Quando gli ebrei lodavano Mussolini e sostenevano i nazisti: ecco i primi fascisti d’Israele.

Ottant’anni dopo, nella destra israeliana alcuni aspetti preoccupanti del fascismo ebraico sono ancora evidenti.

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Dan Tamir  – 20 luglio 2019

Immagine di copertina: membri di Brit Habiryonim Revisionist. Il  loro scopo era far conoscere ai giovani del Paese la luce del nazionalismo. Istituto Jabotinsky

“Il fascismo non è un prodotto da esportare”. – Benito Mussolini, 1925

Nel corso dell’ultima campagna elettorale, la reazione di molti alla pubblicità in cui il Ministro della Giustizia israeliano faceva da modella a un profumo immaginario dal nome  prettamente ideologico, fu un misto di repulsione e di strano fascino. Tutto sommato l’idea era geniale, e il messaggio ovvio: quello che i suoi avversari stavano “annusando” non era “fascismo”, ma un’adeguata amministrazione e un governo solido. La clip, come sappiamo, non ha salvato la campagna di Ayelet Shaked: il suo partito, Hayamin Hehadash, non è riuscito a oltrepassare la soglia elettorale. Tuttavia, lo spot ha sollevato una serie di domande di interesse sia storico che contemporaneo: qual è l ‘”odore” del fascismo? Il fascismo può essere “annusato”? C’è mai stato il fascismo in Israele, e se è così,sta per tornare?

Nella sinistra comunista c’è la tendenza comune a vedere il fascismo all’interno di ogni manifestazione di nazionalismo, o almeno a considerare il fascismo come una forma estrema del capitalismo moderno. Nei circoli di destra, al contrario, il “fascismo” è una maledizione che deve essere elusa, una sorta di persistente sospetto che deve essere respinto – come esemplificato dalla tanto discussa clip del profumo.

Ma cos’è il fascismo? Cosa lo distingue dagli altri movimenti politici di destra? Nel 2004, Robert Paxton, nel suo libro “L’anatomia del fascismo” (che tradusse in ebraico), elencò sette caratteristiche che collettivamente potrebbero delineare la natura del fascismo come ideologia e come pratica politica. Esse sono: la certezza nella supremazia del gruppo – nazionale, etnica – su ogni diritto dell’individuo e la subordinazione dell’individuo al gruppo; la convinzione che il gruppo in questione sia vittima di altri gruppi, in conseguenza della quale esiste una giustificazione per ogni azione intrapresa contro i suoi nemici (domestici o esterni, reali o immaginari); paura del danno che il gruppo potrebbe subire dalle tendenze liberali o dalle influenze “straniere” dall’esterno; la necessità di una comunità nazionale “più pura” e di una sua più stretta integrazione,  ottenuta sia pacificamente che con metodi violenti; insistenza sul diritto del gruppo a governare gli altri senza limitazioni – un diritto che si riconosce al gruppo a seguito della sua singolarità o abilità; la convinzione di essere davanti a una crisi grave, non suscettibile di alcuna soluzione tradizionale;  il bisogno di credere nell’autorità di un unico leader e di obbedirgli  in quanto in possesso di intuizioni o capacità soprannaturali.

Un’altra caratteristica che potrebbe essere aggiunta è la feroce opposizione al socialismo in tutte le sue forme – una caratteristica che è stata particolarmente evidente nella pratica dei movimenti fascisti attivi nella seconda metà del ventesimo secolo, anche se non apertametne dichiarato dalla loro ideologia.

I fenomeni più tipicamente identificati come fascisti sono associati con i regimi  di Benito Mussolini e Adolf Hitler: bande squadriste (in Italia)  o truppe d’assalto naziste che operavano in camicia nera o marrone, cortei di massa, subordinazione dei media indipendenti al regime, effettiva eliminazione della legalità, riorganizzazione di tutta l’economia in un’apparente “armonia”, persecuzione dei nemici interni reali o immaginari, campi di detenzione e sterminio, esecuzioni di massa, mobilitazione di tutta la nazione, e infine una guerra esterna che conduce alla completa distruzione- come nel caso dell’Italia e della Germania.

