L’America Latina ha abbandonato la Palestina?

Copertina – Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu parla con il presidente messicano Enrique Pena Nieto durante un discorso ai media a Città del Messico – Messico, 14 settembre 2017 [Edgard Garrido / Reuters]

di Massimo Di Ricco (*), 16 gennaio 2018

 

“Dio benedica il Guatemala”. La scorsa vigilia di Natale il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ringraziato con queste parole il presidente del Guatemala Jimmy Morales per la sua decisione di trasferire l’ambasciata in Israele del suo paese da Tel Aviv a Gerusalemme.

La decisione di Morales è stata una sorpresa per molti in tutto il mondo. Ma il Guatemala, primo paese a mostrare interesse per il trasferimento della propria ambasciata a Gerusalemme in seguito alla mossa di Donald Trump, non è stato l’unico paese dell’America Latina a cercare di compiacere il presidente degli Stati Uniti a spese della Palestina.

Solo pochi giorni prima l’annuncio dell’ambasciata del Guatemala diversi altri paesi dell’America Latina e dei Caraibi si erano astenuti in un voto dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite contro il riconoscimento degli Stati Uniti di Gerusalemme come capitale di Israele. Gli astenuti includevano Messico, Argentina e Colombia – paesi che Netanyahu ha visitato lo scorso settembre, durante la prima visita dalla fondazione di Israele di un primo ministro israeliano nella regione.

Il cambiamento di atteggiamento dell’America Latina verso la Palestina è simbolo di un’influenza israeliana più forte in una regione storicamente trascurata da Tel Aviv. Che viene anche a coincidere con il consolidamento di governi di destra in America Latina e la rinascita degli Stati Uniti come potenza dominante in una regione che ha sempre definito come suo “cortile di casa”.

 

In corsa per dare appoggio agli Stati Uniti

 

Tradizionalmente la lotta palestinese ha goduto di un grande sostegno in America Latina, soprattutto a livello popoloare.

Verso la fine del 2010 – inizio 2011 Brasile, Argentina, Bolivia, Cile ed Ecuador si unirono a Cuba, Venezuela, Nicaragua e Costa Rica per riconoscere ufficialmente lo stato palestinese. In quello stesso anno sostennero anche l’adesione palestinese all’UNESCO.

A quei tempi l’America Latina sembrava essere un vero alleato palestinese, con leader di sinistra come Hugo Chavez, Rafael Correa, Cristina Fernandez de Kirchner, Lula da Silva e Dilma Rousseff.

Ma molto è cambiato da allora. Chavez è morto, Lula e Rousseff sono stati rimossi dal potere, Correa ha preso una pausa dal potere e Kirchner e il suo ex governo hanno affrontato accuse di tradimento. Ciò che rimane dell’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (ALBA), di cui Venezuela, Nicaragua, Bolivia, Ecuador e Cuba sono i principali rappresentanti, critica ancora fortemente la politica statunitense in Medio Oriente, ma con una risonanza limitata all’interno della regione.

L’America Latina si è gradualmente spostata a destra e questo ha influenzato le relazioni della regione con il resto del mondo. In passato i governi di sinistra erano riusciti a costruire nuove relazioni internazionali indipendenti dagli Stati Uniti, ma l’ascesa della destra nella regione ha permesso a Washington di assumere nuovamente un ruolo attivo nel suo “cortile di casa”. Lo spostamento a destra nella regione ha messo fine all’era delle relazioni estere indipendenti e ha trasformato ancora una volta l’America Latina in un parco giochi statunitense.

Diversi paesi latinoamericani che hanno riconosciuto la Palestina come stato tra il 2008 e il 2013, tra cui Repubblica Dominicana, Paraguay, Argentina e Haiti, hanno scelto di astenersi nella condanna delle Nazioni Unite alla decisione degli Stati Uniti di trasferire la propria ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme.

Altri paesi che hanno riconosciuto la Palestina nello stesso periodo, ovvero il Guatemala e l’Honduras, hanno votato contro la risoluzione delle Nazioni Unite. Considerazioni di politica interna e la necessità di mantenere il supporto degli Stati Uniti ha motivato queste decisioni.

