Ehud Barak fece del ritiro dal Libano meridionale un elemento delle sue promesse elettorali nel 1999 e annunciò che il ritiro sarebbe stato completato nel luglio 2000. Un mese e mezzo dopo la scadenza del termine annunciato, dopo le diserzioni nell’ALS e il tracollo di eventuali colloqui con la Siria, Barak ordinò una ritirata caotica dal Libano che sorprese molte persone. Alle tre del mattino, il 24 maggio 2000, l’ultimo soldato israeliano lasciò il suolo libanese e chiuse dietro di sé il portone del posto di frontiera di Fatima. Molti osservatori predissero che l’anarchia, la violenza settaria e il caos avrebbero riempito il vuoto lasciato dalle forze di occupazione israeliane e dall’ALS che presto si disperse. Queste previsioni furono contraddette da Hezbollah che riuscì a mantenere l’ordine nella regione di confine.

Nonostante il ritiro israeliano, rimane un conflitto territoriale: si tratta di un’area di pochi chilometri quadrati, chiamata Shebaa Farms, rimasta sotto occupazione israeliana. Libano e Siria sostengono che i fianchi delle colline sono territorio libanese, mentre Israele e le Nazioni Unite hanno dichiarato che fanno parte delle alture del Golan e quindi, di conseguenza, appartengono alla Siria (sebbene occupate da Israele). Dal 2000 il Libano aspetta anche che Israele consegni una mappa con l’indicazione della posizione di circa 300.000 mine messe dell’esercito israeliano nel Libano meridionale. “Regole del gioco” tacite in base all’accordo di non colpire i civili stabilite dopo il bombardamento di Qana nel 1996, hanno guidato dal 2000 il contenzioso intorno al confine israelo-libanese. Gli attacchi di Hezbollah contro le postazioni militari israeliane nelle Shebaa Farms occupate, ad esempio, hanno ricevuto in risposta un numero di bombardamenti limitato agli avamposti di Hezbollah e qualche attraversamento della barriera del suono su territorio libanese da parte di aerei da guerra israeliani.

Entrambe le parti, a volte, hanno violato queste “regole del gioco”. Tuttavia, le segnalazioni di violazioni alle frontiere da parte di osservatori delle Nazioni Unite indicano che Israele ha violato la Linea Blu che segna il confine tra i due paesi dieci volte in più rispetto a Hezbollah. Le forze israeliane hanno rapito pastori e pescatori libanesi. Hezbollah nell’ottobre del 2000 ha rapito un uomo d’affari israeliano in Libano, sostenendo che si trattava di una spia. Nel gennaio 2004, con l’intermediazione di mediatori tedeschi, Hezbollah e Israele hanno firmato un accordo in base al quale Israele ha rilasciato centinaia di prigionieri libanesi e palestinesi in cambio di quest’uomo d’affari e dei corpi di tre soldati israeliani. All’ultimo minuto i responsabili israeliani hanno respinto l’ordine della Corte Suprema israeliana e si sono rifiutati di consegnare gli ultimi tre prigionieri libanesi, tra cui Samir Al Qantar, il più “anziano” di questi prigionieri, in prigione da ventisette anni per aver ucciso tre israeliani dopo essersi infiltrato attraverso la frontiera con il territorio israeliano. Hezbollah si è impegnato ad aprire nuovi negoziati in qualsiasi modo, quando sarà opportuno.

Il nazionalismo di Hezbollah

Come ho detto, Hezbollah segue ufficialmente Khamenei in cui vede il marja’ del partito, e mantiene relazioni cordiali con l’Iran dagli anni ’80, quando questo paese contribuì ad armare e addestrare la milizia che sarebbe diventata Hezbollah. Ci sono regolari consultazioni con i leader iraniani e aiuto economico di importo indeterminato. L’Iran ha anche continuato a fornire assistenza militare alla Resistenza islamica, fornendo in particolare missili del suo arsenale. Queste relazioni, tuttavia, non significano affatto che l’Iran detti in un qualche modo la politica o le posizioni di Hezbollah, o che sia in grado di controllarne le azioni. D’altro canto, gli sforzi iraniani di infondere negli ambiti sciiti libanesi un’identità pan-sciita iraniano-centrica si sono scontrati con la loro identità araba e non hanno fatto altro che rafforzare il nazionalismo libanese di Hezbollah stesso.

