“Pena di morte”: i negozianti di Gaza soffrono mentre i valichi commerciali si chiudono

Dopo le misure prese da Israele il 55% delle merci non può più entrare nella Striscia di Gaza, esacerbando le già difficili condizioni.  FOTO – Israele ha sospeso importazioni ed esportazioni dal valico di Kerem Shalom, facendo sì che i prodotti invenduti portino a un arresto di alcune fabbriche [Abed Zagout / Anadolu Agency]

 

 

Mersiha Gadzo e Anas Jnena, 13 luglio 2018

I titolari di imprese e i commercianti assediati nella Striscia di Gaza hanno manifestato sorpresa e rabbia per una decisione israeliana di chiudere l’unico valico commerciale del territorio sotto assedio.

La mossa di lunedì del governo israeliano di chiudere il valico di Kerem Shalom mette a rischio migliaia di posti di lavoro, hanno detto proprietari d’azienda, evocando lo spettro della rovina finanziaria per quanti hanno fatto importanti investimenti o accordi per merci in programma di entrare o uscire da Gaza.

Israele ha detto che la misura era in risposta agli aquiloni e palloncini incendiari che sono stati mandati al di là della recinzione dai manifestanti di Gaza e che hanno bruciato terre agricole israeliane.

La Palestinian Crossings Authority è stata informata che solo gli articoli ritenuti “umanitari” dalle autorità israeliane saranno autorizzati a entrare a Gaza, tra questi: cibo, prodotti per l’igiene e medicinali, carburante, cibo per animali e bestiame.

L’ingresso di tutti gli altri articoli, come materiali da costruzione, mobili, legno, elettronica, tessuti, abbigliamento, coperte e generatori è stato vietato.

Sono state vietate anche esportazioni di qualsiasi tipo da Gaza, con una minaccia per i posti di lavoro nelle fabbriche e nelle attività commerciali della Striscia che fino ad ora sono riuscite a sopravvivere al blocco israeliano-egiziano che va avanti da 11 anni.

“Se continua così sarà un disastro per le nostre imprese”, ha detto Kamal Abdul Hadi, proprietario a Gaza di una ditta di falegnameria e mobili che dipende finanziariamente dall’esportazione attraverso Kerem Shalom dei suoi prodotti in Israele e nella Cisgiordania occupata.

“È pazzesco, speriamo che Israele non tenga chiuso il passaggio perché varrebbe per tutti noi a una pena di morte”, ha aggiunto.

Secondo statistiche dell’ONU e di Gisha, il Centro legale per la libertà di circolazione, in seguito alle nuove restrizioni al 55% dei beni che normalmente entrerebbero a Gaza verrebbe ora negato l’ingresso.

“L’economia qui è pessima e sostanzialmente otteniamo i nostri profitti dall’esportazione: qui non c’è liquidità finanziaria, nessuno è in grado di comprare”, ha detto Abdul Hadi.

“Alcuni commercianti di pannelli di legno a Gaza a noi non vendono anche perché temono che non arriverà più legname e quelli disposti a vendere ora hanno aumentato il prezzo del 30%. Non sappiamo cosa fare.”

Far quadrare i conti sotto un blocco è sempre stata una sfida per i palestinesi a Gaza.

Ma le cose sono peggiorate quando l’anno scorso Mahmoud Abbas, presidente dell’Autorità Palestinese (AP) e leader del partito politico Fatah, ha imposto sanzioni finanziarie a Gaza nel tentativo di isolare Hamas che governa la Striscia. Le sanzioni hanno avuto un effetto negativo sulle famiglie.

Gli stipendi dei dipendenti dell’AP sono stati ridotti di un terzo e l’assistenza sociale sospesa a centinaia di famiglie. Di conseguenza, molte aziende nell’ultimo anno hanno avuto poca o nessuna clientela. A questo punto hanno fatto molto affidamento sulle esportazioni per portare a casa il pane.

I prezzi di materiali essenziali come il cemento sono schizzati immediatamente alle stelle dopo l’annuncio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu – e continuano a salire. Con i materiali per l’edilizia – che a giugno hanno rappresentato il 44% delle importazioni – vietati, si prevede che i lavori di costruzione a Gaza si fermeranno.

Tra le importazioni programmate e cancellate dopo l’annuncio di Israele c’erano 16 camion carichi di materiali da costruzione per le agenzie delle Nazioni Unite destinati a progetti per l’istruzione, salute e acqua.

 

FOTO – Le esportazioni da Gaza sono state vietate, minacciando migliaia di posti di lavoro nelle fabbriche e nelle imprese nella striscia [Agenzia Abed Zagout / Anadolu]

“Punizione collettiva”

 

In un comunicato rilasciato venerdì dall’ONU si afferma che le nuove restrizioni rischiano di aggravare le “condizioni di vita già disastrose a Gaza, sottoposta da oltre 11 anni a un blocco israeliano che ha sollevato preoccupazioni di una punizione collettiva sommata a un’irrisolta divisione interna palestinese”.