Benito Mussolini e altri leader fascisti nella marcia su Roma, il 28 ottobre 1922, che portò alla loro ascesa al potere senza spargimento di sangue. Roger-Viollet / © LAPI / AFP

Nei fatti, il Partito Fascista di Mussolini e il Partito Nazional-Socialista di Hitler sono stati le uniche due organizzazioni fasciste che sono riuscite a consolidarsi con successo,  guadagnare potere politico e un numero significativo di sostenitori, ottenere il governo dando vita a un nuovo regime e, infine, guidare i loro Paesi – i cui apparati erano indeboliti e danneggiati dall’interno – in una guerra orribile. (Italia e Germania  furono gli unici due Paesi in cui tali partiti  raggiunsero il potere autonomamente: i regimi fantoccio che gli  occupanti  imposero in Europa sopravvissero solo grazie alle baionette delle forze armate italiane e tedesche, e crollarono immediatamente dopo la loro espulsione.)

Tuttavia, nel periodo successivo alla Prima Guerra Mondiale, ci furono molti altri gruppi e movimenti (principalmente in Europa, ma anche altrove) creati e gestiti ispirandosi al modello fascista – gruppi che cercarono di rispondere a esigenze simili e conseguentemente di applicare simili modelli nella loro politica. I Rexists in Belgio  con Leon Degrelle, il National Rally di Vidkun Quisling in Norvegia, la Croce di Ferro ungherese , la Legione di San Michele Arcangelo di Corneliu Codreanu in Romania, la Falange di José Antonio Primo de Rivera in Spagna, la British Union of Fascists di Oswald Mosley e il Partito Nazional-Socialista siriano fondato da Antun Saade in Libano. Questi sono solo alcuni esempi di movimenti che non solo operarono nello stile e con le modalità di Mussolini e di  Hitler, ma che cercarono di stabilire regimi fascisti nei loro Paesi.

Ciascuno dei movimenti menzionati sopra aveva caratteristiche distinte e ciascuno perseguiva una strategia politica leggermente diversa, in accordo con il clima politico, la struttura del regime e i codici sociali in cui agiva; nessuno di essi, tuttavia,  ebbe successo come avvenne invece per le loro controparti in Italia e Germania. Ciononostante, tutti condividevano le caratteristiche di ciò che gli studiosi definiscono “fascismo generico”. Infatti, negli anni ’20 e ’30, il fascismo era un fenomeno politico in crescita  ed era attivo in quasi tutte le società di massa che  all’epoca erano afflitte da una profonda crisi. .

E la Palestina?

Rispetto al prolungato orrore del fronte occidentale nella Prima Guerra Mondiale, o alle battaglie in Europa Orientale sature del sangue di migliaia di persone sia in quella guerra che durante la successiva nascita dell’Unione Sovietica, le frontiere esterne dell’impero ottomano erano relativamente tranquille. Tuttavia, lo sconvolgimento derivante dalla Prima Guerra Mondiale – compresa la dissoluzione del vecchio ordine politico e le trasformazioni economiche e sociali che ne seguirono – non risparmiò completamente la Palestina di quell’epoca. Si assistette a mobilitazioni di massa, alla confisca dei beni e all’esilio di intere popolazioni, alle privazioni e alla fame, con l’aggiunta di uccisioni di massa e azioni omicide.  Il tutto culminò nel crollo totale di un ordine politico vecchio di generazioni, che fu soppiantato da una nuova amministrazione imperiale britannica che preservò sì alcune caratteristiche del vecchio ordine, ma accelerò i processi di modernizzazione che colpirono la società, l’economia e la politica.

In Palestina i cambiamenti locali furono accompagnati da consistenti ondate di immigrazione, inclusi gli immigrati europei  che arrivarono nello Yishuv, la comunità ebraica pre-1948 in Palestina. Come ogni comunità di immigrati, questi europei erano dotati del bagaglio culturale e delle idee politiche che erano prevalenti nei loro Paesi di origine. Il sistema di comunicazione, che all’epoca era stato migliorato e  velocizzato (telefono, telegrafo, giornali), insieme ai rapporti diplomatici tra l’Europa e la Palestina e la relativa libertà di movimento tra le due regioni – tutto questo permise e persino incoraggiò un flusso di idee tra le coste orientali e settentrionali del Mediterraneo. Inoltre, un numero non trascurabile di migranti europei arrivati in Palestina dal centro e dall’est del continente negli anni ’20, erano “diplomati” della Prima Guerra Mondiale e dei successivi sconvolgimenti. Che avessero appena lasciato gli eserciti tedeschi, austro-ungarici o russi, o che fossero fratelli minori di persone che avevano prestato servizio militare, essi, come quelli della loro generazione che rimasero in Europa, erano membri della generazione segnata dalla Grande Guerra .

