A Rawabi, il sogno combattuto di una Palestina high-tech

Aperto questa estate in Cisgiordania, il nuovo polo tecnologico di Rawabi è pubblicizzato come la futura Silicon Valley palestinese. Il BDS, tuttavia, denuncia un progetto che contribuisce alla normalizzazione con Israele

Copertina – La nuova città di Rawabi in Cisgiordania, fondata dal miliardario palestinese Bashar Masri, è stata oggetto di accuse di normalizzazione con Israele (MEE / Eloise Bollack)

 

Chloé Demoulin, 5 marzo 2018

 

RAWABI, West Bank – Un centro dati all’avanguardia, un incubatore di start-up che non ha nulla da invidiare ai giganti americani di Internet e presto un centro di formazione high-tech … Benvenuti nel polo tecnologico di Rawabi, che ha aperto le sue porte questa estate nella nuova città creata dal miliardario palestinese Bashar Masri, a 9 km da Ramallah.

L’infrastruttura è stata installata in un edificio di otto piani nel cuore del centro commerciale della città. Martedì 30 gennaio, Sari Taha, project manager, fa scoprire i luoghi a una manciata di giornalisti.

La visita inizia con il data center situato nel seminterrato. “I nostri server hanno già la capacità di supportare i dati di oltre 100 società e prevediamo di rafforzare ulteriormente le nostre apparecchiature per poter offrire i nostri servizi a più di 500 aziende in futuro”, si complimenta.

Sari Taha, responsabile del centro tecnologico di Rawabi, presenta il progetto ai giornalisti (per gentile concessione di Rawabi)

L’obiettivo è soddisfare le esigenze del settore high-tech locale, che impiega già più di 6.000 persone in Cisgiordania e rappresenta il 6% del PIL dell’Autorità palestinese. Ma anche creare “una piattaforma per tutto il Medio Oriente”.

“Vogliamo offrire partnership a società con sede in Giordania o in Egitto in modo che possano operare da qui con i palestinesi”, ha affermato Sari Taha. Per incoraggiare gli investitori stranieri, la società palestinese ASAL Technologies, di cui Bashar Masri è azionista, ha trasferito alcuni dei suoi dipendenti al 3° e al 4° piano dell’edificio.

“Per creare un settore altamente performante, crediamo che sia necessario un ecosistema concentrato, con un mix di imprese locali e internazionali. Dobbiamo guardare all’esterno perché il nostro mercato è troppo piccolo. Questa è la ricetta che ha procurato il successo alla Silicon Valley negli Stati Uniti e agli israeliani accanto a noi”, afferma Murad Tahboub, General Manager di ASAL Technologies.

Specializzata nell’outsourcing di software e servizi informatici, ASAL Technologies ha già sedotto la società israeliana Mellanox, esperta nel campo della banda larga, ma anche il peso massimo Microsoft.

Un dipendente della compagnia palestinese di Rawabi, Mohammed Asmar, sta lavorando, ad esempio, al progetto Cortana, dal nome dell’assistente personale intelligente sviluppato dalla società americana. “E’ uno dei progetti più importanti del momento”, dice.

Con le sue competenze, l’ingegnere palestinese avrebbe potuto essere facilmente assunto negli Stati Uniti, ma “preferisce rimanere qui e forse contribuire a costruire la Silicon Valley della Palestina”.

Al quinto piano, Sari Taha ci mostra infine la nuova incubatrice di start-up di Rawabi. Arredamento di design, computer con connessione in fibra ottica, sale riunioni o stampanti in 3D: tutto è stato studiato per permettere agli imprenditori palestinesi di “scambiare e far progredire le loro idee” al fine di “sedurre più velocemente” il mercato locale e internazionale.

Mentre la disoccupazione raggiunge il 21% in Cisgiordania, Sari Taha è convinto: “Le nuove tecnologie sono un trampolino di lancio per i giovani palestinesi. Permetteranno loro di dimostrare il loro valore al mondo.”

Da questo punto di vista, l’arrivo del 3G in Cisgiordania il 23 gennaio scorso è un incoraggiamento per i palestinesi. Erano trascorsi 15 anni da quando le autorità israeliane avevano negato loro l’accesso, ufficialmente per “motivi di sicurezza”.

 

Normalizzazione e “pace economica”

 

Meno entusiasti, alcuni palestinesi tuttavia rimproverano alla città di Rawabi e al suo nuovo polo tecnologico di contribuire alla normalizzazione delle relazioni con Israele.

Secondo il movimento Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), la città, creata dalla A alla Z con fondi privati, tra cui quelli del Qatar, è stata costruita su tre villaggi palestinesi le cui terre sono state confiscate dall’Autorità Palestinese e consegnate a Bashar Masri.

