Dopo la Bomba H di Trump su Gerusalemme: opzioni da soppesare per i palestinesi

Proteste in tutto il mondo sono in programma contro la decisione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele. Nel farlo, Trump ha dispensato dettagli come confini e frontiere – effettivamente conformi allo stesso diritto internazionale – e ripetuto il lungo consumato impegno degli Stati Uniti per facilitare “un accordo di pace duraturo”.

di Nadia Hijab, 8 dicembre 2017

Dato l’inaudito oltraggio fatto dalla politica di Trump a Gerusalemme e ai diritti dei palestinesi più in generale, e il ritmo veloce con cui la sua amministrazione si sta muovendo per fare a pezzi diritti umani e ambientali negli Stati Uniti e nel mondo, è facile cadere preda della disperazione. Eppure in questo momento è importante ricordare le tendenze a lungo termine che lavorano a favore dei palestinesi e porre il movimento nazionale palestinese – sia a livello politico che della società civile – nella luce migliore.

 

La lunga traiettoria di Israele verso la sua dimostrazione

Molte delle tendenze a favore dei palestinesi sono dovute al fatto che Israele sta passando i limiti. Ha vinto molte battaglie ma non può vincere la guerra. Può sembrare un pio desiderio data l’enorme forza militare, politica ed economica che rende Israele una superpotenza regionale. Ma si consideri la traiettoria del paese. La sua vittoria del 1967 avrebbe permesso a Israele di ottenere la pace con gli arabi alle sue condizioni sul 78% della Palestina che aveva colonizzato nel 1948 e quindi seppellire per sempre la causa palestinese.

Invece, è andato avanti sulla traccia stabilita dai sionisti più duri del ventesimo secolo, inclini alla colonizzazione e all’espropriazione per assicurare un numero minimo di palestinesi indigeni e un numero massimo di ebrei. Come nel 1950 disse Moshe Dayan dei 170.000 palestinesi che riuscirono a rimanere in quello che divenne Israele nel 1948, dopo che 750.000 erano stati costretti a diventare profughi: “Spero che negli anni a venire possa verificarsi un’altra possibilità per attuare un dislocamento di quegli arabi dalla Terra di Israele”. Dayan divenne un eroe di guerra israeliano nel 1967 quando quasi 450.000 palestinesi furono costretti a diventare profughi.

Partita lentamente nel 1967, ma con l’accelerazione vertiginosa data dagli Accordi di Oslo – che quando nel 1993 furono firmati avevano l’apparente scopo di portare la pace – l’incessante spinta di Israele a colonizzare il nuovo territorio ha prodotto circa 600.000 coloni in 200 insediamenti che frammentano la Cisgiordania e dividono i palestinesi gli uni dagli altri. Il piano generale di Israele per Gerusalemme è piuttosto chiaro riguardo al rapporto di 70 a 30 che prevede tra ebrei israeliani e arabi palestinesi, come risultato dell’allontanamento di abitanti di Gerusalemme est.

Sulla base del “successo” ottenuto in questi sforzi, i leader israeliani ritengono ora che non sia più necessario nascondere le loro ambizioni e annunciano liberamente i loro obiettivi, compresi i piani per spogliare ulteriormente i palestinesi e discriminare quelli che restano. Il numero di leggi che discriminano i cittadini palestinesi di Israele è aumentato dalle circa 50 a quasi 70 negli ultimi anni.

Sia organismi ufficiali che organizzazioni di destra sempre più stanno riservando lo stesso trattamento agli ebrei israeliani che cercano di difendere i diritti di tutti gli esseri umani indipendentemente dalla fede o dall’etnia. Attacchi contro Breaking the Silence, una ONG che assiste i soldati israeliani che raccontano quello che hanno fatto ai palestinesi durante il loro servizio militare, ne è giusto un esempio. Il giro di vite del ministro dell’Istruzione Naftali Bennett su ACLI (l’Associazione per le libertà civili in Israele) è un altro. ‘Goliath: Life and Loathing in Greater Israel’ di Max Blumenthal è una cronaca della traiettoria sempre più draconiana di Israele nel corso del ventesimo secolo fino ad oggi e una lettura obbligata per chiunque sia interessato a questo problema.

