“NAKBA” Recensione di Marco Palladini

L’AGE D’OR Rivista online ANNO IV LUGLIO-AGOSTO 2023

TEATRO: “NAKBA”

di Marco Palladini

Da oltre quarant’anni Enrico Frattaroli e Franco Mazzi costituiscono una delle coppie più affidabili e significative di quello che un tempo si definiva il teatro di ricerca e che oggi potremmo chiamare semplicemente il teatro d’autore, alternativo a quello di repertorio e di intrattenimento. Un teatro d’autore, quello di Frattaroli-Mazzi, che sin dall’inizio, ma sempre più negli ultimi anni, si è venuto dimensionando come un teatro di poesia. E i due sanno benissimo che la poesia non è ‘logos’, bensì ‘melos’, ovvero musica verbale, una musica scenica che si coniuga magnificamente con la visione registica e la sensibilità estetica di Frattaroli e con la bravura interpretativa di Mazzi.

I quali dai pregressi cicli teatrali imperniati su autori apicali quanto difformi come Joyce e de Sade, hanno adesso proposto (all’Off/Off Theatre di Roma) una incursione nella poesia contemporanea tramite i versi di un autore palestinese, Muhammad Al-Qaysi (n. 1944), per un lavoro intitolato Nakba – “I nostri occhi sono i nostri nomi”.

Nakba ovvero catastrofe in arabo, è il sostantivo con cui i palestinesi definiscono la nascita nel 1948 dello stato di Israele sulla loro terra di Palestina. È una parola, quindi, come si sa, altamente divisiva, inaccettabile per il nazionalismo israeliano che la reputa un vocabolo provocatorio, in definitiva filo-terroristico. Laddove ogni forma di resistenza al dominio israeliano e alla continua espulsione dei palestinesi dai loro territori viene reputata sostanzialmente una forma di terrorismo. Ma Nakba è un termine divisivo, non tollerato anche da tutto l’establishment occidentale, sia politico sia mediatico, ivi compreso quello italiano, risolutamente schierato in appoggio allo stato di Israele, nonostante le accuse di apartheid mosse da molte organizzazioni internazionali. Vieppiù ogni ferma critica alla politica dello stato di Israele e alla corrente narrazione del nazionalismo sionista, anche quando mossa da storici ed esponenti ebrei, viene rigettata e accusata tout-court di antisemitismo, vale a dire, in altri termini, di filonazismo.

È questo il gioco truccato della massiva propaganda filo-israeliana indifferente al dramma e all’oppressione del popolo palestinese che va avanti da settantacinque anni e che alimenta un conflitto infinito dove è macroscopica la sproporzione di forze militari ed economiche tra Israele e le organizzazioni palestinesi.

Queste precisazioni sono necessarie per sottolineare il forte valore di presa di posizione dello spettacolo di Frattaroli-Mazzi, una intrapresa, come rivendica Enrico, “poeticamente politica, politicamente poetica, i due termini sono inscindibili”. Intrapresa poetopolitica, dunque, ricavata dal libro di Al-Qaysi Testimone oculare – Il libro del figlio (Edizioni Lavoro), che diparte dal momento in cui a soli quattro anni fu scacciato con tutta la famiglia dal natio villaggio di Kafr’Ana e che poi si svolge come un appassionato canto dell’esilio interminabile, in cui il sentimento lirico dello sradicamento attraversa tutta un’esistenza dall’età bambina sino a quella adulta. Frattaroli s’immerge nella fluida e dilacerata testualità di Al-Qaysi, disponendo l’allestimento secondo “XX calligrammi per la Palestina”, ossia venti stazioni di racconto poetico, accompagnando l’intensa, profonda e vibrante lettura di Mazzi, con una colonna video proiettata alle spalle dell’interprete, in cui la suggestiva dimensione calligrafica della lingua araba (opera di Amjed Rifaie) si interseca con multipli segnacoli astratti e numerose immagini prevalentemente in bianco e nero che richiamano la tragica vicenda palestinese, sino al capitolo terminale delle photocolor guerresche di Gaza siglate dalla frase conclusiva: “Questa tempesta non finirà”.

La musica verbale sapientemente elicitata da Mazzi si incrocia con le musiche palestinesi del Trio Joubran, con il flauto di Mohamed Al-Zamel, e con il canto del soprano Patrizia Polia e del basso Federico Benetti. Lavoro quintessenziale Nakba, ma riccamente intramato e pieno di mille echi sia psico-onirici ed interiori, sia storico-politici e che rinnovano la loro attualità e ritrovano corrispondenza nella dolente cronaca di tutti i giorni. Secondo afferma il grande poeta palestinese Mahmud Darwish “Abbiamo un paese che è di parole”, ovvero la Palestina distrutta come entità territoriale continua a vivere come comunità di lingua e di poesia. Ed è a questa comunità che Frattaroli e Mazzi hanno voluto meritoriamente dare voce per tutti quelli che vogliono ascoltarla, sottraendosi alla martellante e menzognera propaganda ufficiale.