Proteste negli atenei, Anna Foa: “Clima cupo e di violenza, mi ricorda gli anni Settanta”

La storica: «Andrei a confrontarmi con gli studenti, dobbiamo capire. La cultura israeliana è l’avanguardia dell’opposizione a Netanyahu»

Francesca Paci

Articolo completo con abbonamento: https://www.lastampa.it/

27 Marzo 2024

ROMA. Parlare con gli studenti che occupano La Sapienza? La storica Anna Foa ci pensa. «Andrei». Andrebbe, dice, perché silenziare la cultura israeliana, che è l’avanguardia dell’opposizione al governo Netanyahu, non semina la pace per i palestinesi ma è un atto di guerra. E l’umore belligerante di queste ore nelle università italiane le ricorda gli anni più bui del suo impegno politico, quando tutti i colori del’68 si spensero nella violenza.

Dopo l’università di Torino, La Sapienza di Roma. Gli studenti che occupano il rettorato, chiedendo l’interruzione dei rapporti con gli atenei israeliani fino al cessate il fuoco a Gaza, sono il corrispettivo generazionale dei campus americani in rivolta contro la guerra in Vietnam o c’è altro?

«Più che Berkeley, questo clima mi ricorda l’avvento degli autonomi alla Sapienza a metà degli anni’70, un periodo di occupazioni continue e violente molto diverso dal’68. Siamo lontani anche dall’appello dei professori contro le università israeliane diffuso qualche mese fa, la scena è ormai tutta del collettivo Cambiare Rotta, un gruppo estremista venuto fuori all’improvviso i cui proclami fanno riferimento alla lotta dei terroristi, evocano Barbara Balzerani, parlano di Gaza ma anche di Ucraina con posizioni assolutamente filo Putin. Siamo oltre il boicottaggio di Israele. La soluzione non passa di certo dai manganelli, ma bisogna capire cosa sta succedendo nei nostri atenei».

Qualche ipotesi?

«C’entra sicuramente la reazione spropositata di Israele a Gaza, un tunnel dal quale pare non si riesca ad uscire. C’entra la guerra russa in Ucraina. C’è una convergenza di fattori. Non sono complottista e non credo in regie occulte dietro le quinte, ma vedo una forte matrice ideologica, molti studenti sono comunisti e l’Italia è il Paese dove il sostegno a Putin è più massiccio. Poi c’è il rapporto con Israele. Personalmente non vedo l’ora che Netanyahu sconti le sue responsabilità politiche anche sul 7 ottobre e ho accolto con favore l’astensione americana sull’ultima risoluzione Onu, ma il boicottaggio è un’assurdità. Forse aveva senso quando riguardava i prodotti dei territori occupati, poi però è degenerato, ha invaso l’ambito accademico che è lo spazio dove l’opposizione a Netanyahu si materializza, dove gli studenti ebrei studiano con i palestinesi, dove il dialogo abbatte i muri».

Non è apartheid il regime in cui vivono i palestinesi?

«È una definizione sbagliata sul piano politico che, per altro, ho sentito per la prima bocca sulla bocca di amici israeliani ai tempi della costruzione del muro. Ha una forte radice di propaganda, come la parola genocidio. Parlare di crimini di guerra invece ha basi concrete. Certo, nello sviluppo del sionismo dopo’67 ci sono elementi del vecchio colonialismo ma sono invece assolutamente assenti nella nascita d’Israele».