Lo status di “luce delle nazioni” di cui Israele ha goduto come “l’unica democrazia” in Medio Oriente è ormai lontano. Ormai il progetto di colonizzazione, con la sua flagrante violazione dei diritti dei palestinesi, ha messo a rischio la missione centrale di Israele di uno stato ebraico. Molti hanno usato il termine apartheid per descrivere ciò che sta accadendo ai palestinesi nei Territori occupati (OPT), compresi strade separate, sistemi diversi di giustizia e severi limiti all’accesso all’acqua, alla terra e persino allo spettro elettromagnetico.

Sempre più spesso la situazione nei territori palestinesi occupati ha costretto gli stati e i sostenitori della società civile a tener conto di quanto sta accadendo – e che è accaduto – ai cittadini palestinesi di Israele. Quando nientemeno che l’ex capo dell’Ufficio di Gerusalemme del New York Times, Jodi Rudoren, sempre cauto nei suoi reportage durante il suo incarico, afferma che il termine apartheid meglio si adatta al trattamento riservato ai cittadini palestinesi di Israele, allora è chiaro che la vera natura dell’impresa è venuta a galla. La prova sta in: Non è possibile avere uno stato che privilegi gli ebrei senza discriminare i “non ebrei”. Chi può ora dimostrare che Israele è uno stato democratico mantenendo la faccia seria?

Questa realtà ha portato forse alla tendenza sulla distanza più importante in questo conflitto: il cambiamento nelle opinioni degli ebrei americani. Esiste ora una piccola, ma in rapida crescita, percentuale di ebrei statunitensi mobilitata per operare per i diritti umani nel movimento di solidarietà palestinese. A guidare questo cambiamento è Jewish Voice for Peace (JVP), che sostiene i diritti palestinesi – così come vengono definiti dagli stessi palestinesi nell’appello del 2005 per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) contro Israele fino a quando non rispetterà il diritto internazionale – e svolge un ruolo strategico chiave nel movimento degli Stati Uniti per i diritti. ¹

Il secondo più grande e più recente cambiamento nella comunità ebraica statunitense è dovuto all’affiorare delle tensioni di fondo tra Israele e i Reform and Conservative Jews che rappresentano i due terzi degli ebrei statunitensi. C’è stata una valanga di articoli e analisi sulla questione che suggeriscono che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e i suoi alleati stanno scommettendo sugli ebrei ortodossi americani e liquidando gli altri, trattandoli anzi come ebrei di seconda classe. Questo è un grave errore strategico da parte di Israele: gli ebrei statunitensi contribuiscono notevolmente alle cause filantropiche e alla politica e discorso tradizionali. Alienandosi questo importante bacino elettorale – anche se spende milioni per controllare il discorso e confondere le critiche a Israele e al progetto sionista politico con l’antisemitismo – Israele sta accelerando spostamenti negli Stati Uniti che eroderanno il sostegno politico automatico e il massiccio aiuto militare che riceve e che consentono supporto tradizionale ai diritti palestinesi e apprezzamento della storia palestinese.

La lotta rifiorente della Palestina

La lotta palestinese si è sviluppata e si è evoluta parallelamente alla traiettoria di Israele. Trenta anni dopo che i dominatori coloniali britannici avevano piegato la rivolta palestinese del 1936-1939 per diritti e libertà, e 20 anni dopo la catastrofe della perdita di quattro quinti della Palestina nel 1948 e la dispersione dei quattro quinti della sua popolazione, l’organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) è apparsa sulla scena ed è divenuta rapidamente una forza da non sottovalutare. Tuttavia ripetuti attacchi israeliani – e arabi – contro l’OLP, insieme ai considevoli errori commessi dalla sua leadership, hanno portato a un quasi colpo di grazia con l’invasione israeliana del Libano nel 1982 e l’esodo dell’OLP da Beirut, sua ultima base confinante con Israele.

