Mohammed Assaf, l’Arab Idol che vuole ricompensare Gaza

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Aggiornamento 21 aprile 2016.

Dal 14 aprile  in tutta Italia è in programmazione “The Idol” di Hani Abu- Assad, proponiamo un articolo scritto dalla redazione di Nena News nel 2014, segue breve recensione su Internazionale e WIRED. In fondo alla pagina la programmazione in tutte le province italiane, un film da non perdere.

Il vincitore palestinese dell’edizione 2013 del noto talent show progetta di istituire un centro per musicisti, scrittori e attori nella Striscia. Ma prima aspetta l’unità nazionale.

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Roma, 24 ottobre 2014, Nena News – Gaza gli ha dato la celebrità e ora lui vuole dare qualcosa a Gaza. Mohammed Assaf, il giovane palestinese vincitore dell’edizione 2013 di Arab Idol, ha annunciato pubblicamente il suo progetto: creare, nella martoriata Striscia, un centro per le arti per coltivare il talento di giovani scrittori, attori e musicisti. Un progetto ambizioso, finanziato da alcuni americani di origine palestinese che gli hanno offerto il proprio sostegno, ma che dovrà attendere la stabilizzazione della situazione politica e l’inizio della ricostruzione dopo l’offensiva israeliana dello scorso luglio-agosto.

 

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“Ho visitato Gaza due volte quest’anno – ha raccontato il cantante, originario di un campo profughi di Khan Younis all’Associated Press – ed entrambe le volte ho trovato gli abitanti molto tristi. Ma ora [riferendosi agli ultimi due mesi, ndr] vedo molta più tristezza di prima”. In particolare la sua generazione, ha spiegato, è molto frustrata: “Tutti quelli che ho incontrato mi hanno chiesto di aiutarli a lasciare il paese. Vogliono andarsene perché non hanno speranza. I problemi qui sono enormi e complicati: l’assedio, la divisione, le guerre”.

Poter coltivare il proprio talento artistico in una zona dal futuro costantemente grigio servirebbe a ridare un po’ di ottimismo alla sua generazione. Assaf ha raccontato di essersi sentito ugualmente senza speranza prima della gara dell’anno scorso a Beirut. Non riusciva a trovare un lavoro dopo l’università e sognava di ottenere un posto nel servizio civile per 300 al mese. “Grazie a Dio – ha detto – ho avuto questa rara opportunità”.

Altri giovani gazawi potrebbero un giorno raccontare la Palestina al pubblico di tutto il mondo, proprio come l’anno scorso ha fatto Assaf al talent show più famoso del mondo arabo, se il centro venisse istituito. Ma dice di voler aspettare la formazione del nuovo governo di unità nazionale prima di tentare l’avventura. Poi sarà la volta di tutte le altre sfide, enormi e complicate, che accompagnano l’esistenza quotidiana degli abitanti della Striscia: l’assedio, la divisione, le guerre. Lui è il “sogno della Palestina”, come lo chiamano i suoi fan più accaniti, ma non è detto che sia l’unico. Nena News

 

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Dalla recensione  di Catherine Cornet su Internazionale

Arab idol è uno dei grandi esempi di una cultura popolare panaraba ancora molto viva: i classici egiziani di Abdel Halim Hafez (a cui Assaf viene paragonato), Umm Kulthum o i titoli delle canzoni politiche palestinesi, sono ascoltati e applauditi dal Marocco fino all’Iraq.

Ma in questo contesto spesso politicizzato all’eccesso, il successo di Assaf non è letto come un lieto fine in sé. Al contrario, gli artisti palestinesi soffrono più di chiunque altro il loro status di simbolo politico della lotta di liberazione. Assaf è molto attaccato alle sue origini, ma anche terribilmente angosciato da questa responsabilità ingombrante, dal peso che si deve portare sulle spalle un eroe nazionale palestinese. Essere un arab idol significa anche che le aspettative nazionaliste e politiche impediranno di esprimersi artisticamente, toglieranno la libertà a cui aspira ogni artista.

Fortunatamente Abu Assad, palestinese anche lui, ha saputo evitare la trappola: ha raccontato la storia di questa voce straordinaria e del percorso eccezionale intrapreso da un Gazawi che ha, come dice la star libanese Nancy Ajram a Mohamed, la particolare capacità, tipica dei palestinesi, di “sognare in grande”.

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Dalla recensione di Claudia Catalli su WIRED

Il regista palestinese Hani Abu- Assad, due volte candidato agli Oscar per i titoli stranieri (per Paradise Now e Omar), ben dirige un film che propone il canto come metafora di libertà di espressione, di movimento, di possibilità di pensare ad un futuro lontano da bombardamenti e confinamenti forzati fisici o mentali.