Più o meno la stessa cosa è accaduta con la Siria, spesso considerata così vicina a Hezbollah tanto che la milizia di questo partito talvolta è chiamata “carta libanese” della Siria per i suoi sforzi di togliere a Israele il controllo degli altopiani del Golan. Anche se Hezbollah mantiene buoni rapporti con il governo siriano, la Siria non controlla né tanto meno detta le decisioni o le azioni di Hezbollah. Le decisioni del partito sono prese in maniera indipendente, in accordo con la rappresentazione che Hezbollah ha degli interessi del Libano e dei suoi propri interessi nella politica libanese. In seguito all’assassinio dell’ex Primo ministro libanese Rafîq al-Harîrî nel febbraio 2005 e in seguito al ritiro siriano dal Libano che ne conseguì, la posizione di Hezbollah è stata spesso erroneamente definita “pro-siriana”. In realtà la propaganda  del partito è stata attentamente scelta per non fare opposizione alla ritirata siriana e in modo di convertirla in un ritiro che non porterà alla rottura dei legami con il Libano e che si svolgerà in un’atmosfera improntata sulla “gratitudine” verso la Siria.

Non ci sono dubbi che Hezbollah sia un partito nazionalista. La sua visione del nazionalismo differisce da quella di molti libanesi e, in particolare, dal nazionalismo “fenicio” sposato dalla destra cristiana maronita, come pure dal nazionalismo neoliberista, sostenuto dagli USA, del partito di Hariri. Hezbollah sostiene un nazionalismo che considera il Libano uno stato arabo che non può tenersi fuori da cause come la questione palestinese. La sua ideologia politica conserva un aspetto esteriore islamico. La Lettera aperta del 1985 afferma l’aspirazione del partito a creare uno Stato islamico, ma solo attraverso la volontà popolare. “Non vogliamo un Islam che regni in Libano con la forza”, dice infatti il documento. La decisione del partito di partecipare alle elezioni del 1992 ha messo in evidenza il suo impegno a lavorare all’interno delle strutture esistenti dello Stato libanese, e ha anche segnato lo spostamento della focalizzazione su una resistenza pan-islamica a Israele del partito verso la politica interna libanese. Inoltre, dal 1992 i dirigenti Hezbollah hanno spesso riconosciuto le specificità proprie della società pluriconfessionale libanese e l’importanza della coesistenza intercomunitaria e del pluralismo nel paese. Va anche notato che molti degli elettori di Hezbollah non desiderano vivere in uno stato islamico. No, quello che vogliono è che il partito Hezbollah difenda i loro interessi e li rappresenti in un Libano pluralista.

La natura nazionalista del partito si è rafforzata durante il passaggio di Hezbollah dalla milizia di resistenza che era a partito politico e oltre. Dopo il ritiro della Siria è diventato chiaro che questo partito avrebbe avuto un ruolo più importante nel governo libanese. Infatti nelle elezioni del 2005 Hezbollah ha aumentato la sua rappresentanza parlamentare ottenendo 14 seggi in un blocco parlamentare con altri partiti che ne ha conquistati trentacinque. Sempre nel 2005, per la prima volta, il partito ha deciso di far parte del governo e attualmente detiene il ministero dell’Energia.

Hezbollah non considera la sua partecipazione al governo qualcosa in contraddizione con il mantenimento del suo status di milizia non statale. In effetti, il primo punto della piattaforma elettorale di Hezbollah nel 2005 era un appello a “salvaguardare l’indipendenza del Libano e proteggerlo dalla minaccia israeliana mantenendo la Resistenza,conservando l’ala militare di Hezbollah e le sue armi al fine di ottenere la piena liberazione dei territori libanesi ancora occupati.” Questa posizione pone il partito in contrasto sia con la risoluzione 1559 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che chiedeva nel settembre 2004 lo “smantellamento e il disarmo di tutte le milizie libanesi e non libanesi”, sia con quelle forze politiche che in Libano cercano di attuare la suddetta risoluzione. Prima degli eventi in corso (luglio 2006), Nasrallah e altri dirigenti del partito hanno partecipato a una serie di incontri sul “dialogo nazionale” volti a discutere i termini di un disarmo di Hezbollah. Questo dialogo non ha raggiunto alcuna conclusione prima dello scoppio delle violenze attuali, in parte a causa dell’insistenza di Hezbollah nell’affermare che le sue armi sono ancora necessarie per assicurare la difesa del Libano.

