Made in Israel: Sfruttare terra palestinese per il trattamento dei rifiuti di Israele

Disparità di potere tra popolazioni sono tra i principali fattori che determinano chi avrà un migliore accesso alle risorse e chi subirà una maggiore esposizione a rifiuti e materiali pericolosi. Lo Stato di Israele è una nazione sviluppata e membro dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). Come tale, il suo consumo di risorse pro capite è elevato e di conseguenza genera rifiuti.

Dicembre 2017

Come altri paesi, Israele ha un sistema per il trattamento dei rifiuti generati nel proprio territorio. Tuttavia, come rivela il rapporto, una parte significativa di questo sistema si trova al di fuori dei confini sovrani di Israele, in Cisgiordania. Abusando del suo status di potenza occupante, Israele ha stabilito regole meno rigorose nelle zone industriali nelle colonie e offre persino incentivi finanziari come agevolazioni fiscali e sussidi governativi. Questa politica ha reso più redditizio costruire e gestire strutture di trattamento dei rifiuti in Cisgiordania piuttosto che in Israele.

La ricerca di B’Tselem ha rilevato che ci sono almeno quindici strutture israeliane per il trattamento dei rifiuti in Cisgiordania. La maggior parte dei rifiuti che trattano è prodotta in Israele. Sei delle strutture lavorano rifiuti pericolosi che richiedono processi speciali e supervisione regolamentare a causa dei pericoli che presentano.

Questo rapporto si concentra su cinque impianti di trattamento dei rifiuti operanti in Cisgiordania: quattro impianti che trattano rifiuti pericolosi e sostanze pericolose prodotte in Israele – compresi rifiuti medici speciali, oli esausti e solventi, metalli, batterie e sottoprodotti dell’industria elettronica – e uno che tratta i fanghi di acque di scarico. I risultati presentati nella relazione si basano sulle informazioni disponibili sui tipi di rifiuti ricevute da queste strutture e sui potenziali rischi che le attività degli impianti comportano.
Israele considera le strutture costruite in Cisgiordania come parte del suo sistema locale di gestione dei rifiuti, ma vi applica standard normativi meno rigorosi rispetto a quelli che adotta nel proprio territorio.

Mentre gli impianti inquinanti situati all’interno di Israele sono soggetti a un’innovativa legislazione per il controllo dell’inquinamento atmosferico, gli impianti inquinanti nelle zone industriali degli insediamenti non sono soggetti a restrizioni. Inoltre, le strutture negli insediamenti non sono obbligate a riferire sulla quantità di rifiuti che trattano, sui rischi che il loro funzionamento pone, o sulle misure che adottano per prevenire – o almeno ridurre – questi rischi. B’Tselem ha inviato richieste di informazioni su tali argomenti al Ministero della Protezione Ambientale e all’Amministrazione Civile. Le richieste sono rimaste senza risposta.

Israele scarica rifiuti sconosciuti e rifiuti militari in un sito di smaltimento nel villaggio di Kisan, nella West Bank occupata. (Ahmad Al-Bazz ActiveStills) 

Israele sta effettivamente facendo entrambe le cose: apparentemente aumenta la quantità di rifiuti trattati, ma in realtà lo fa dirottando rischi e sostanze inquinanti su terra e popolazione palestinesi. Alla domanda, nel corso di una conferenza tenutasi presso l’Ariel University nel giugno 2017, se le lacune legislative siano mai state sfruttate per trasferire rifiuti da Israele alla Cisgiordania, Shoni Goldberg, direttore del Ministero per la Protezione Ambientale del distretto di Gerusalemme, che copre la maggior parte della Cisgiordania, ha risposto: “Sì. Ci sono certamente rifiuti, soprattutto rifiuti pericolosi e rifiuti costosi, che gli israeliani trasferiscono in Cisgiordania per sbarazzarsene”.

Gli standard internazionali in questo campo riguardano il trasferimento di rifiuti dal territorio di uno stato sovrano a quello di un altro. Ma trasferire rifiuti in un territorio occupato è una questione molto più grave, considerato che i residenti di un territorio occupato non possono opporsi alle decisioni della potenza occupante e sono completamente alla sua mercé. I residenti palestinesi della Cisgiordania sono una popolazione sotto dominazione militare. In quanto tali, non sono mai stati invitati – per non parlare di aver accettato – ad accogliere rifiuti pericolosi. Il consenso informato preventivo non è nemmeno un’opzione nel loro caso. Non hanno alcuna influenza su quali tipi di impianti debbano operare nelle zone industriali degli insediamenti o sulla legislazione che determina le regole ambientali da applicare. Non hanno accesso alle informazioni su ciò che accade in questi impianti, se si sono verificati incidenti o quali rischi rappresentano per le risorse idriche, la qualità dell’aria e la salute dei residenti locali.

Qualsiasi trasferimento di rifiuti in Cisgiordania costituisce una violazione del diritto internazionale che Israele è tenuto a rispettare. Le disposizioni del diritto internazionale stabiliscono che un territorio occupato o le sue risorse non possono essere utilizzate a vantaggio delle esigenze o dello sviluppo economico della potenza occupante. Inoltre, la potenza occupante è responsabile della salute pubblica e dell’igiene nel territorio occupato e deve fornire ai residenti del territorio occupato un adeguato tenore di vita, incluso “il più alto livello raggiungibile di salute fisica e mentale”.

I palestinesi non sono gli unici ad essere esposti al potenziale rischio di inquinamento. A differenza di altre pratiche israeliane in Cisgiordania, che fanno una distinzione tra residenti palestinesi e coloni israeliani, i pericoli ambientali non fanno una tale distinzione. Detto questo, c’è una differenza. I coloni – la cui presenza in Cisgiordania, tanto per cominciare, è illegale – sono cittadini israeliani. Pertanto, hanno accesso e influenza sui responsabili delle decisioni. Inoltre, possono scegliere di vivere ovunque in Israele, mentre i residenti palestinesi non hanno nessun altro posto dove andare. La Cisgiordania è la loro casa e non ne hanno altre.

Il trattamento dei rifiuti in Cisgiordania è semplicemente un ulteriore aspetto della politica di sfruttamento che Israele pratica costantemente ormai da cinquant’anni, utilizzando lo spazio palestinese e la popolazione per favorire i propri interessi. Come parte di questa politica, Israele tratta la Cisgiordania – e in particolare l’Area C, dove ha mantenuto il pieno controllo con gli Accordi di Oslo – come una zona destinata a servire esclusivamente i propri bisogni, come se fosse suo territorio sovrano.

I principi internazionali che disciplinano la gestione dei rifiuti pericolosi sono basati su valori di giustizia ambientale, consultazioni pubbliche e trasparenza. Espressione di elementare decenza umana, si sforzano di codificare la semplice nozione secondo cui le disparità di potere militare, politico o economico non dovrebbero essere sfruttate dai potenti per scaricare il loro inquinamento e i rifiuti nei cortili dei loro vicini privati della propria autonomia. In contrasto con questi valori, la realtà che Israele impone alla Cisgiordania in termini di gestione dei rifiuti è incredibilmente cinica.

Israele, prendendo in considerazione solo i propri bisogni, tratta i propri rifiuti in Cisgiordania e ignora completamente i suoi obblighi legali e morali nei confronti della popolazione palestinese. Israele ha trasformato la Cisgiordania in zona sacrificale, sfruttando e danneggiando l’ambiente a spese dei residenti palestinesi completamente esclusi dal processo decisionale.

Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org
Fonte: https://www.btselem.org/publications/summaries/201712_made_in_israel

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Protected by WP Anti Spam