Entrambi i paesi stanno ricevendo centinaia di milioni di dollari dagli Stati Uniti per continuare la loro lotta contro bande criminali e traffico di droga e ad ogni costo non vogliono perdere questo denaro. E la leadership politica in entrambi i paesi ha attraversato di recente gravi crisi politiche in cui hanno avuto grande bisogno del sostegno degli Stati Uniti.

Ma l’atteggiamento di Honduras e Guatemala sulla questione di Gerusalemme non è stato modellato unicamente dal loro bisogno di sostegno da parte degli Stati Uniti. Morales e Hernandez lo scorso anno hanno visitato Israele per migliorare la sicurezza e le relazioni commerciali dei loro paesi. Entrambi i paesi, che avevano collaborato con Israele a programmi clandestini di controinsurrezione negli anni ’70, hanno rinnovato diversi accordi di sicurezza e potenziato lo scambio di tecnologia militare con Israele.

Il fascino aggressivo di Israele

Dal momento in cui Mauricio Macri ha assunto il potere in Argentina nel 2015, ex membri del governo Kirchner sono stati indagati per una presunta cospirazione con l’Iran messa in atto per indebolire le indagini criminali sull’attacco terroristico del 1994 all’Argentine Israeli Mutual Association (AMIA) a Buenos Aires, in cui furono uccise 85 persone e ferite altre 300. Gli imputati sono stati accusati di tradimento per aver firmato un memorandum d’intesa con l’Iran. Anche Human Rights Watch ha considerato l’accusa di tradimento come “forzata e irragionevole”.

Ma durante la sua visita nel paese, come parte del suo tour in America Latina nel settembre 2017, Netanyahu ha lodato Macri per i suoi sforzi nel risolvere il caso affermando: “Sappiamo senza ombra di dubbio che Iran e Hezbollah hanno avviato e sostenuto gli attacchi”. Questo è stato il primo segno di riavvicinamento del nuovo governo argentino con Israele, ed è stato rapidamente seguito da un cambiamento nella posizione dell’Argentina riguardo il conflitto israelo-palestinese. Di conseguenza non sorprende che l’Argentina abbia scelto di astenersi dal voto delle Nazioni Unite contro il riconoscimento degli Stati Uniti di Gerusalemme come capitale di Israele.

Anche il Messico, paese che storicamente ha sempre sostenuto la Palestina, ha cambiato la sua posizione sulla questione e ha scelto di astenersi dal voto delle Nazioni Unite. Il paese, insieme al Paraguay, si era astenuto anche in un precedente voto delle Nazioni Unite promosso dall’Ecuador sulla questione della “sovranità permanente del popolo palestinese nei territori palestinesi occupati, inclusa Gerusalemme Est”.

Secondo l’ambasciatore israeliano in Messico, Jonathan Peled, il Messico ha votato con Israele nell’ultimo anno contro diverse risoluzioni pro-Palestina in seguito a richieste specifiche rivolte dal governo israeliano alle autorità messicane. Durante la visita di Netanyahu in Messico il presidente Enrique Pena Nieto ha riaffermato l'”amicizia” tra Messico e Israele e ha parlato di rafforzamento delle relazioni.

Con l’ascesa della destra gli Stati Uniti stanno riprendendo il controllo del proprio “cortile di casa” e Israele sta usando la situazione come un’opportunità per avere una presenza più solida in una regione precedentemente ignorata. Senza nessun segnale, per il momento, che la sinistra riprenderà il potere, il sostegno alla causa palestinese rimane nelle mani della base popolare.

 

(*) Massimo Di Ricco è uno scrittore di politica mondiale e fondatore di Uicly, una newsletter e-mail di lingua spagnola.

 

Traduzione di Simonetta Lambertini – invictapalestina.org

Fonte: http://www.aljazeera.com/indepth/opinion/latin-america-abandoned-palestine-180116073817289.html

 

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