Desmond Tutu: la mia preghiera al popolo di Israele: liberatevi liberando la Palestina

Scritto da Libération Afrique – 24 agosto 2014

Desmond-Tutu

Nelle ultime settimane, membri della società civile del mondo intero hanno lanciato azioni senza precedenti contro le risposte brutali e sproporzionate di Israele al lancio di razzi dalla Palestina. Se sommiamo tutti i partecipanti alle manifestazioni dell’ultimo weekend per chiedere giustizia in Israele e Palestina – a Cape Town, Washington, New York, Nuova Delhi, Londra, Dublino, Sydney, e in tutte le altre città – troviamo senza alcun dubbio la rappresentazione della più importante mobilitazione dell’opinione pubblica per un’unica causa mai vista nella storia dell’umanità. Un quarto di secolo fa, ho preso parte a manifestazioni contro l’apartheid, che avevano raccolto moltissime persone.

Non avrei mai immaginato che avremmo nuovamente assistito a manifestazioni di tale portata, ma quella di sabato scorso a Cape Town è stata almeno della stessa importanza. Tra i manifestanti c’erano giovani ed anziani, musulmani, cristiani, ebrei, indù, buddisti, agnostici, atei, neri, bianchi, rossi e verdi… E’ quanto ci si può aspettare da una nazione vivace, tollerante e multiculturale. Ho chiesto alla folla di cantare con me: “Siamo contro l’ingiustizia dell’occupazione illegale della Palestina. Siamo contro le uccisioni a Gaza. Siamo contro le umiliazioni inflitte ai palestinesi ai posti controllo e di blocco delle strade.

Siamo contro le violenze perpetrate da tutte le parti in causa. Ma non siamo contro gli ebrei.” Precedentemente, nella settimana, avevo fatto un appello per la sospensione della partecipazione di Israele all’Unione Internazionale degli Architetti, che si teneva in Sudafrica. Ho invitato le sorelle ed i fratelli israeliani presenti alla conferenza a dissociarsi attivamente, nell’ambito della loro professione, dalla progettazione e dalla costruzione di infrastrutture finalizzate a perpetuare l’ingiustizia, in particolare tramite il muro di separazione, i terminali di sicurezza, i posti di controllo e la costruzione di colonie edificate sui territori palestinesi occupati.

Ho detto loro: “Vi prego di portare con voi questo messaggio: per favore, invertite il corso della violenza e dell’odio, unendovi al movimento non violento per la giustizia per tutti gli abitanti della regione”. Nelle ultime settimane, più di 1,7 milioni di persone in tutto il mondo hanno aderito al movimento unendosi ad una campagna di Avaaz che chiede alle compagnie che traggono profitto dall’occupazione israeliana e/o sono coinvolte nei maltrattamenti e nella repressione dei palestinesi, di ritirarsi. La campagna è rivolta specificamente ai fondi di pensione dei Paesi Bassi, ABP, alla Barclays Bank, al fornitore di sistemi di sicurezza G4S, alle attività di trasporto dell’azienda francese Véolia, all’azienda di computer Hewlett-Packard, e al costruttore di bulldozer Caterpillar.

Il mese scorso 17 governi europei hanno invitato i propri cittadini ad interrompere le relazioni commerciali e gli investimenti nelle colonie israeliane illegali. Recentemente, si è potuto vedere il fondo pensionistico olandese PGGM ritirare decine di milioni di euro dalle banche israeliane, la fondazione Bill e Melinda Gates disinvestire da G4S, e la chiesa presbiteriana americana annullare un investimento di circa 21 milioni di dollari nelle imprese HP, Motorola Solutions e Caterpillar. E’ un movimento che si va ampliando. La violenza genera violenza e odio, che a sua volta non fanno che produrre altra violenza e odio. Noi sudafricani conosciamo bene la violenza e l’odio. Sappiamo cosa significa essere dimenticati dal mondo, quando nessuno vuole capire o anche solo ascoltare ciò che noi esprimiamo. Questo fa parte delle nostre radici e del nostro vissuto. Ma sappiamo anche ciò che il dialogo tra i nostri dirigenti ha permesso, quando delle organizzazioni accusate di “terrorismo” vennero nuovamente autorizzate ad esistere, ed i loro capi, tra cui Nelson Mandela, vennero liberati dalla prigione o dall’esilio.

Noi sappiamo che quando i nostri dirigenti hanno cominciato a parlarsi, la logica della violenza che aveva frantumato la nostra società si è dissolta, fino a scomparire. Gli atti terroristici che avvennero dopo l’inizio di questi cambiamenti – come gli attacchi ad una chiesa e ad un bar – furono unanimemente condannati, e chi ne era stato l’artefice non trovò più alcun consenso, quando la parola passò alle urne. L’euforia che seguì a questa prima votazione non si limitò ai soli sudafricani neri. La nostra soluzione pacifica era meravigliosa perché ci includeva tutti quanti. E quando, in seguito, abbiamo dato vita ad una costituzione così tollerante, generosa ed aperta, che dio stesso ne sarebbe andato fiero, ci siamo sentiti tutti come liberati.