Ma questo partito ha anche una piattaforma sociale e si considera rappresentante delle istanze non solo dei libanesi sciiti, ma più in generale di tutti i libanesi poveri. La milizia Amal creata da Sayyid Musa Al Sadr si è anch’essa trasformata in un partito politico, il principale rivale politico di Hezbollah tra gli sciiti libanesi, anche se ora lavorano in tandem. Nabih Berri, da lungo tempo presidente del Parlamento e capo di Amal, è l’intermediario tra Hezbollah e i diplomatici in cerca di condizioni per un cessate il fuoco e uno scambio di prigionieri. Il partito svolge anche il consueto gioco politico in Libano, che vuole che i candidati giochino su alleanze regionali pluriconfessionali invece che su individualità, e si allea (in modo transitorio, tuttavia) con uomini politici che non necessariamente sostengono il suo programma. Nelle elezioni parlamentari del 2005, la sunnita nella lista di Hezbollah a Saida (Sidone) era Bahiyya Al Harîrî, sorella dell’ex primo ministro libanese assassinato. Dopo le elezioni, il più potente alleato del movimento sciita è l’ex generale Michel Aoun, figura “anti-siriana” per eccellenza nella politica libanese. Il movimento di Aoun, insieme a Hezbollah, ha dato un importante contributo alle grandi manifestazioni organizzate il 10 maggio scorso a Beirut per protestare contro i piani di privatizzazione del governo, che avrebbero portato a molti tagli di posti di lavoro nel settore pubblico libanese.

Azione sociale

Tra le altre conseguenze della guerra civile libanese: la stagnazione economica, la corruzione del governo e un divario crescente tra una classe media sempre più ridotta e un numero crescente di poveri. Anche i quartieri sciiti di Beirut hanno dovuto far fronte a massicci spostamenti di popolazione proveniente dal sud e dalla valle della Bekaa. In questo clima economico, il clientelismo comunitario diventa uno strumento indispensabile per la sopravvivenza.

Una rete sociale musulmana sciita si è sviluppata negli anni ’70 e ’80 con attori chiave come Al Sadr, Fadlallah e Hezbollah. Oggi, Hezbollah svolge il ruolo di un’organizzazione-ombrello sotto la quale vengono gestite molte istituzioni sociali. Alcune di loro forniscono sussidi mensili e assicurano un aiuto in campo alimentare, dell’istruzione, abitativo e dell’assistenza sanitaria alla popolazione svantaggiata; altre si dedicano al sostegno degli orfani; altre ancora si occupano della ricostruzione di aree danneggiate dalla guerra. Ci sono anche scuole sponsorizzate da Hezbollah, cliniche e ospedali quasi gratuiti, una scuola specializzata nell’accoglienza di bambini con sindrome di Down.

Queste istituzioni sociali si trovano in tutto il Libano e servono la popolazione locale indipendentemente dalla loro appartenenza confessionale, anche se sono particolarmente concentrate nelle regioni sciite del paese. Sono quasi interamente gestite da volontari, soprattutto donne, e la maggior parte dei loro finanziamenti provengono da donazioni individuali, sussidi di tutoraggio di orfani e dalla ‘tassa del culto’. I musulmani sciiti pagano ogni anno una ‘tassa del culto’ chiamata ‘khums’, che significa ‘il quinto’ e che corrisponde effettivamente a un quinto dei loro risparmi, tolte le spese correnti. La metà di questa ‘tassa del culto’ è destinata al mantenimento del marja’ al quale fanno capo. Dal 1995, quando Khamenei ha nominato Nasrallah e un altro dirigente Hezbollah come suoi agenti religiosi in Libano, i redditi “khums” degli sciiti libanesi seguaci di Khamenei sono passati direttamente nelle capienti casseforti di Hezbollah. Questi sciiti danno anche il loro “zakat”, cioè l’elemosina richiesta a tutti i musulmani che possono permetterselo, alla vasta rete di istituzioni sociali locali di Hezbollah. La maggior parte di questo sostegno finanziario proviene dagli sciiti libanesi che vivono all’estero.

