Rapper arabo sperimenta i limiti della libertà artistica in Israele

 

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Tamer Nafar (al centro), si esibisce con il gruppo hip-hop DAM. I componenti sono tutti arabi, cittadini di Israele, e alcuni dei loro testi criticano aspramente lo stato. Vedono la critica come libertà artistica, mentre la ministra della cultura di Israele dice che un simile linguaggio può incitare alla violenza. Per gentile concessione di Christopher Hazou
2 Novembre  2016

Migliaia di adolescenti vanno in estasi – gli arabi come gli ebrei – appena Tamer Nafar sale sul palco. Fa parte della minoranza araba palestinese di Israele, è uno dei membri fondatori del gruppo hip-hop palestinese DAM e canta in arabo.

Il mese scorso ha cantato nel nord di Israele in un concerto inserito in un incontro multiculturale a margine del Film Festival di Haifa, dove i musicisti israeliani di origine etiope e indiana si sono  esibiti anche in “Non sono un politico”.

Ma Nafar è noto per altri testi che politici sono, come la sua canzone “Chi è il terrorista?” in cui dice che Israele “ha violentato l’anima araba”, portando alla nascita del terrorismo.

Quei testi, che Nafar al concerto di Haifa non ha cantato, hanno offeso alcuni israeliani e spinto circa due dozzine di manifestanti a farsi strada fin sotto il palco urlando contro Nafar e i suoi fan e sventolando bandiere israeliane.

La polemica che si è scatenata in Israele sui testi di questo rapper arabo fa parte di una più grande battaglia che riguarda i limiti della libertà artistica. Il Ministero della Cultura israeliano ha cercato di tenere a freno atti che, afferma, potrebbero causare violenza. E alcuni musicisti e drammaturghi israeliani si sono messi al contrattacco.

“Amo i miei amici arabi. Amo la musica e l’arte araba. Ma questa non è arte”, dice un manifestante, Edan Zadok, ebreo israeliano di origine indiana che dice di simpatizzare con le minoranze etniche in Israele. “Ascolta, ci dovrebbe essere assoluta libertà per gli artisti. Ma quando l’arte diventa  discorso di odio, beh, per questo allora non c’è posto.”

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FOTO – Nel dramma ‘Palestina anno zero’, l’attore arabo israeliano Georges Ibrahim (al centro) è un consigliere di edificio che stima i danni causati dalle forze di sicurezza israeliane alle case palestinesi. La ministra della cultura israeliana ha cercato di rivedere i contenuti del dramma, ma il regista israeliano Einat Weitzman si è rifiutato. Per gentile concessione di Yohan Segev
Dietro le quinte, Nafar spiega a National Public Radio di avere fatto rap sul terrorismo, dicendo che  purtroppo in Israele questo è un argomento rilevante. Ma non lo approva, insiste. Sarebbe illegale secondo la legge israeliana.

“[I miei testi] parlano di sesso, amore, poesia – e anche di diritti delle donne, diritti degli omosessuali e del problema dell’occupazione”, spiega Nafar.

Parla dell’occupazione israeliana di quella che lui considera terra palestinese. È compito di un artista abbattere i tabù e oltrepassare i limiti, dice.

Libertà di parola o di incitamento?

Ma la ministra della cultura israeliana Miri Regev, un ex censore militare, non è d’accordo.

In un precedente lavoro svolto nell’esercito israeliano, il suo compito era quello di impedire che le informazioni sensibili venissero pubblicate dai media. E’ una figura controversa del Likud, il partito conservatore del primo ministro Benjamin Netanyahu, famosa per avere una volta definito un membro arabo della Knesset (o parlamento ) di Israele, un traditore che dovrebbe “Tornare a Gaza!” (E’ nato in Israele). Ha chiamato i lavoratori migranti africani “un cancro nel nostro corpo”. Ha anche cercato di bloccare il finanziamento pubblico agli artisti israeliani che si rifiutano di esibirsi per i coloni ebrei nella Cisgiordania occupata da Israele.

La Regev aveva scritto una lettera, resa pubblica, in cui chiedeva alle autorità di Haifa di togliere Nafar dalla scaletta del concerto in quanto “si oppone all’idea dello Stato di Israele”.