Eppure, nel giro di cinque anni, la lotta palestinese prese una nuova forma con la prima Intifada – rivolta non violenta guidata da leader locali nei territori occupati. L’Intifada mise i palestinesi sulla scena mondiale e alla portata dei loro obiettivi dato l’impegno dell’amministrazione di George HW Bush per ottenere un accordo equo sulla scia della prima guerra del Golfo nel 1990. Tragicamente i negoziati segreti dell’OLP con Israele che portarono agli Accordi di Oslo dissolsero le ragioni di forza palestinese così accuratamente nutrite e che includevano un movimento di solidarietà mondiale e il sostegno del Terzo Mondo.

Nonostante queste battute d’arresto, i palestinesi non se ne stanno andando via. Dal 1948 la lotta nazionale è stata contrassegnata da una fioritura di letteratura, arte, cinema e cultura che ha rafforzato e cementato l’identità palestinese. Come ha scritto Steven Salaita in un recente articolo, “Niente minaccia Israele più della sopravvivenza dell’identità palestinese attraverso le generazioni successive”. E anche se la leadership nazionale palestinese è allo sbando, per usare un eufemismo, la causa palestinese è sostenuta da un movimento internazionale di solidarietà che include ed è rafforzato dal movimento BDS guidato dai palestinesi. Negli ultimi cinque anni Israele e i suoi sostenitori, nel tentativo di recuperare il vantaggio e controllare il discorso, hanno gettato tutto il loro peso contro questo movimento, che è però vivo e vegeto.

Quanto sarebbe stato più facile per Israele fare un accordo con la Giordania, l’Egitto e la Siria nel 1967 piuttosto che scommettere sull’avere tutto e affrontare il movimento palestinese per i diritti in costante evoluzione e rigenerazione.

Opzioni palestinesi nella lotta per i diritti

In questo contesto, quali opzioni ci sono per i palestinesi? Non c’è dubbio che l’attuale periodo presenti grandi pericoli per i palestinesi. Al movimento dei coloni è stata data da Trump luce verde per andare avanti; non è riuscito neanche a dire “stato palestinese” nella sua dichiarazione su Gerusalemme, parlando semplicemente di pace “che include … una soluzione a due stati” e rendendo in gran fretta questa soluzione ancora dipendente dalla benedizione di Israele con l’aggiunta di un “se concordato da entrambe le parti”.

La paura più grande è per Gerusalemme stessa – sia i palestinesi gerosolimitani che il complesso di Al Aqsa. Ci sono serie preoccupazioni che Israele accelererà l’espropriazione e il dislocamento dei palestinesi, usando le tante tecniche burocratiche che ha perfezionato nel corso degli anni, così come il bulldozer e la palla demolitrice. E, anche se Trump ha parlato di continuare a “sostenere lo status quo” nei luoghi santi di Gerusalemme, tutto questo è facilmente spazzato via dal movimento del Monte del Tempio che vuole costruire un terzo tempio ebraico al posto del complesso di Al Aqsa.

C’è da temere molto anche dal “Quartetto arabo” – Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, Bahrain, e Egitto – e dal loro capo, il principe ereditario Mohammad Bin Salman, che sta spingendo il piano di annessione Stati Uniti-Israele e si dice abbia offerto ai palestinesi una capitale ad Abu Dis, un sobborgo di Gerusalemme separato dalla città dal muro illegale costruito da Israele in gran parte all’interno dei territori occupati e che separa i palestinesi dai maggiori insediamenti e gli uni dagli altri. D’altra parte, la misura in cui il Quartetto arabo può raggiungere i risultati desiderati è in discussione. Lo stesso Bin Salman si è spinto troppo oltre con la sua guerra contro lo Yemen, con la repressione dei suoi colleghi principi e ha poi fallito nel costringere il primo ministro libanese Saad Hariri a dimettersi nel tentativo di indebolire l’Iran -e Siria – e l’alleato libanese Hezbollah, partito e forza militare.