Chi sostiene Hezbollah?

Essendo uno degli scopi dichiarati dell’attuale guerra di Israele l’eliminazione di Hezbollah dal sud del Libano, è fondamentale notare che questo partito gode di un sostegno molto ampio non solo nel Sud, ma nell’intero Libano – un sostegno che non dipende affatto dall’appartenenza comunitaria. Essere nato in una famiglia musulmana sciita, essere un musulmano sciita pio e praticante, non determina in nulla l’affiliazione politica di nessuno.

Anche lo status socio-economico è irrilevante. A volte si presume che Hezbollah si serva delle sue organizzazioni sociali per comprare supporto o che queste organizzazioni non siano altro che coperture di ‘attività terroristiche’. Queste rappresentazioni tradiscono solo una visione semplicistica di quello che questo partito è veramente. Una lettura più attenta e accurata suggerisce che la popolarità di cui gode è basata in parte sulla sua devozione ai poveri, poi sul suo programma politico e sui risultati conseguiti in Libano, sulla sua ideologia islamista e sulla sua resistenza all’occupazione del Libano e alle violazioni della sua sovranità da parte di Israele.

La popolarità di Hezbollah si basa su una combinazione di ideologia, resistenza e approccio allo sviluppo politico-economico. Per alcuni l’ideologia di Hezbollah è considerata una valida alternativa a un governo libanese sostenuto dagli Stati Uniti con progetti economici neoliberisti in Libano, così come un’opposizione al ruolo svolto dagli Stati Uniti in Medio Oriente. I suoi elettori non sono solo i poveri, ma sempre più libanesi della classe media e troviamo anche molti libanesi altamente “mobili” e istruiti. Molti dei suoi sostenitori sono musulmani sciiti, ma fra di loro ci sono anche molti libanesi appartenenti ad altre comunità religiose che sostengono il partito e/o la Resistenza islamica.

“Sostenitore di Hezbollah” è di per sé un’espressione molto vaga. Ci sono membri ufficiali del partito e/o della Resistenza islamica, ci sono volontari che operano in organizzazioni sociali affiliate al partito, c’è chi ha votato per Hezbollah nelle ultime elezioni, chi sostiene la Resistenza nel conflitto in corso, che sia d’accordo o meno con la sua ideologia. Pretendere di liberare il Libano meridionale da Hezbollah, farne il proprio obiettivo, rischierebbe di spopolare completamente il Sud, il che equivarrebbe a una pulizia etnica di questa regione.

Nell’attuale conflitto, mentre l’opinione pubblica libanese sembra divisa sulla questione se sia Hezbollah oppure Israele da accusare della devastazione che ha travolto il paese, la divisione non segue necessariamente linee di frattura confessionali. Ancora più importante: ci sono molti libanesi che non sono d’accordo con l’ideologia islamista di Hezbollah o con il suo programma politico e che pensano che la sua operazione del 12 luglio (che ha comportato la cattura di due soldati israeliani) sia stato un errore, ma sostengono la Resistenza islamica e considerano loro nemico Israele. Queste posizioni non si escludono a vicenda. Uno degli effetti dei bombardamenti israeliani su certi quartieri scelti di Beirut è stato quello di accentuare conflitti di classe in Libano che non potranno che aumentare la popolarità di Hezbollah tra i libanesi che si sentivano già esclusi dallo stile di ricostruzione e sviluppo attuato da Hariri.

 

Traduzione di Simonetta Lambertini – invictapalestina

Fonte: http://arretsurinfo.ch/le-hezbollah-joue-un-role-fondamental-dans-la-resistance-a-la-domination-disrael/

 

 

 

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