Certo, il fatto di aver avuto dei dirigenti straordinari ci ha aiutato. Però, ciò che alla fine ha spinto questi dirigenti a riunirsi intorno ad un tavolo di negoziati è stato l’insieme di strumenti efficaci e nonviolenti che erano stati messi in atto per isolare il Sudafrica sul piano economico, accademico, culturale e psicologico. In un momento chiave, il governo dell’epoca aveva finito per rendersi conto che continuare con l’apartheid avrebbe costituito più un danno che un vantaggio. L’embargo sul commercio applicato negli anni ’80 al Sudafrica da alcune multinazionali impegnate fu un fattore determinante per la caduta, senza spargimento di sangue, del regime di apartheid. Queste imprese avevano capito che sostenendo l’economia sudafricana contribuivano al mantenimento d’uno statu quo ingiusto.

Coloro che continuano a fare affari con Israele, contribuendo così a garantire un senso di “normalità” alla società israeliana, rendono un pessimo servizio ai popoli di Israele e Palestina. Contribuiscono al mantenimento d’uno statu quo profondamente ingiusto. Chi sostiene l’isolamento temporaneo di Israele afferma che israeliani e palestinesi hanno gli stessi diritti alla dignità e alla pace. In ultima analisi, gli eventi che hanno avuto luogo a Gaza nell’ultimo mese sono un test per chi crede nei valori umani. E’ sempre più evidente che i politici e i diplomatici sono incapaci di trovare risposte, e che la responsabilità di negoziare una soluzione duratura alla crisi in terra santa è in capo alla società civile ed ai popoli stessi di Israele e della Palestina. Al di là della recente devastazione di Gaza, persone oneste provenienti dal mondo intero – in particolare in Israele – sono profondamente turbate dalle violazioni quotidiane della dignità umana e della libertà di movimento, che i palestinesi subiscono ai posti di controllo e ai blocchi stradali. Inoltre, le politiche israeliane di occupazione illegale e la costruzione di edifici in zone tampone sul territorio occupato aumentano la difficoltà di raggiungere un accordo che sia accettabile da tutti per il futuro.

Lo stato di Israele agisce come se non esistesse un domani. I suoi abitanti con conosceranno l’esistenza tranquilla e sicura a cui aspirano, ed a cui hanno diritto, finché i loro dirigenti perpetueranno le condizioni che determinano il perdurare del conflitto. Ho condannato coloro che in Palestina sono responsabili dei lanci di missili e razzi su Israele. Essi attizzano il fuoco dell’odio. Io sono contro ogni forma di violenza. Ma occorre essere chiari, il popolo di Palestina ha tutto il diritto di lottare per la propria dignità e libertà. Questa lotta è sostenuta da molte persone in tutto il mondo. Nessun problema creato dall’uomo è senza via d’uscita, se gli uomini mettono in comune i loro sinceri sforzi per risolverlo. Nessuna pace è impossibile se le persone sono determinate ad ottenerla. La pace necessita che il popolo israeliano e quello palestinese riconoscano l’essere umano che è in loro e si riconoscano reciprocamente per comprendere la propria interdipendenza. I missili, le bombe e le invettive brutali non sono la soluzione.

Non esiste soluzione militare. La soluzione verrà più probabilmente dai mezzi nonviolenti che abbiamo sviluppato in Sudafrica negli anni ’80 per persuadere il governo sudafricano della necessità di cambiare la sua politica. La ragione per cui questi strumenti – boicottaggio, sanzioni e disinvestimenti – si sono alla fine rivelati efficaci, è che avevano il sostegno di una massa critica, sia all’interno del paese che all’estero. Lo stesso tipo di sostegno nei confronti della Palestina di cui siamo stati testimoni nel mondo durante queste ultime settimane. La mia preghiera al popolo di Israele è di guardare al di là del momento contingente, di guardare al di là della rabbia per essere costantemente sotto assedio, di concepire un mondo in cui Israele e la Palestina coesistono – un mondo in cui regnano la dignità ed il rispetto reciproco. Ciò richiede un cambiamento di paradigma.

Un cambiamento che riconosca che un tentativo di mantenere lo statu quo è destinato a condannare le prossime generazioni alla violenza e all’insicurezza. Un cambiamento che smetta di considerare una critica legittima alla politica dello stato come un attacco contro gli ebrei. Un cambiamento che ha inizio all’interno e si propaga, attraverso le comunità, le nazioni e le regioni, alla diaspora che è diffusa in tutto il mondo di cui facciamo parte. Il solo mondo di cui facciamo parte! Quando i popoli si uniscono per una causa giusta, sono invincibili. Dio non interferisce nelle vicende umane, nella speranza che la risoluzione dei nostri conflitti ci farà crescere ed imparare da soli. Però dio non dorme. I testi sacri ebraici dicono che dio sta dalla parte dei deboli, dei poveri, delle vedove, degli orfani, dello straniero che ha permesso a degli schiavi di compiere il loro esodo verso una Terra Promessa. E’ stato il profeta Amos a dire che dovremmo lasciare che la giustizia scorra come un fiume. Alla fine, il bene trionferà.

Cercare di liberare il popolo di Palestina dalle umiliazioni e dalle persecuzioni che gli vengono inflitte dalla politica di Israele è una causa nobile e giusta. E’ una causa che il popolo di Israele ha l’obbligo per sé stesso di sostenere. Nelson Mandela ha detto che i sudafricani non si sentiranno completamente liberi finché i palestinesi non lo saranno. Avrebbe potuto aggiungere che la liberazione della Palestina sarebbe anche la liberazione di Israele.

Da Libération Afrique – Traduzione di Cristiana C. per civg.ita

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