Quando a settembre il rapper ha parlato all’Ophir Awards – l’equivalente israeliano degli Oscar – la Regev si è alzata ed è uscita dalla sala. Contestava, ha poi spiegato, la lettura fatta ad alta voce da Nafar di un passo di una famosa poesia del compianto poeta palestinese Mahmoud Darwish.

La poesia, intitolata “Carta d’identità,” contiene questo verso:

Allora prendi nota che prima di tutto:
non odio nessuno
non sono un invasore
ma se mi affamano
mangio la carne del mio oppressore

Un film in lingua araba, Sand Storm, per la prima volta nella storia di Israele ha vinto il premio Ophir per il miglior film. E’ stato scelto per rappresentare Israele nella categoria miglior film straniero agli Oscar del prossimo anno. Ma alla cerimonia di premiazione in Israele, le due attrici protagoniste, donne arabe, hanno rifiutato di comparire sul palco assieme alla Regev per come aveva trattato Nafar.

L’ufficio della Regev ha rifiutato le richieste di National Public Radio per un’intervista. In passato ha sollevato la questione dei finanziamenti statali agli eventi in cui gli artisti sono critici nei confronti dello stato.

“Non voglio essere un bancomat. Ho la responsabilità del denaro pubblico”, ha detto la Regev in una dichiarazione all’inizio di quest’anno, sostenendo che il finanziamento statale dovrebbe prevedere per qualsiasi opera d’arte la fedeltà allo Stato di Israele e il rispetto dei suoi simboli.

Oltrepassare i limiti

Nell’antico porto mediterraneo di Acri, la chiamata alla preghiera musulmana si confonde con una canzone di Beyoncé all’annuale festival di teatro alternativo della città, giunto oggi al suo 37° anno. Questo è un’altra sede in cui è in fase di sperimentazione la libertà artistica.

Il festival ha avuto per lungo tempo la reputazione di oltrepassare i limiti, con  scene di nudo e di sesso sul palcoscenico. Ma gli organizzatori dicono che questo è il primo anno nella storia del festival che il Ministero della Cultura di Israele ha chiesto di rivedere il contenuto di una delle sue opere teatrali.

“Sì, hanno voluto rivedere il dramma, ma non glielo abbiamo lasciato fare”, dice Einat Weitzman, lo scrittore e regista del dramma in questione, intitolato ‘Palestina anno zero’.

Si tratta di una satira, in ebraico e in arabo, sulla diminuzione del valore delle case palestinesi, considerato che i soldati israeliani le demoliscono. Alla fine dell’ora di spettacolo il palcoscenico è un cumulo di macerie – una metafora, dice Weitzman, della distruzione della società palestinese.

In una dichiarazione, la ministra della cultura ha detto di avere ricevuto lamentele secondo le quali  il dramma conterrebbe messaggi di “incitamento a minare lo stato e insultare i suoi simboli.”

Weitzman si è rifiutato di consegnare la sua sceneggiatura e il festival di Acri, finanziato con fondi pubblici, è stato al suo fianco.

Alla fine, il pubblico avuto modo di vedere il suo dramma. Ma Weitzman dice di essere preoccupato per il fatto che altri artisti possano pensarci due volte prima di affrontare la politica nel loro lavoro.

“Credo che il problema, oggi, sia che sono gli stessi artisti a censurarsi per paura”, dice. “Ho ricevuto un sacco di messaggi di odio. C’è gente che vuole uccidermi. Gente che mi sputa addosso per strada. Così so di altre persone che non vogliono correre rischi.”

Il protagonista del dramma, l’attore palestinese Georges Ibrahim, ha finito per vincere il premio come miglior attore al Festival di San Giovanni d’Acri. Il rapper Tamer Nafar continua ad esibirsi e la crociata della ministra della cultura contro di lui lo ha reso famoso in Israele.

Ma anche la campagna della Regev sta guadagnando notorietà, con il suo messaggio che lo stato non è obbligato a sovvenzionare materiale critico verso lo stato e che tali rappresentazioni possono incitare alla violenza.

 

Trad. Simonetta Lambertini

Fonte:http://www.npr.org/sections/parallels/2016/11/02/499627396/arab-rapper-tests-the-limit-of-israels-artistic-freedoms

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