La giustapposizione tra un’economia vacillante, una società di massa con una moderna struttura di partito politico (come nel caso dello Yishuv), due comunità nazionali in competizione tra loro, la delusione per quella che sembrava essere l’inefficacia dell’establishment politico, e la poca fiducia nella capacità delle autorità britanniche di fornire protezione e sostegno alla popolazione, scatenò la ricerca di nuove risposte politiche. Come in Europa, alcuni le trovarono nel fascismo; un gruppo fascista prese gradualmente forma nel gruppo Revisionist Zionist.

L’inizio fu modesto. Come molti altri a metà degli anni ’20, Itamar Ben-Avi, figlio di Eliezer Ben Yehuda –  colui che introdusse la lingua ebraica ed editore del giornale Doar Hayom – esprimeva simpatia e persino ammirazione per Mussolini e le sue azioni. A differenza di altri giornalisti dell’epoca, nello Yishuv egli desiderava ardentemente un capo forte e deciso, e lo trovò nella persona di Ze’ev Jabotinsky. Un altro personaggio – un commentatore alle prime armi che aveva iniziato la sua carriera politica e giornalistica nei circoli socialisti e al giornale dell’organizzazione di sinistra Hapoel Hatza’ir e che alla fine degli anni ’20 scriveva  una colonna regolare per Doar Hayom dal titolo ” Dal  quaderno di un fascista “- era Abba Ahimeir. Insieme ad un intellettuale che era deluso dai circoli socialisti, lo  scrittore e poeta Uri Zvi Greenberg e al medico e saggista Joshua Heschel Yevin, Ahimeir costituì un gruppo di giovani chiamati Brit Habiryonim (The Zealots ‘Alliance), il cui scopo era fare in modo che i giovani del Paese si focalizzassero sul nazionalismo.

Itamar Ben-Avi. Dagli archivi sionisti

Le idee sposate dal trio, leader della fazione massimalista nel movimento revisionista, furono riprese dalla stampa. Alla fine degli anni ’20, dopo aver efficacemente gestito Doar Hayom, fondarono Ha’am (che divenne poi Hazit Ha’am – The People’s Front -). La visione del mondo di questo triumvirato comportava il considerarsi costantemente a un passo dalla crisi e  il preoccuparsi per una continua minaccia allo Yishuv e al progetto sionista.  Ritenevano gli ebrei nel loro complesso e in particolare i sionisti come vittime storiche sia in Europa che nella terra di Israele. Nella loro percezione, il movimento nacque,secondo le parole di Yeivin, dai “campi di battaglia silenziosi” della Prima Guerra Mondiale. Di conseguenza, provavano solo disprezzo per i liberali, i moderati e chiunque pensasse di poter scendere a compromessi con gli Arabi o gli Inglesi.

La loro glorificazione della violenza politica – principalmente usata contro socialisti e comunisti, ma anche contro i liberali e gli oppositori in generale – combaciava perfettamente con la loro passione per gli ambienti di estrema destra in Europa. Non fecero segreto della loro aspirazione verso un unico leader da idolatrare: in un incontro del Movimento Revisionista a Vienna nell’estate del 1932, un altro membro del gruppo, Wolfgang von Weisl, propose che Jabotinsky fosse dichiarato capo supremo del movimento con autorità illimitata (Jabotinsky respinse l’idea).

Brit Habiryonim crollò alla fine del 1933, quando Ahimeir e altri due attivisti revisionisti (Zvi Rosenblatt e Avraham Stavsky) furono accusati di avere assassinato Chaim Arlosoroff, un leader sionista laborista, nel giugno di quell’anno. Ahimeir fu assolto dall’accusa di omicidio, ma venne condannato a due anni di carcere per aver diretto un’organizzazione illegale. Anche Doar Hayom  fu chiuso e cessò la pubblicazione.

