Israele farà tutto il possibile per evitare di affrontare le accuse per crimini di guerra

La sentenza della CPI ha terrorizzato i funzionari israeliani che ora possono essere indagati, ma probabilmente risponderanno con ulteriori intimidazioni.

Fonte: English Version

Di Jonathan Cook – 11 febbraio 2021

Foto di copertina: Una ragazza palestinese cammina sulle macerie intorno alla casa della sua famiglia a Gaza nel 2014 (AFP)

Israele è stato sconvolto da una sentenza della scorsa settimana del tribunale per i crimini di guerra dell’Aia. Alti funzionari israeliani, compreso forse il primo ministro Benjamin Netanyahu, possono ora essere ritenuti responsabili per le violazioni delle leggi di guerra nei territori palestinesi occupati.

La decisione dei giudici della Corte Penale Internazionale (CPI) non garantisce che gli israeliani saranno processati per crimini di guerra, non ancora, almeno. Ma dopo anni di ritardo, risolve la questione se i territori palestinesi di Gerusalemme Est, Cisgiordania e Gaza ricadano sotto la giurisdizione del tribunale.

I giudici dichiarano di sì.

“Mentre Israele è fin troppo consapevole di ciò che hanno fatto i suoi principali sospettati di crimini di guerra, Netanyahu ha ragione a osservare che la sentenza della scorsa settimana emessa dalla CPI è di natura politica”

Il fatto che gli israeliani siano ora perseguibili per crimini di guerra è la ragione per cui i leader israeliani di tutto lo spettro politico hanno risposto con tanta furia alla sentenza. Il procuratore capo della Corte ha già completato un’indagine preliminare, in cui ha concluso che vi era una base giuridica per un’indagine completa.

Forse la più assurda, anche se del tutto prevedibile, delle reazioni alla decisione della CPI è venuta dallo stesso Netanyahu.

Nel fine settimana, ha dichiarato falsamente in un video in inglese, destinato a un pubblico straniero, che la CPI stava indagando su Israele per quelli che ha definito “falsi crimini di guerra”, e poi ha attribuito le sue azioni immaginarie al “puro antisemitismo”. Per abbondare ha inserito anche un riferimento all’Olocausto nazista.

C’era non poca ironia nelle sue affermazioni. Venerdì Netanyahu ha denunciato la sentenza dei giudici in quanto dimostrava che la Corte Penale Internazionale era “un organo politico e non un’istituzione giudiziaria”. In realtà, è Netanyahu a fare politica, screditando la Corte in quella che dovrebbe essere una questione puramente legale e giudiziaria. Spera di usare le calunnie sull’antisemitismo, la tattica preferita di Israele, per tenere a bada gli investigatori della CPI.

I funzionari del tribunale hanno già mostrato interesse a perseguire tre distinte linee di inchiesta: gli attacchi di Israele a Gaza che hanno provocato la morte di un gran numero di civili palestinesi; le ripetute uccisioni di manifestanti palestinesi ai confini di Gaza; decenni di costruzione illegale di insediamenti israeliani su terre occupate, che spesso hanno comportato la pulizia etnica dei palestinesi.

Attacco alla flottiglia navale umanitaria

Qualunque siano le attuali contestazioni di Netanyahu, la verità è che le squadre legali di Israele hanno da tempo avvisato che i suoi comandanti militari, ministri e vertici del governo sono vulnerabili a procedimenti giudiziari. Questo è il motivo per cui hanno viaggiato per molti anni con uno speciale pulsante di “chiamata d’emergenza” sui loro telefoni per avvisare il personale diplomatico locale della minaccia di arresto in un aeroporto straniero.

Un incidente del genere si  verificò nel 2013, quando l’ex comandante della marina Eli Marom  premette il pulsante dopo aver sospettato erroneamente che i funzionari di frontiera dell’aeroporto di Heathrow di Londra fossero in procinto di arrestarlo in base alle cosiddette leggi sulla “giurisdizione universale”.

Tre anni prima, Marom aveva approvato un attacco letale in acque internazionali da parte di reparti speciali della marina su un convoglio di navi con aiuti umanitari che cercavano di rompere il blocco israeliano di Gaza.

I manifestanti intonano slogan durante una manifestazione nel 2016 a Istanbul, in Turchia, in occasione del sesto anniversario dell’incidente della flottiglia di Mavi Marmara del 2010 (AFP)

Marom aveva motivo di essere preoccupato. In precedenza, nel 2005, un generale in pensione, Doron Almog, si era nascosto su un aereo El Al per due ore dopo l’atterraggio a Heathrow prima di ripartire immediatamente, per evitare un mandato di cattura britannico emesso per la demolizione di 59 case palestinesi. Secondo quanto riferito, Scotland Yard  permise ad Almog di scappare piuttosto che impegnarsi in uno scontro a fuoco  nel tentativo di arrestarlo.