Inoltre, per costruirla, l’uomo d’affari “è ricorso ai servizi dell’architetto israeliano Moshe Safdie”, che ha progettato fra l’altro i piani della città israeliana di Modi’in, sottolinea a Middle East Eye un membro del BDS. Una parte del complesso di Modi’in, Modi’in Illit, è in realtà una colonia costruita illegalmente sulle terre del villaggio di Bil’in in Cisgiordania.

Da lontano, Rawabi (colline, in arabo) assomiglia a a tal punto a una colonia israeliana che ti puoi confondere; anche se poi è stata innalzata una grande bandiera palestinese, si direbbe per evitare tale confusione.

Un altro punto di tensione per i sostenitori della causa palestinese: il miliardario ha comprato materiali da costruzione, tra cui pietre per lastricati e materiale elettrico, da compagnie israeliane.

 

Bandiere palestinesi sul sito di Rawabi (AFP)

 

Bashar Masri l’ammette volentieri. “Non dobbiamo prenderci in giro. Non possiamo fare nulla senza gli israeliani”, si confidò nel maggio 2017. Ma l’uomo d’affari palestinese insiste sul fatto di aver combattuto contro gli israeliani per portare a termine il suo progetto.

Per diversi mesi, l’approvvigionamento idrico della città è stato ritardato, fra l’altro, dalle denunce del vicino insediamento israeliano di Ateret. Nel frattempo, il gabinetto del governo Netanyahu continua a rifiutare un permesso per ampliare l’unica strada per Rawabi.

Al di là di questi aspetti materiali, il movimento BDS denuncia la volontà del miliardario di collaborare con il settore high-tech israeliano. “L’industria high-tech israeliana è uno dei principali partner del complesso di sicurezza militare israeliano e dipende da esso per la sua crescita e il successo […] Israele sta usando la sua occupazione militare in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza per testare i suoi progressi tecnologici” deplora il BDS.

Di fronte a questa critica, Bashar Masri si batte. “Non ci sono segreti, uno dei nostri obiettivi è Israele”, ha detto al Middle East Eye senza esitazione. Vuole spingere aziende high-tech israeliane a trasferire alcune delle loro attività a Rawabi.

Per il miliardario l’obiettivo principale è creare posti di lavoro. Quindi, ai suoi occhi, sarebbe un peccato non approfittare del successo della ‘start-up’ israeliana che oggi manca di ingegneri. “Invece di cercarli nell’Europa dell’est o in India, gli israeliani potrebbero assumerli in Cisgiordania”, suggerisce.

 

FOTO – Colline che circondano Rawabi (MEE / Eloise Bollack)

Un argomento che il BDS contesta. “Contrariamente a quanto afferma, Bashar Masri non lavora per il futuro della Palestina. Queste azioni sono infatti in armonia con la cosiddetta politica di ‘pace economica’ sviluppata da Israele per la Cisgiordania, ovvero l’emarginazione dei diritti fondamentali dei palestinesi, incluso il diritto all’autodeterminazione, in cambio di guadagni economici per una élite minoritaria”, critica aspramente il BDS.

Di fatto, con il suo gigantesco anfiteatro, il suo parco per attività sportive e ben presto la sua azienda vinicola, la città di Rawabi assomiglia molto a una destinazione di vacanza per ricchi palestinesi. Un elemento che potrebbe spiegare perché pochi acquirenti – 4.000 ad oggi, secondo i dati ufficiali della città – si siano lasciati sedurre. “Abbiamo 3.000 visitatori ogni fine settimana che vengono a godersi i nostri intrattenimenti”, afferma Jack Nassar, membro della Rawabi Foundation.

Va detto che per molti palestinesi che lavorano a Ramallah, vivere a Rawabi sarebbe un vero rompicapo. Dovrebbero quotidianamente affrontare le strade della Cisgiordania, conosciute per il loro traffico mostruoso, e l’improvvisa chiusura dei checkpoint da parte delle autorità israeliane.

Poco importa a Bashar Masri, che precisa che Rawabi non gli ha ancora procurato un centesimo. La sua soddisfazione è altrove. “La gente sa che creo posti di lavoro”, dice a Middle East Eye. Nell’ edilizia, nella promozione, nei servizi e ora nell’high tech: circa 10.000 palestinesi oggi lavorerebbero direttamente o indirettamente per la città, secondo l’uomo d’affari.

 

 

Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org

Fonte: https://www.middleeasteye.net/reportages/rawabi-le-r-ve-contrari-d-une-palestine-high-tech-1063041864?fbclid=IwAR065s3h1gxaOS199nZ45d4dVw_GgS9qeINhQrG0uAxWgWnRf5ytAmyd6XI

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