La lotta di una donna palestinese per portare l’elettricità a Gaza deve fare i conti con le politiche israeliane sul controllo dei valichi di frontiera

La domanda degli abitanti di Gaza e delle organizzazioni per i diritti umani su quanto a lungo Israele lascerà transitare le merci dal riaperto valico di Kerem Shalom, dimostra come l’intenzione di Israele sia quella di punire l’enclave governata da Hamas

Shuki Sadeh –  25 Agosto 2018

FOTO Un uomo palestinese vende falafel mentre usa una lampada a batteria durante un’interruzione di corrente nel nord di Gaza, il 6 agosto 2018. Credit: Mohammed Salem / Reuters

Majid al-Mashharawi, 24 anni, è cresciuta nella Striscia di Gaza.  Una vita di intifada, di chiusure e di blocchi. A 13 anni, visse un evento particolarmente doloroso: vide un uomo in procinto di lanciare una bomba da una finestra, ma la bomba esplose tra le sue mani. Nonostante la dura realtà, continuò a studiare ingegneria presso l’Università Islamica di Gaza, dopo di che decise di diventare imprenditrice.

Un anno fa Mashharawi e i suoi soci hanno lanciato il progetto SunBox – un sistema economico e leggero a energia solare in grado di fornire energia a piccoli frigoriferi, laptop e smartphone. Investì molto tempo nel progetto e si  recò in Giappone per incontrare alcuni esperti. Ha installato il sistema gratuitamente in alcune case di Gaza e attualmente sta raccogliendo fondi per consentire le vendite sovvenzionate del dispositivo; questo ridurrebbe il prezzo da 350 a 250 dollari.

Circa un mese fa l’iniziativa era pronta per il lancio: 200 kit erano arrivati ​​dalla Cina e avrebbero dovuto entrare a Gaza attraverso il valico di Kerem Shalom, il principale punto di transito tra Israele e la Striscia. Ma proprio quel giorno il primo ministro Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Avigdor Lieberman annunciarono la chiusura del valico. I cinque impiegati che erano già stati assunti e che avrebbero dovuto installare i sistemi, sono rimasti senza lavoro.

Mashhawari pensò allora di cambiare la definizione del prodotto, definendolo non più tecnologia, ma aiuti umanitari. Alcuni clienti erano disabili su sedie a rotelle motorizzate e prevedevano di utilizzare l’elettricità del dispositivo per ricaricare le sedie.

Ma due settimane fa la salvezza è arrivata da una diversa direzione. Dopo più di un mese, Lieberman, in considerazione della relativa calma, decise di riaprire il valico e centinaia di camion  entrarono a Gaza. Tuttavia, i commercianti di entrambe le parti sanno che, dopo un’apertura, ogni giorno il valico potrebbe nuovamente essere chiuso.

La storia di Mashharawi suscitò interesse in tutto il mondo e fu intervistata dal Guardian. Quando ha parlato  con Haaretz, era negli Stati Uniti per una conferenza. “Vedo com’è la vita con l’elettricità 24 ore al giorno, e non c’è motivo per cui non dovremmo avere questa stessa vita nella Striscia di Gaza”, dice.

Le difficoltà che Mashhawari deve affrontare, sono solo un esempio degli stravolgimenti che riguardano Gaza e la sua economia. Dopo il rapimento del soldato israeliano Gilad Shalit nel 2006 (liberato in uno scambio di prigionieri nel 2011) l’elettricità è fornita per poche ore al giorno. E dal 2007, quando Hamas è andato al governo, Gaza subisce il blocco. E Hamas non ama le iniziative di cooperazione tra imprenditori di Gaza e uomini d’affari israeliani.

L’imprenditrice Majid al-Mashharawi a Gaza, 11 febbraio 2017. Credit: Aseel Khaldy / APA Images / ZUMA Wire / Alamy Live News

Hamas, che impone tasse molto pesanti, ha rifiutato offerte come quella della Israel Water Authority di posizionare grandi tubi a Gaza in modo che Israele possa vendere la sua acqua. Inoltre, le restrizioni sulla circolazione delle merci e il fatto che Israele permetta a soli 5.000 commercianti, la maggior parte con grandi imprese, di lasciare Gaza, contribuiscono a strangolare l’economia.