Legami con l’Asse

Brit Habiryonim fu attivo solo per poco tempo, ma il suo parziale appoggio alla politica hitleriana in Germania nella primavera del 1933 (come raccontato nel giornale Hazit Ha’am,  cosa che fece infuriare Jabotinsky) fu di durata ancora più breve; addirittura, alcuni membri del movimento protestarono contro il governo nazista e rubarono la bandiera a svastica dal consolato tedesco a Tel Aviv. Al contrario, i legami del Movimento Revisionista con il regime di Mussolini durarono almeno fino al 1938, quando l’Italia emanò leggi razziali simili a quelle promulgate dai nazisti. Oltre ai cadetti del Movimento Revisionista nella scuola navale, che operò a Civitavecchia dal 1935 al 1937 sotto gli auspici del regime fascista italiano, altri giovani revisionisti  studiarono nelle università italiane.

Uri Zvi Greenberg. Deluso dagli ambienti socialisti. Zoltan Kluger / GPO

Uno di questi studenti fu Zvi Kolitz che, tornato in Palestina dopo gli studi, pubblicò un libro, “Mussolini: la sua personalità e la sua dottrina”. La lusinghiera biografia del Duce includeva anche una selezione delle sue lettere. (La  permanenza di Kolitz in Italia e l’affetto per il suo leader non gli impedirono di arruolarsi successivamente nell’esercito britannico).

Un altro laureato dell’Università di Firenze in quel decennio fu Avraham Stern. Dopo il suo ritorno in Palestina, salì tra i ranghi dell’Irgun Tzvai Leumi (l’Organizzazione militare nazionale dei revisionisti), ma dopo la Seconda Guerra Mondiale lasciò l’Irgun e  fondò un gruppo separato chiamato Lehi (un acronimo per “Combattenti  per la libertà di Israele “) – conosciuto anche come la Banda Stern.

Ideologicamente, Stern immaginava nei suoi scritti e nel suo manifesto, “Principi di nascita”, un risorgimento nazionale che corrispondeva strettamente ai modelli fascisti del periodo (anche se in una versione molto romantica). Nella sfera pratica, Stern cercò la cooperazione con le forze dell’Asse nella lotta contro il mandato britannico. Nel gennaio 1941, a seguito di un fallito tentativo di prendere contatto con la rappresentanza italiana in Palestina, Stern  incaricò uno dei suoi uomini di avvicinare il rappresentante tedesco a Beirut. Anche questo sforzo non ebbe risultati (in larga misura a causa dei calcoli costi-benefici del Ministero degli Esteri tedesco), ma indusse gli inglesi a intensificare la caccia sia di Stern che dei membri della sua organizzazione.

I legami tra il Movimento Revisionista e i regimi fascisti erano basati su profonde e autentiche affinità o solo su interessi comuni nella lotta contro il dominio britannico nel Mediterraneo? Nel caso di Jabotinsky, che era ben lungi dall’essere un socialista ma riconosceva l’importanza e l’applicazione dei valori democratici liberali, si può presumere che si trattasse di un nesso di interessi temporaneo. Ma a giudicare dai discorsi, dagli articoli, dalle canzoni e dalle mozioni dell’ordine del giorno dei membri del circolo che sostenevano un approccio massimalista in Palestina, e in seguito dall’Irgun, i suoi membri consideravano il fascismo un percorso degno e persino desiderabile.

All’epoca, il fascismo ebraico si estinse nel 1942, tra Florentin e El-Alamein. Nel febbraio di quell’anno, in un piccolo appartamento nel quartiere di Florentin, nel sud di Tel Aviv, Stern fu arrestato e ucciso sul posto dalla polizia britannica; a novembre, le forze dell’Asse furono sconfitte in Nord Africa. Anche se questo non fu l’inizio della fine, come sosteneva Winston Churchill, fu la fine dell’inizio: l’ascesa del fascismo sul palcoscenico mondiale fu frenata, il suo prestigio svanì e la sua aura fu notevolmente offuscata. Per decenni, dopo il 1945, il fascismo fu considerato infamante, inadatto a una società dignitosa – non un profumo accattivante, ma un cattivo odore da eliminare.