Ecco che il presidente dell’Autorità palestinese (AP) Mahmoud Abbas non potrebbe essere in una posizione meno invidiabile. Se rifiuta la pressione delle forze schierate contro di lui, perderà gli Stati Uniti e molti aiuti arabi senza i quali i funzionari pubblici non possono essere pagati, colpendo circa un milione e mezzo di persone. Se abbasserà la testa, sarà costretto a rinunciare ai diritti palestinesi. In ogni caso l’arcinemico di Abu Mazen e ex capo della sicurezza palestinese Mohammed Dahlan, il protetto degli Emirati, sta aspettando dietro le quinte ed è più che probabile che sia disposto a firmare.

Il pesante prezzo che si paga a sfidare la comunità internazionale è evidente nella Striscia di Gaza, dove Hamas ha rifiutato di concedere la sconfitta o rinunciare alle armi. Il costo che i palestinesi di Gaza hanno sopportato negli ultimi dieci anni, e continuano a subire, è davvero alto. E tra le voci che abbondano sul piano definitivo di insediamento di Israele e Stati Uniti da imporre ai palestinesi c’è il dislocamento dei palestinesi di Gaza nel deserto del Sinai egiziano, lontano dai confini della loro terra d’origine (circa il 70% degli 1,9 milioni di palestinesi di Gaza sono profughi).

D’altra parte, OLP / AP e società civile palestinese sostenuti dal movimento di solidarietà mondiale non sono privi di opzioni se c’è la volontà di unire le risorse e di utilizzare tutte le vie disponibili come deve essere fatto per contrastare questa grande minaccia alla ricerca di ottenimento dei diritti dei palestinesi. All’interno la riconciliazione intra-palestinese tra Fatah e Hamas deve essere raggiunta non solo come un bene in sé. È anche essenziale consentire al sistema politico palestinese di ottenere il sostegno di diversi stati arabi e asiatici, alcuni dei quali sono più vicini a un partito che non all’altro. Ogni possibile legame che Fatah e Hamas possono raccogliere separatamente e insieme per rafforzare la posizione palestinese deve essere sfruttato. È un buon segno che Abbas pianifichi di chiamare il Consiglio Centrale dell’OLP a una sessione di emergenza in cui “tutte le fazioni” saranno invitate.

Si devono inoltre trovare modi per ridurre e eliminare gradualmente il coordinamento della sicurezza dell’AP con Israele. Sarà molto difficile date le misure che Israele può prendere contro i palestinesi, la leadership e Abbas personalmente. Come minimo, la stessa facoltà di Abbas di spostarsi oltre i confini della Cisgiordania e viaggiare verrebbe ridotta. Esistono tuttavia competenze nel settore della sicurezza e al riguardo abbiamo un’abbondante letteratura, compresa una solida analisi politica del network Al-Shabaka. Queste competenze sarebbero prontamente disponibili per l’AP se decidesse di ridimensionare il suo coordinamento. È anche ora di superare le richieste di protezione internazionale per i palestinesi e sviluppare una strategia che possa garantire tale protezione.

L’OLP / AP deve essere più attiva sulla scena europea. Finora i paesi europei che sostengono il diritto internazionale hanno reso vita facile a Israele. L’Unione Europea nel 2016 ha rafforzato la propria posizione sul fatto che i prodotti di insediamento che entrano nell’UE devono essere etichettati per offrire ai consumatori una scelta consapevole – una misura timida e in ultima analisi inefficace. Gli avvisi che diciotto stati UE hanno pubblicato per avvertire le imprese dei rischi (legale, reputazionale e finanziario) che comportano i rapporti con entità di insediamento hanno un maggiore impatto, ma non sono stati chiariti nelle legislazioni o norme nazionali.