“Parlare di un’economia nella Striscia di Gaza al giorno d’oggi è un’utopia”, dice il tenente colonnello (res.) Michael Sirulnik, un ex intermediario per l’economia tra Israele e Gaza. “Un tempo a Gaza producevano per l’industria tessile e del mobile israeliana, ma dopo il 2007 lo Stato ha spazzato via ogni possibilità di sviluppo economico. Tutti i governi israeliani hanno attuato una dura politica per ferire Hamas, affamando e facendo soffrire la popolazione di Gaza, ma la realtà dimostra che questo non serve”.

Tra il 2007 e il 2010, Israele ha anche stabilito quali prodotti possono essere ammessi nella Striscia, compreso il cibo. In alcuni periodi il bestiame non fu permesso. Il maggiore Amos Gilad, all’epoca coordinatore delle attività governative nei territori, era solito dire ai colleghi: “Non voglio che gli Hamasniks di Gaza mangino entrecôte”. (Gilad ha spiegato ad Haaretz : “Il contesto era il rapimento di Shalit: pensavo che fosse immorale, con un soldato loro prigioniero, consentire l’ingresso di un cibo di lusso.”).

Oggi le merci entrano a Gaza, ma ne escono pochissime. Nella prima metà del 2018, nella Striscia entrarono quasi 50.000 camion carichi di merce, mentre ne uscirono solo 1.580. La maggior parte di ciò che usciva erano prodotti agricoli diretti in Cisgiordania, mentre solo 396 camion avevano Israele come destinazione finale, la maggior parte dei quali trasportava rottami metallici. La settimana scorsa, con l’apertura del valico, Israele ha permesso l’entrata di 700 camion. Il Ministero della Difesa ha annunciato che i camion trasportavano materiali da costruzione, tessuti, frutta e verdura, gasolio, gas da cucina, benzina e prodotti per l’igiene.

Dal 2010, a causa dell’incidente della Mavi Marmara (in cui 10 passeggeri della nave che tentava di rompere il blocco di Gaza furono uccisi e 19 soldati israeliani feriti), le regole per spostare le merci dentro e fuori Gaza cambiarono nuovamente. Ci fu un allentamento, soprattutto per il cibo, ma non fu attuata una politica chiara in merito alle restrizioni e ai divieti di commercio rispetto alle altre merci. “L’intero sistema decisionale e ciò che c’è dietro resta sconosciuto. Fino a questa settimana, ad esempio, non era possibile portare merci attraverso Kerem Shalom, ad eccezione di alcuni articoli che Israele definiva come umanitari “, dice Shai Grunberg, portavoce del Gisha Legal Centre for the Freedom of Movement.

“Dopo la guerra di Gaza del 2014 divenne possibile commercializzare tessuti, mobili e rottami metallici in Israele. Perché questi prodotti e non ciò per cui c’è mercato? L’esportazione di prodotti alimentari trasformati, ad esempio, è vietata e, tra ciò che si coltiva a Gaza, solo pomodori e melanzane possono essere esportati in Israele, e in quantità limitata. Le decisioni sono arbitrarie e totalmente disconnesse dalla sicurezza”

Rischi del “doppio uso”

Palestinesi attendono di riempire i contenitori di carburante dopo che Israele ha interrotto il trasporto  di carburante e gas per cucinare a Gaza, Khan Younis, il 17 luglio 2018. Credit: Ibraheem Abu Mustafa / Reuters

C’è anche un elenco di beni definiti a doppio uso; cioè oggetti che possono servire per fabbricare armi, come le palline di deodorante per il bagno, di cui è vietato l’ingresso. I commercianti che non sono aggiornati con l’elenco, spesso si ritrovano con la merce confiscata perché definita a doppio uso o perché inviata nello stesso camion dei prodotti a doppio uso.

L’avvocato Guy Zahavi, che rappresenta i commercianti di Gaza, afferma che nel prossimo futuro la Corte Suprema valuterà se sia lecito allo Stato confiscare in modo draconiano  le merci solo perché in un camion sono state affiancate ad altre merci.