Resti di fascismo

Ottant’anni dopo, cosa rimane del fascismo ebraico nell’attuale politica israeliana? Un certo numero degli attributi del fascismo sopra riportati sono chiaramente distinguibili nella retorica della destra di oggi. Molti Israeliani credono nella supremazia dei bisogni della nazione su qualsiasi diritto dell’individuo e nella subordinazione dell’individuo alla nazione: dall’adorazione del totem del servizio militare e della responsabilità dell’establishment rabbinico nel trattare questioni matrimoniali, al disprezzo per coloro che scelgono di emigrare. Allo stesso modo, non è difficile individuare l’incrollabile convinzione che “gli Ebrei” siano una vittima di altri gruppi: dall’uso strumentale dell’omicidio di milioni di Ebrei in Europa nella Seconda Guerra Mondiale, al paradigma “pochi contro molti” qui in Israele (rispetto, ad esempio, alle guerre combattute negli anni e alle due intifada) –  per citare solo due delle scuse più comuni adottate a giustificazione dell’eccessivo uso della forza militare da parte dello Stato di Israele.

La paura che i “valori della nazione” vengano erosi dai principi liberali universali o dalle influenze “straniere” è anche parte integrante dell’approccio di molti alla destra israeliana, sia nella forma passiva  di gruppi come il Nuovo Fondo Israeliano, con la preoccupazione verso i “Governi stranieri” e le “organizzazioni internazionali”, sia attivamente, in progetti per “rafforzare l’identità ebraica” tra la popolazione.

Molto familiare è anche la convinzione della necessità di creare una comunità “più pura”: dai teppisti dell’organizzazione Lehava, anti-assimilazionista e di aperta ostilità verso i richiedenti asilo, al marchio della “sinistra” non come rivale politico, ma come elemento alieno da sradicare. E infine, la credenza nel diritto del Popolo Eletto di governare gli altri indefinitamente è stata evidente ogni giorno per più di mezzo secolo in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.

Detto questo, un certo numero di caratteristiche  fondamentali del fascismo classico non esistono nella vita politica israeliana contemporanea. Il primo è il sentimento diffuso di stare affrontando una crisi seria, decisiva, esistenziale che non può essere risolta con nessuna soluzione tradizionale. È molto probabile che il costante senso di crisi in cui la coscienza politica israeliana è stata immersa per decenni, ostacola la creazione di un sentimento di crisi unica, acuta e grave. Lo stato di emergenza in atto (costituzionalmente e nella coscienza collettiva) attenua il  senso di urgenza: quando i razzi cadono regolarmente in alcune parti del Paese, anche loro diventano routine, anche se una routine letale. In parallelo, anche le istituzioni politiche e giuridiche di Israele hanno subito una lenta erosione. Da un lato, in assenza di una costituzione, è impossibile sospenderla e dichiarare uno stato di emergenza (che è, come detto, già la norma), solo per modificarla gradualmente; d’altra parte, gruppi alternativi (congregazioni religiose, associazioni, compagnie private, tribunali rabbinici) stanno soppiantando lo Stato in molti ambiti. Queste alternative offrono una gamma di opzioni a diversi livelli per soddisfare le esigenze sociali e politiche delle diverse comunità..

Un’altra caratteristica del fascismo che è assente è quella di un unico leader alla cui autorità e capacità inchinarsi. Per cominciare, uno dei tratti che caratterizzano la società israeliana – e per le cui profonde radici dovremmo forse essere grati all’esistenza delle tradizioni rabbiniche e della sharia – è lo scetticismo verso l’autorità e la non obbedienza a una singola figura. In secondo luogo quando  il “leader forte” è avvolto da sospetti e manipola i suoi sostenitori e avversari con lusinghe, e davvero mostra segni di autoritarismo e populismo, allora assomiglia più a qualcuno che cerca di sfuggire al processo, anche al prezzo di giustificare la corruzione e corrompere gli altri, piuttosto che come qualcuno che sta cercando di forgiare un movimento di massa radicale.

