Il sostegno statunitense a Israele alla fine si ritorcerà contro

Il mondo intero sta guardando, ascoltando, leggendo e diventando ogni giorno più arrabbiato per il ruolo diretto degli Stati Uniti nel facilitare il bagno di sangue di Gaza.

Fonte: English version 

Di Ramzy Baroud – 2 gennaio 2024

Una famosa citazione di Franz Kafka dice: “Ogni cosa che ami è molto probabile che vada perduta, ma alla fine, l’amore tornerà in un modo diverso”. Lo stesso principio, io credo, si applica a qualsiasi altro sentimento potente, inclusi risentimento, odio, collera e persino rabbia.

I funzionari statunitensi dovrebbero saperlo mentre continuano a sostenere Israele con miliardi di dollari in aiuti militari ed economici, così come con qualsiasi altra cosa che permetta a Israele di continuare con il Genocidio dei palestinesi a Gaza.

Il mondo intero sta guardando, ascoltando, leggendo e diventando ogni giorno più arrabbiato per il ruolo diretto degli Stati Uniti nel facilitare il bagno di sangue di Gaza.

La campagna militare di Israele a Gaza “ha provocato più distruzione della distruzione di Aleppo in Siria tra il 2012 e il 2016, di Mariupol in Ucraina o, in proporzione, del bombardamento alleato della Germania durante la Seconda Guerra Mondiale” e “ora è tra le più letali e distruttive della storia recente”, ha riportato l’Associated Press il mese scorso, sulla base dell’analisi dei dati satellitari.

Oltre alle decine di migliaia di morti o dispersi tra le macerie, un numero ancora maggiore di persone è rimasto ferito e mutilato, tra cui migliaia di bambini. Secondo l’UNICEF, molti bambini hanno subito “la perdita di un braccio o di una gamba”.

L’agonia di Gaza viene vista in televisione e attraverso ogni altro mezzo di comunicazione possibile. È come se il mondo soffrisse insieme ai bambini di Gaza, ma senza riuscire a fermare o rallentare il Genocidio.

Eppure, anche quando tutti i Paesi europei, tranne pochi, hanno cambiato posizione sulla guerra, unendosi al resto del mondo nel chiedere un cessate il fuoco immediato e globale, Washington ha continuato a respingere queste richieste.

È così che l’ambasciatrice degli Stati Uniti presso l’ONU Linda Thomas-Greenfield ha giustificato l’uso del veto da parte del suo Paese, annullando il primo serio tentativo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di raggiungere una tregua permanente il 18 ottobre: ​​”Israele ha il diritto intrinseco all’auto-difesa come previsto dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite”. Questa stessa logica è stata ripetuta molte volte dai funzionari statunitensi, anche quando la portata della tragedia di Gaza è diventata nota a tutti, compresi gli stessi americani.

Questa logica egoistica va contro lo spirito del diritto internazionale e umanitario, che respinge categoricamente il prendere di mira i civili durante i periodi di guerra e di conflitto, così come di impedire che gli aiuti umanitari raggiungano le vittime civili della guerra. Infatti, la stragrande maggioranza delle vittime di Gaza sono civili e oltre il 70% di tutte le persone uccise sono donne o bambini. Inoltre, a causa delle pratiche disumane israeliane, i sopravvissuti di Gaza si trovano ora ad affrontare una vera e propria carestia, che rappresenta un evento senza precedenti nella storia moderna della Palestina.

Ma Israele continua a impedire l’accesso a cibo, medicine, carburante e altre forniture urgenti, violando così le stesse leggi di Washington in materia. “Nessuna assistenza può essere fornita a nessun Paese quando viene reso noto al Presidente che il governo di tale Paese impedisce o limita in altro modo, direttamente o indirettamente, il trasporto o la consegna dell’assistenza umanitaria degli Stati Uniti”, questo sancisce la Legge sull’Assistenza Estera degli Stati Uniti (Foreign Assistance Act – paragrafo 620I).

L’amministrazione Biden non ha fatto nulla per esercitare pressioni, per non parlare della forza, su Israele affinché aderisca anche alle leggi umanitarie più elementari durante il Genocidio in corso a Gaza. Quel che è peggio è che il Presidente Joe Biden sta fornendo a Israele gli strumenti necessari per prolungare questa guerra distruttiva.

Secondo un rapporto del 25 dicembre del canale israeliano Channel 12, circa 20 navi e 244 aerei statunitensi hanno consegnato a Israele più di 10.000 tonnellate di armamenti ed equipaggiamenti militari dall’inizio della guerra. Secondo quanto riferito, queste forniture militari includono almeno 100 bombe anti-bunker da 2.000 libbre (900 kg), che sono state utilizzate ripetutamente durante la guerra israeliana, uccidendo e ferendo centinaia di persone ogni volta.

L’unica azione concreta intrapresa dagli Stati Uniti dall’inizio della guerra è stata quella di creare una coalizione, denominata “Operazione Prosperity Guardian” (Garante della Prosperità), con l’unico scopo di garantire la sicurezza delle navi che attraversano il Mar Rosso, anche da o verso Israele.

Gli Stati Uniti, tuttavia, sembrano non aver imparato nulla dal passato: dalle loro devastanti guerre in Iraq, dalla cosiddetta guerra al terrorismo o dal loro fallimento nel trovare un equilibrio tra il sostegno a Israele e il rispetto per i palestinesi, gli arabi e i musulmani. Al contrario, alcuni funzionari statunitensi sembrano essere del tutto distaccati da questa realtà.

Il mese scorso, in una conferenza stampa alla Casa Bianca, il Portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, John Kirby, ha proclamato: “Ditemi, nominatemi, un’altra nazione, qualsiasi altra nazione, che sta facendo tanto quanto gli Stati Uniti per alleviare il dolore e la sofferenza del popolo di Gaza. Non c’è”. Ma come fanno le cosiddette bombe stupide, le bombe intelligenti, le bombe anti-bunker e le decine di migliaia di tonnellate di esplosivi ad “alleviare il dolore e la sofferenza” di Gaza e dei suoi figli?

Se Kirby non è consapevole del ruolo del suo Paese nel Genocidio di Gaza, allora la crisi della politica estera americana è peggiore di quanto avremmo potuto immaginare. Se invece ne è consapevole, e dovrebbe esserlo, allora la crisi morale del suo Paese non ha probabilmente precedenti nella storia moderna.

Il problema nella politica statunitense è che le amministrazioni hanno una visione frammentata della realtà, poiché sono intensamente concentrate su come la loro azione, o inazione, influenzerà i loro partiti politici nelle future elezioni. Ma gli americani che hanno a cuore il loro Paese e la sua posizione in un Medio Oriente e in una geopolitica globale in rapido cambiamento dovrebbero ricordare che la storia non inizia né finisce in una data fissa di novembre una volta ogni quattro anni.

“Alla fine, l’amore tornerà in modo diverso”, ha scritto Kafka. Ha ragione. Ma anche l’odio tende a ritornare, manifestandosi in molteplici modi. Più di ogni altro Paese, gli Stati Uniti avrebbero dovuto raggiungere questa consapevolezza da soli.

Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Ramzy Baroud è un ricercatore senior non di ruolo presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), dell’Università Zaim di Istanbul (IZU).

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org