Girare a Gaza è tutto tranne che semplice, ovviamente – ha raccontato a Wired – muoversi tra le macerie, fisiche ed emotive, anche se solo per qualche giorno e sotto innumerevoli, minacciosi, controlli fa effetto anche a un regista navigato. Però ci tenevo a raccontare la storia di Mohammed: quando seppi che vinse Arab Idol esplosi di gioia, come tutti: è per i palestinesi simbolo di dignità e di riscatto”. E per coloro che guardano, l’esempio di chi è pronto a lottare e rischiare la vita pur di portare a termine il tentativo di cambiare la sua sorte. Qualsiasi cosa succeda, ricorda il fedele maestro di canto al protagonista, canta per la giusta causa.

La forza di The Idol sta soprattutto nel proporre il talent show come piattaforma attraverso il quale far sentire la propria voce: l‘esibizione come gesto politico di ribellione a un destino segnato. Il tutto raccontato con immagini non retoriche e sintetizzato da poche, spesso ironiche, battute: “Sei l’unico concorrente di Gaza“, gli sottolineano gli organizzatori. “Com’è la situazione a Gaza?” “Sta registrando? Bene, allora le rispondo appena spegne il registratore“.

 

Giudizio personale: Rosario, Invictapalestina.

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Visto Mercoledì 20 a Torino  è piaciuto, non mi aspettavo né un film militante né un film con denunce dirette, di film militanti ce ne sono tanti e solitamente li vediamo cerchie ristrette di persone, quasi sempre solo attivisti.

The Idol è proiettato in tutta Italia in decine di sale, si spera possa raggiungere migliaia di spettatori. La storia raccontata può essere anche simile ad altri “talent show” ed è per questo che si spera possa raggiungere anche il pubblico che cerca evasione, lo sfondo è però quello dell’occupazione, della prigione a cielo aperto, delle città distrutte, delle strade attraversate dagli scoli delle fogne, dell’elettricità gestita dall’occupante, con chi muore perché non ha i soldi per curarsi.

Non si vedono soldati né “terroristi” ma solo persone normali con le aspirazioni che hanno tutti, la nascita, gli innamoramenti, i matrimoni, le danze. Scene di vita quotidiana, i ricoveri ospedalieri, i compiti scolastici, le preoccupazioni dei genitori molto simili a quelle dei “genitori occidentali”: il successo e la salute dei propri figli.

Anche l’esasperazione del fondamentalismo religioso è presentato in modo esasperato ma alla fine tutto converge sull’identità di un popolo che si ritrova unito a festeggiare il successo di “uno di loro”.

Forse è questa visione che manca all’occidente, quella di un popolo normale che vuole vivere dignitosamente nel rispetto dei diritti elementari,  è questa l’immagine che tutti i media occidentali censurano promuovendo invece il racconto ambiguo dove la resistenza è presentata sempre come atto di violenza verso gli israeliani, questi si popolo “come noi” che oltre a lavorare, studiare, produrre, si deve anche difendere.

Hana Abu Assad ha sottolineato le aspirazioni “normali” alle quali aspira ogni essere umano e ha deciso di rivolgersi a un pubblico più vasto, quasi per fare controinformazione rispetto al martellamento e alla manipolazione dell’Hasbara israeliana che tende a presentare israele paese dinamico, moderno, vittima e i palestinesi un popolo arretrato assetato di sangue e di vendetta.

Io ho visto il film, in verità con poche presenze in sala perché anche solo la lettura della trama allontana ancora chi è stato per anni bombardato con la paura dell’altro, indipendentemente che l’altro sia il profugo siriano, l’immigrato del Nord Africa o il palestinese.

Si spera che il passa parola possa contaminare i giovani, gli studenti e soprattutto le famiglie. Io ho già sentito molti commenti, il film piace alla “gente comune” che per la prima volta ha visto le immagini di Gaza devastata, la bandiera palestinese, e la nonna che, come si usa  spesso in meridione, butta un secchio d’acqua sulla band che “strimpella” anziché preoccuparsi della guerra.

Come nelle fiabe, anche nel film ci sono molti messaggi positivi, alcuni velati, altri molto espliciti. Mancano momenti di lotta, di resistenza, di ribellione diretta all’occupazione, le denunce non sono forti e gridate. Personalmente penso che sia uno dei modi migliori per presentare la Palestina dando allo spettatore il tempo per interiorizzare una situazione “terribilmente ingiusta” trattenendolo sull’argomento senza gridargli in faccia, come con un volantino scritto fronte retro con carattere 6, tutta la storia della Palestina a partire dalla dichiarazione di Balfour per finire ai giorni nostri.

 

PROVINCE IN CUI IL FILM È IN PROGRAMMAZIONE con date e orari.

 

Fonti:

http://nena-news.it/mohammed-assaf-larab-idol-che-vuole-ricompensare-gaza/

Programmazione film: http://cinema.quotidiano.net/the-idol/31847/

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