Inoltre, l’ex ministro degli Esteri Tzipi Livni  fu costretta a cancellare una visita nel Regno Unito nel 2009 per timore di essere arrestata per il suo coinvolgimento, mesi prima,  in un attacco di tre settimane a Gaza, che  uccise circa 1.400 palestinesi.

In realtà, Israele sa esattamente quali dei suoi alti funzionari hanno violato il diritto internazionale, e come, tanto che l’estate scorsa ha compilato un elenco segreto con centinaia di nominativi di persone che molto probabilmente sarebbero state indagate per crimini di guerra.

Tentativo di intimidire la CPI

Ma mentre Israele è fin troppo consapevole di ciò che i suoi maggiori sospettati di crimini di guerra hanno fatto, Netanyahu ha ragione ad osservare che la sentenza della scorsa settimana da parte della CPI è di natura politica.

In effetti, il trattamento riservato dalla Corte a Israele è stato profondamente impantanato nella politica sin da quando l’Autorità Palestinese ha aderito alla CPI nel 2015. Gli alleati occidentali hanno ripetutamente cercato di intimidire e forzare la Corte per garantire che i funzionari israeliani non siano processati per crimini di guerra.

Non è un caso che i giudici della CPI abbiano trovato il coraggio per affermare la giurisdizione sui territori occupati subito dopo che Donald Trump si è dimesso dalla carica di presidente degli Stati Uniti. La sua amministrazione aveva intrapreso una campagna per intimidire la Corte, che includeva il divieto al personale della CPI di entrare negli Stati Uniti e la minaccia di bloccare i loro averi.

La tempistica della sentenza della Corte potrebbe anche essere collegata al fatto che il suo procuratore capo, Fatou Bensouda, dovrebbe lasciare il suo incarico tra pochi mesi. È improbabile che prima di allora avvii indagini su Israele, lasciando il compito al suo successore.

Un tale ritardo farà guadagnare più tempo a Israele. E sotto forti pressioni, il nuovo procuratore capo potrà essere persuaso che Israele, nonostante decenni di violazione della legge, non è una priorità abbastanza alta per giustificare l’impiego delle limitate risorse della Corte.

Inizia la campagna

Proprio una tale campagna è già iniziata. Domenica, il ministero degli esteri israeliano ha inviato un cablogramma urgente e riservato a numerosi dei suoi ambasciatori, esortandoli a reclutare le rispettive capitali per una campagna di pressione sulla Corte Penale.

Lunedì, il ministro degli Esteri Gabi Ashkenazi, un ex capo di stato maggiore militare che è quasi certamente nella lista segreta degli israeliani sospettati di crimini di guerra, ha telefonato ai suoi omologhi nelle capitali straniere, esortandoli ad attivarsi. Ciò probabilmente includerà pressioni per nominare un procuratore capo più accomodante  al posto di Bensouda.

“Ci saranno ancora molti grandi ostacoli, alcuni dei quali legati al diritto, che devono essere affrontati prima che qualsiasi israeliano finisca sul banco degli imputati all’Aia”

I media israeliani hanno appreso da fonti di sicurezza e dato notizia che diversi stati aderenti alla CPI avevano già accettato di informare Israele qualora venissero a conoscenza che eventuali mandati di arresto  vengano emessi contro dirigenti israeliani.

L’amministrazione Biden negli Stati Uniti, la Germania e il governo australiano, strenui difensori di Israele, hanno già denunciato la decisione della Corte Penale Internazionale e implicitamente le norme di guerra internazionali che la corte dovrebbe sostenere.

In risposta all’attacco della Germania alla Corte, Hanan Ashrawi, un ex alto funzionario palestinese, ha twittato martedì: “Quindi la visione giuridica tedesca sostituisce la sentenza dei giudici della Corte Penale Internazionale e le risoluzioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite? Nessuno Stato che si rispetti dovrebbe accettare istruzioni (o intimidazioni) da Israele.”

Altri stati, per il loro tornaconto, potrebbero presto seguire l’esempio. Coloro che si sono alleati più strettamente con la “guerra al terrorismo” guidata dagli Stati Uniti, incluso il Regno Unito, hanno tutte le ragioni per garantire che Israele, uno stato integrato nel “club diplomatico occidentale”, non sia ritenuto responsabile per crimini di guerra del tipo che anche loro hanno commesso. Preferiscono che la CPI continui a limitare le sue accuse ai dittatori africani.

Le pressioni e le intimidazioni velate potrebbero spiegare il ragionamento apparentemente inusuale della CPI a dicembre per chiudere le sue indagini sui funzionari britannici senza emettere alcun atto di accusa. Lo ha fatto anche accettando  il fatto le forze britanniche avessero  probabilmente commesso crimini di guerra in Iraq. Israele potrebbe sperare in una simile, falsa tregua.