Nonostante il loro comportamento pusillanime, l’UE e la maggior parte dei suoi stati membri non acconsentirebbero mai l’occupazione a Israele. Per gli europei, il sistema di diritto internazionale eretto dalla seconda guerra mondiale è la loro protezione contro altre guerre devastanti. Per riuscire nel suo tentativo di legalizzare l’occupazione Israele dovrà minare – e sta minando – l’intera struttura legale. Finora, gli europei hanno potuto chiudere un occhio e fare il minimo sul fronte israelo-palestinese, contenti di lasciar fare agli Stati Uniti, i cosiddetti mediatori onesti .

La dichiarazione di riconoscimento di Gerusalemme di Trump, con il suo concomitante assalto al diritto internazionale, costringerà gli europei a sedersi al posto di guida, a meno che non vogliano vedere l’attenta struttura che hanno messo in atto cadere intorno a loro. Inoltre, la questione dei territori occupati e dell’annessione è diventata stretta e personale per gli europei dall’occupazione e annessione russa della Crimea nel 2014. Avendo imposto sanzioni contro la Russia gli europei non sono nella posizione per continuare a trattare Israele con i guanti di velluto mentre cerca di legalizzare la sua impresa di insediamento illegale.

L’OLP in particolare dovrebbe trarre vantaggio dal rifiuto da parte degli europei del riconoscimento di Trump e intraprendere un’estesa campagna di pubbliche relazioni e campagne di sensibilizzazione nei confronti di governi e diplomatici europei. Dovrebbe essere risoluta e determinata e spingere la responsabilità dei paesi europei a sostenere il diritto internazionale e insistere su un sostegno tangibile alla loro posizione e misure contro le razzie di Israele. L’OLP ha alcuni diplomatici molto esperti da mettere in campo per fare questo lavoro – dopo tutto, alcuni di loro hanno guidato e vinto la causa contro il Muro di Israele alla Corte Internazionale di Giustizia nel 2004.

In altre aree del globo, Israele ha lavorato per invertire cooperazioni e alleanze della Palestina che negli anni ’70 e ’80 sono state le principali fonti di sostegno nel Terzo Mondo. Lo ha fatto con successo in Asia, in particolare in India, Africa e America Latina. Ma non è troppo tardi per i palestinesi per recuperare terreno e coltivare questi legami, offrendo servizi e cooperazioni dove possono. Soprattutto, l’OLP / AP deve lavorare sodo per impedire ad altri paesi di seguire le orme di Trump per riconoscere – o peggio – spostare effettivamente la loro ambasciata a Gerusalemme.

In questo lavoro, e in particolare negli Stati Uniti e in Europa e sempre più in America Latina, l’OLP sarebbe sostenuta dalla società civile palestinese e dal movimento mondiale di solidarietà che può attirare decine di migliaia di sostenitori per fare pressione sui loro rappresentanti politici. Negli Stati Uniti, in particolare, il movimento di solidarietà palestinese ha creato diverse forti istituzioni che promuovono voci palestinesi e filo-palestinesi nei media, forniscono sostegno legale a studenti e insegnanti sotto attacco perché parlano in difesa dei diritti dei palestinesi con i rappresentanti del Congresso e attirano un numero crescente di ebrei nella lotta per la parità di diritti per tutti.

Il ruolo della società civile palestinese e mondiale, oltre a mantenere la pressione su Israele e respingere i suoi tentativi di controllare il discorso, è quello di mantenere l’OLP sulla retta via. Ciò che Trump ha fatto potrebbe dare un colpo di grazia alla causa palestinese se i palestinesi e i loro alleati non offriranno una risposta coerente e coordinata. Pensando a queste e ad altre questioni e sviluppando strategie i palestinesi e i loro alleati possono trasformare questa tragedia in un’opportunità.

Note:

¹ È importante sottolineare la seconda parte di questa frase, dati gli equivoci sul BDS. Il linguaggio della chiamata BDS chiarisce che il movimento è contro le politiche di Israele – non contro la sua esistenza – e che una volta raggiunti gli obiettivi del movimento: autodeterminazione, libertà dall’occupazione, giustizia per i profughi e uguaglianza per i cittadini palestinesi di Israele – allora il BDS finirà.

 

Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org

Fonte: https://al-shabaka.org/ 

 

 

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