Gli alleati ebrei devono capire che la solidarietà comporta una perdita di privilegi

Nei giorni scorsi due incidenti che hanno interessato vicende di individui ebrei in Israele hanno fatto notizia nei circoli progressisti dei diritti della Palestina.

Nada Elia, 5 luglio 2018

Il primo è quello delle giovani donne che hanno abbandonato un tour di Birthright per visitare parti della Palestina che non erano sull’itinerario, e il secondo è il caso dell’organizzatrice nazionale di Code Pink, Ariel Gold, a cui è stato negato l’ingresso in Israele anche se aveva ottenuto un visto per studenti per un corso estivo all’Università ebraica. Anche se si può sostenere che in entrambi i casi gli attivisti non hanno procurato un danno ai palestinesi, gli incidenti riflettono tuttavia la normalizzazione del sionismo in corso e la convinzione che sia perfettamente accettabile, “normale”, per gli ebrei di qualsiasi paese e qualsiasi altro credo ideologico andare in Israele dove beneficerebbero di diritti che sono loro accordati rigorosamente su base religiosa. Tuttavia, alla luce del grande abbraccio israeliano alla supremazia ebraica, spetta agli ebrei progressisti che vogliono sfidare oggi il razzismo israeliano smettere di approfittare del loro immeritato privilegio.

Birthright Israel è una “Israel Adventure” tutta spesata offerta a ebrei di età compresa tra i 18 e i 26 anni, pensata per far innamorare del paese i partecipanti. Tuttavia, come scrive uno studente universitario che aveva preso in considerazione (ma poi non lo ha fatto) il viaggio: “i parametri e gli obiettivi del viaggio sono stabiliti dai finanziatori e dalle parti interessate, come il miliardario americano di estrema destra Sheldon Adelson e il governo israeliano.”

Una componente centrale del viaggio è un incontro con i soldati israeliani, destinato ad attirare le simpatie dei turisti verso i soldati di occupazione. Un incontro con i palestinesi, seppur sterilizzato e approvato dai finanziatori, una volta parte del programma, è stato annullato nel 2015. Le partecipanti di Birthright che hanno abbandonato il loro tour non hanno considerato nessuna delle aree che avevano visitato come parte “dell’occupazione” che volevano testimoniare, rafforzando così implicitamente l’indiscutibilità e accettabilità della pulizia etnica che si è svolta nel 1948, la settantaduenne Nakba palestinese in corso.

D’accordo, abbandonare il viaggio di Birthright va bene. Le partecipanti, membri di IfNotNow, sono sfuggite al lavaggio del cervello che è al centro dell’agenda del programma. Ma d’altra parte non avevano bisogno di partecipare al viaggio di propaganda per acquisire consapevolezza, erano già critiche nei confronti “dell’occupazione”, ma hanno comunque intrapreso il viaggio gratuito. Sarebbe stato più lodevole rifiutare l’offerta di un viaggio interamente pagato, esclusivo immeritato privilegio dei detentori della “giusta” designazione etnica. Eppure hanno insistito per “vedere di persona”, nonostante prove altrimenti disponibile degli orrori di laggiù. Non hanno voluto la voce di nessun palestinese per questo. Non hanno voluto la voce di nessun non-sionista per questo. Anche quando hanno lasciato il tour di Birthright, sono andate a Hebron con membri di Breaking the Silence – un gruppo di soldati israeliani che sono solo critici degli abusi dell'”occupazione”, ma comunque disposti a servire e continuare a servire – piuttosto che con i refusenik iraeliani, o Dio ce ne scampi, con palestinesi. Loro che abbandonano il tour di Birthright e chiedono agli altri partecipanti di “renderlo insopportabile” mettono forse una piuma sul proprio cappello di attiviste, ma non sfidano in alcun modo il sionismo. Mentre invece, accettando di partecipare al loro tour “Birthright” e limitandosi a chiedere una narrazione più complessa, stanno normalizzando il sionismo.

Anche se gli “scioperi di Birthright” vengono applauditi, non ritengo lodevole normalizzare il sionismo, l’idea che tutti gli ebrei possano andare in Israele accettando il viaggio di Birthright e poi sentirsi soddisfatti nel sabotarlo.

È ancora un privilegio, dato che solo gli ebrei arrivano in un paese fondato sull’espropriazione dei suoi popoli indigeni. Per usare un’analogia, mentre il movimento #MeToo prende slancio con donne di tutti i ceti sociali che si fanno avanti con le loro storie di aggressione, tessiamo le lodi di un uomo, partecipante a una festa studentesca, solo perché si è astenuto dallo stupro di gruppo di una giovane donna e poi scriviamo del fatto che l’aggressione sessuale avviene in tali eventi? Non sarebbe meglio ascoltare le sopravvissute agli abusi?