Proteggere Israele

La realtà è che il caso contro Israele  dipenderebbe molto più da fattori politici che legali una volta diventato vulnerabile alle indagini. Ma la protezione di Israele sui crimini di guerra era evidente molto prima della ratifica dello Statuto di Roma da parte della Palestina nel 2015.

Sei anni prima, per esempio, Israele organizzò una campagna di intimidazione contro un celebre giurista sudafricano, Richard Goldstone, per il rapporto del suo comitato delle Nazioni Unite sull’attacco israeliano del 2009 a Gaza. I’indagine ha rilevato che Israele e Hamas sono responsabili di crimini di guerra e forse anche di crimini più gravi contro l’umanità.

Richard Goldstone, l’investigatore dell’ONU che ha indagato sul conflitto di Gaza del 2009, partecipa a una conferenza stampa a Ginevra nel luglio 2009 (AFP)

Goldstone ricusò le sue più inquietanti scoperte mesi dopo che la campagna personale contro di lui coinvolse la Federazione Sionista Sudafricana che gli impedì di partecipare al bar mitzvah di suo nipote.

Allo stesso modo, le regole della “giurisdizione universale”, che consentono ai cittadini stranieri di chiedere l’arresto di un funzionario sospettato di violare il diritto internazionale se il suo stato si rifiuta di perseguirlo, non sono mai state applicate di fatto contro gli israeliani.

Dopo gli incidenti che hanno coinvolto Almog e Livni, nel 2011 il governo britannico ha persino cambiato la propria legge sulla giurisdizione universale specificamente per proteggere i funzionari israeliani dall’arresto sul suolo britannico.

La perseveranza della CPI

La CPI ha avuto l’opportunità di indagare i funzionari israeliani sull’attacco in acque internazionali alla nave di aiuti umanitari Mavi Marmara a Gaza nel 2010. Dieci civili turchi, uno dei quali era anche cittadino americano, furono uccisi dai reparti speciali israeliani che  avevano abbordato le navi.

Bensouda ha scelto invece nel 2014 di non procedere con il caso avviato dalle Isole Comore, la bandiera sotto la quale la flottiglia stava navigando. In un appello lo scorso anno, i giudici della CPI l’hanno criticata per una serie di “errori” nel raggiungere quella decisione, nel rifiutarsi di riconsiderare la decisione dopo che le avevano dato mandato e nel non aver indagato nuovamente sull’incidente nel 2019.

Ma i giudici hanno concluso che non era “chiaro” quale potere avessero essi stessi per correggere queste mancanze e quindi non hanno chiesto un’ulteriore revisione.

I ritardi e lo scaricabarile hanno ulteriormente afflitto l’ultima sentenza della CPI. La Corte sta insistendo sulle questioni di giurisdizione dal 2015. Ci saranno ancora molti grandi ostacoli, alcuni dei quali legati alla legge, che devono essere affrontati prima che qualsiasi israeliano finisca sul banco degli imputati all’Aia.

Barlumi di speranza

Tuttavia, la sentenza della scorsa settimana offre ai palestinesi qualche barlume di speranza. Conferma che la battaglia di Israele per negare la lotta palestinese per l’autodeterminazione non sta andando del tutto nella giusta direzione. E suggerisce che il clima politico post-Trump potrebbe rivelarsi per Israele più burrascoso del previsto. I suoi leader potrebbero dover essere leggermente più cauti riguardo alla portata e alla visibilità dei crimini di guerra che approvano.

“Il vero banco di prova è se si possa elevare al di sopra degli aggettivi e delle critiche per applicare il diritto internazionale in un modo che protegga veramente i palestinesi”

La Corte potrebbe decidere di lasciare la minaccia di un’eventuale indagine incombente su Israele, sperando che da sola sarà sufficiente a frenare i peggiori eccessi di Israele, come i piani per annettere aree della Cisgiordania.

Oppure la CPI può confidare che la sua decisione sulla giurisdizione servirà da monito per la Corte Suprema israeliana, la cui mancata applicazione del diritto internazionale nei territori occupati ha spianato la strada all’indagine della CPI. Ma accontentarsi di uno qualsiasi di questi risultati sembrerà più ambiguo da parte della Corte, più politico.

Il test per stabilire se la CPI è un organo giudiziario piuttosto che politico non è, come chiede Netanyahu, che si rifiuti di indagare su Israele. Il vero banco di prova è se si possa elevare al di sopra degli aggettivi e delle critiche per applicare il diritto internazionale in un modo che protegga veramente i palestinesi.

 

Jonathan Cook è vincitore del Premio Speciale Martha Gellhorn per il giornalismo. I suoi libri includono “Israele e lo Scontro di Civiltà: Iraq, Iran e il Piano per Ricostruire il Medio Oriente” (Pluto Press) e “Palestina Scomparsa: Gli Esperimenti di Israele Nella Disperazione Umana” (Zed Books). Visitate il suo sito web www.jonathan-cook.net.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org