L’ex ministro dell’educazione, che aveva pretese di diventare Ministro della Difesa,  è stato cacciato (almeno per il momento) dalla Knesset dopo aver ottenuto solo un parziale successo tra i suoi auspicati elettori: questi non sono rimsti impressionati dal profumo che lui e il suo collega stavano introducendo sul mercato . E tra i generali che hanno cercato di arrivare al potere con una campagna elettorale moderata e centrista, è difficile vedere un leader che con la sola forza della sua personalità potrebbe generare uno specifico movimento di persone disposte a sacrificarsi. Un piccolo gruppo con caratteristiche naziste ha effettivamente ottenuto un certo successo nelle elezioni dello scorso aprile, ma i Kahanisti hanno un piccolo problema: il loro leader è morto più di un quarto di secolo fa.

Il pericolo delle previsioni

Come è noto, è difficile fare previsioni, specialmente sul futuro. In Israele, potrebbe essere anche pericoloso: nel 1991, quando  fu pubblicata la raccolta di racconti di Uzi Wei intitolata “Il giorno che hanno sparato al Primo Ministro”, l’idea che qualcosa del genere potesse accadere era nella migliore delle ipotesi considerata uno scherzo, nella peggiore  un’improbabile satira. Quattro anni dopo, le  previsioni sono diventate realtà. Tra il Mediterraneo e il Giordano, quello che a un certo punto sembrava “inconcepibile” potesse nascere , è successivamente nato.

Allo stesso tempo, è importante non considerare i movimenti fascisti come una minaccia monolitica e astorica: come ogni altra cosa in questo mondo, sono in costante movimento. Quindi, le persone cambiano e così fanno le loro opinioni. Wolfgang von Weisl, ad esempio, che  aveva invitato Jabotinsky ad assumere poteri dittatoriali illimitati, iniziò la sua attività politica negli anni ’20 nell’organizzazione religioso-sionista Mizrachi, ma dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando Menachem Begin prese il controllo dell’ala destra in Israele, la ridusse considerevolmente. Ahimeir divenne uno dei principali redattori dell’Enciclopedia Ebraica, Yevin si concentrò sul pensiero spirituale e biblico e Kolitz divenne un produttore cinematografico in America.

Parallelamente, i movimenti fascisti, come tutti i moderni movimenti politici, acquisiscono nuovi aderenti, ma perdono anche quelli vecchi. Così nel 1936, lo stesso anno in cui Kolitz e Avraham Stern viaggiavano dalla Palestina all’Italia per conoscere da vicino il fascismo di cui erano innamorati, il direttore d’orchestra Arturo Toscanini – che a Milano da giovane era stato vicino ai fascisti ma che a metà degli anni ’30 era diventato un oppositore del regime e un esiliato dalla sua terra d’origine – dirigeva il concerto inaugurale dell’Orchestra Palestina (in seguito, la Filarmonica d’Israele).

Il mondo è oggi sospeso sul bordo di una crisi ambientale ed economica senza precedenti, che genererà povertà,  bisogni e difficoltà su larga scala. Già ora milioni di persone che nutrono speranze per un futuro migliore vedono quelle speranze svanire, insieme alla fine dell’era dell’abbondanza, della prosperità e della “crescita” dell’ultimo mezzo secolo, davanti all’impennata di ondate  miratorie globali e all’approfondimento delle disparità economiche e dell’ineguaglianza sociale. Ci sono già molti elettori e cittadini scontenti che sono stanchi di ciò che le piattaforme politiche stanno offrendo. La delusione e il risentimento saranno incanalati verso il rinnovato fascismo? Ciò non può essere escluso, anche se le sue caratteristiche saranno parzialmente diverse da quelli del vecchio fascismo.

Anche in Israele alcune delle componenti del fascismo classico sono già presenti. La combinazione di una crisi costituzionale, una minaccia nazionale che trascenda la routine, una grave situazione economica e l’apparizione di un capo libero e carismatico potrebbe completare il miscuglio e condurre a una nuova era di fascismo in Israele. Non siamo ancora lì, ma possiamo benissimo essere sulla strada che ci conduce lì.

Dr. Dan Tamir è l’autore del libro “Hebrew Fascism in Palestine, 1922-1942” (Palgrave Macmillan, 2018).

 

Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismoo. contro ogni schiavitù”- Invictapalestina.org

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