Abbandonare un viaggio di Birthright sarebbe encomiabile solo se si fosse trascinati a farlo dai genitori, a suon di calci e urla, e senza voce in capitolo. Infatti, molti ebrei americani oggi stanno boicottando il viaggio, “restituire il Birthright”, perché rifiutano un viaggio gratuito mentre per i profughi palestinesi è impossibile tornare alle loro case. Questo è un esempio di solidarietà e responsabilità.

 

Il caso della co-direttrice nazionale di Code Pink Ariel Gold, anche se molto diverso, riflette anch’esso un privilegio di cui lei può avvalersi sulla base della sua religione, e che prontamente usa. Durante una visita a Hebron dell’anno scorso fu aggredita da un colono e, dopo un alterco con i soldati israeliani, fu informata che da quel momento in poi avrebbe avuto bisogno di un visto per entrare in Israele. Inoltre Code Pink è una delle 20 organizzazioni americane i cui leader sono stati banditi da Israele a causa della loro organizzazione pro-BDS. Gold aveva ottenuto il visto prima di questo viaggio durante il quale doveva seguire un corso di studi ebraici all’Università ebraica di Gerusalemme. Il suo viaggio, quindi, era per suo arricchimento. Gold ha detto a Mondoweiss che intende contestare la revoca del suo visto e la successiva espulsione da Israele, affermando implicitamente che lei dovrebbe avere il diritto di entrare in Israele, diritto negato a milioni di palestinesi della diaspora. Infatti, due giorni dopo il suo ritorno a casa a New York, Gold ha annunciato che sta “prendendo in considerazione” di fare Aliyyah, il sogno sionista per eccellenza. “La terra di Israele e della Palestina è incredibilmente significativa e sacra per me. È difficile credere che non mi si possa permettere di entrare in un posto per me così importante”, ha detto. Il giorno prima aveva pubblicato un editoriale su The Forward dove spiegava di aver mandato i suoi bambini in Israele con la NFTY, che organizza campi estivi e soggiorni di un anno per ebrei americani dal 6° al 12° grado, e i cui principi includono: “La centralità dello Stato di Israele per la forza e la sopravvivenza del Popolo Ebraico.” NFTY spiega, nella sua sezione FAQ, che considerano i propri viaggi come una buona premessa ai viaggi di Birthright.

Gli ebrei progressisti non dovrebbero avvalersi dell’opportunità di frequentare un corso presso un’università israeliana. Gli alleati devono comprendere che la solidarietà comporta una perdita di privilegi. Non c’è eroismo nell’aggirare le regole stabilite. In un momento in cui gli attivisti BDS negli Stati Uniti stanno sfidando il programma Study Abroad in Israel come intrinsecamente discriminatorio, è imbarazzante che Gold abbia ritenuto perfettamente accettabile iscriversi ad un corso estivo presso un’università israeliana a Gerusalemme, la città al centro della violazione israeliana del diritto internazionale, una violazione che ha recentemente ricevuto la benedizione dell’amministrazione Trump sotto forma del suo “riconoscimento” da parte del presidente degli Stati Uniti come capitale di Israele. Anche supponendo che un’organizzatrice nazionale del movimento BDS come Gold non sia a conoscenza della campagna per mettere fine ai programmi Study Abroad in Israel, come si concilia l’isolamento di Israele con un viaggio lì per seguire un corso estivo?

È tempo che gli ebrei progressisti capiscano che non possono denunciare il razzismo mentre ne traggono benefici. Non è necessario andare in Israele per studiare la “storia collettiva” degli ebrei. Né è necessario andare a Hebron, accompagnati dai soldati israeliani, per vedere di persona quanto i palestinesi hanno documentato per decenni. Per i privilegiati di un sistema ingiusto, smantellare quel sistema implica rinunciare alle prerogative e alle sicurezze che il sistema offre loro, compresa l’opzione di fare Aliyah, quando Israele continua a negare ai palestinesi il Diritto al Ritorno, e sistema cecchini a sparare su chiunque si unisca alla Grande Marcia del Ritorno.

Ci sono molti viaggi in Palestina conformi al BDS, condotti da o condotti insieme a palestinesi. Alcuni offrono una panoramica generale, altri si concentrano sui problemi della sanità o sulla libertà accademica. Fino a quando gli ebrei progressisti non smetteranno di andare in Israele in tour di propaganda per “vedere di persona” o per “vedere l’occupazione” (della Cisgiordania, come se Tel Aviv non fosse occupata), o anche individualmente per studiare “la storia ebraica”, saranno complici della normalizzazione del sionismo, dell’idea che tutta la Palestina storica sia davvero la loro per diritto di nascita. E chiunque si attenga al proprio immeritato privilegio non può far avanzare la lotta per la giustizia.

Nada Elia è un’attivista palestinese, scrittrice e organizzatrice di base, che sta completando un libro sull’attivismo palestinese della diaspora.

 

Traduzione: Simonetta Lambertini – Invictapalestina.org

Fonte: http://mondoweiss.net/2018/07/understand-solidarity-privilege/

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