Il 49% dei palestinesi a Gaza è disoccupato (65% dei giovani) e il 70% delle persone dipende dagli aiuti umanitari per sopravvivere.

Secondo il diritto umanitario internazionale, Israele come potenza occupante ha l’obbligo di assicurare che siano soddisfatti diritti sociali, economici e culturali e le esigenze della popolazione palestinese nella Striscia di Gaza e nella Cisgiordania occupata.

“La scelta di Israele di usare la punizione collettiva per affrontare la sfida posta dagli aquiloni incendiari è immorale e illegale. Come lo sono le condizioni umanitarie a Gaza deplorevoli e addirittura pericolose,” ha detto un portavoce di Gisha.

“Il danno inflitto agli agricoltori nel sud di Israele è serio e condannabile, ma danneggiare gli abitanti di Gaza non lo risolverà”, ha aggiunto il portavoce.

“La distinzione che fa Israele tra elementi “umanitari” e quindi permessi, in contrapposizione a elementi “meno essenziali” e quindi vietati, è tanto infondata quanto vergognosa, in particolare data la devastante situazione umanitaria già dilagante nella Striscia. Sembra che Israele ancora una volta cerchi di limitare le forniture a Gaza ad un minimo umanitario, come ha fatto nei periodi più duri della chiusura”.

Tra quelli colpiti duramente c’è il commerciante di prodotti agricoli Ahmad al-Astel. Esportava da quattro a cinque camion al giorno di ortaggi attraverso Kerem Shalom nella Cisgiordania occupata e in Israele, ma ora la sua attività è stata bloccata.

Al-Astal ha detto ad Al Jazeera che i suoi prodotti andranno perduti dato che il mercato locale può soddisfare solo il 30% dei beni che dovrebbero essere esportati al di fuori di Gaza.

Non esiste l’opzione di conservare i prodotti in celle frigorifere, visto che la Striscia riceve solo quattro ore circa di elettricità al giorno a causa della sua crisi energetica.

 

Stringere il cappio

 

L’assedio a Gaza è iniziato nel 2007 quando Israele ha imposto restrizioni al trasferimento di merci, concedendo al territorio solo ciò che definiva “vitale per la sopravvivenza della popolazione civile”, una politica che Gisha ha definito “guerra economica”.

Nel corso degli anni altri tre valichi di Gaza – nKarni, Sufa e Nahal Oz – sono stati utilizzati per il trasferimento di merci, materiali da costruzione e carburante.

Abdul Hadi, il titolare dell’azienda di mobili, ha detto che è diventato mano a mano sempre più difficile tenere a galla gli affari a causa dell’assedio.

Fino al 2015 esportava 20-30 camion di mobili attraverso Karem Shalom, ma negli ultimi anni ha detto di aver esportato solo un camion o due al mese a causa delle crescenti restrizioni israeliane.

Secondo le statistiche di Gisha l’assedio su Gaza si è irrigidito nel giugno 2018.

Il numero di camion carichi di merci che sono entrati a Gaza (6.819) il mese scorso è stato il numero più basso registrato da luglio 2015. Anche il numero di camion di carburante è diminuito dai 560 a maggio ai 487 nel giugno 2018.

Nel mese di giugno, sono usciti da Gaza circa 149 camion carichi di merci – poco per una popolazione di due milioni di abitanti e solo una minima parte del numero che usciva prima dell’assedio iniziato nel giugno 2007 (1.064 camion al mese), ha osservato Gisha.

Nahed Eid, vice presidente della Palestinian Information Technology Association, che coordina una rete di 42 aziende tecnologiche, ha dichiarato ad Al Jazeera che l’organizzazione è a una perdita di 4 milioni di dollari – il loro costo di gestione – a causa dell’importazione di prodotti che sono bloccati al confine dalla scorsa settimana.

“Prego che questa chiusura non duri. Ci dovrebbe essere una separazione tra il conflitto politico e le questioni umanitarie a Gaza”, ha affermato Eid.

Al-Astal, il commerciante di prodotti agricoli, spera che la chiusura non duri a lungo perché ritiene che le sue conseguenze sarebbero troppo devastanti.

“La mia preoccupazione principale è che i commercianti che importano le mie merci non vogliano più trattare con me in futuro”, ha detto al-Astal.

“Cominceranno a importare ed esportare dalla Turchia anziché da Gaza. Da quando la barriera è stata chiusa non siamo più affidabili ai loro occhi (per gli affari)”.

 

Traduzione: Simonetta Lambertini – Invictapalestina.org

Fonte: https://www.aljazeera.com/indepth/features/penalty-gaza-merchants-suffer-trade-crossing-shuts-180713124155794.html

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Protected by WP Anti Spam