“Al valico di Kerem Shalom hanno sequestrato un carico di 32 generatori prodotti da Caterpillar per un valore di 2 milioni di dollari affermando che erano per uso terroristico. Solo dopo un anno e mezzo di discussioni in tribunale Israele ha accettato di restituire i generatori “, dice Zahavi.

“Ci sono dozzine di storie simili. I più danneggiati sono i commercianti che spediscono merci su cui non c’è alcun sospetto. A volte, al fine di ridurre i costi, non hanno altra scelta se non quella di unirsi ad altri commercianti per trasportare le merci su un unico camion, ma poi potrebbero rischiare che tutto il contenuto venga confiscato”.

Dal 9 luglio, durante il periodo in cui il valico di Kerem Shalom rimase chiuso, solo beni definiti umanitari, come cibo e benzina, entravano a Gaza. I beni che erano diretti a Kerem Shalom furono trasferiti in un deposito ad Ashdod o in magazzini privati ​​vicino a Gaza. Nel frattempo, i commercianti di Gaza cominciarono a calcolare le loro perdite perché in una tale situazione l’importatore palestinese subisce una duplice perdita – deve pagare lo stoccaggio e subisce un calo delle entrate perché non ha merci da vendere.

Un uomo d’affari di Gaza, Nabil Bawab, proprietario di un laboratorio di cucito che fornisce beni alle catene di abbigliamento israeliane, dice che da quando è stato chiuso il valico ha perso 2 milioni di shekel ( 550.000 dollari).Quando il valico è aperto, impiega 600 lavoratori, ma quando è chiuso, solo 100. Circa tre settimane fa, quando fu annunciata l’apertura limitata del valico, Bawab vi si recò nella speranza che i suoi camion pieni di vestiti ricevessero un permesso per attraversare – ma invano.

La settimana scorsa, dopo più di un mese, Bawab ha finalmente inviato i suoi beni in Israele. Dice che l’apertura del valico di Kerem Shalom è stato uno sviluppo positivo, ma non sufficiente.

Camion attraversano  il valico di Kerem Shalom tra Israele e Gaza, luglio 2018 Credit: Eliyahu Hershkovitz

“Speriamo per il meglio, ma nella situazione attuale nella Striscia di Gaza abbiamo  bisogno di ben altro. Dopo un mese intero, 700 camion giornalieri sono normali, dopo i 400-500 al giorno che sono entrati l’anno scorso. Per Eid al-Adha abbiamo bisogno di oltre 2000 camion al giorno e anche di recuperare le carenze derivanti dalla chiusura”.

Mohammed Abu Nahla, un piccolo imprenditore che importa apparecchiature di telecomunicazione per grandi centraline (come quelle per gli ospedali), dice che quando il valico restò chiuso, licenziò tutti e undici i suoi lavoratori.

“Si fa affidamento sul fatto che ci siano sempre soldi in arrivo, ma fino a due giorni fa tutto era bloccato”, dice. “A causa di ciò devo aggiungere anche il pagamento per lo stoccaggio. Per minimizzare le perdite, preferisco inviare la merce in Cisgiordania.”

Dalla parte israeliana, vicino a Gaza, decine di piccoli imprenditori forniscono servizi di trasporto e deposito – e di fatto si guadagnano da vivere grazie al valico di Kerem Shalom. Yair Moshe possiede la più grande azienda della zona, i magazzini presso lo snodo Magen. Quando Kerem Shalom è aperto, guadagna trasportando le merci al valico. Durante la chiusura, guadagna, se pur meno, dallo stoccaggio.

Moshe dice che anche lui è stato danneggiato dalla situazione; quando il valico rimase chiuso, perse dai 2,5 ai 3 milioni di shekel. “Lieberman ha dichiarato che non permetteva il passaggio di pannolini usa e getta e di prodotti per la pulizia o di qualsiasi altra assurdità si inventasse, dimenticandosi che questa è la nostra unica fonte di reddito”, dice Moshe.

“Cosa dovrei fare, licenziare i miei 60 dipendenti? Migliaia di persone si guadagnano da vivere da Kerem Shalom – autisti, garage, distributori di benzina – e lo Stato non pensa affatto al risarcimento. ”

Ma non tutti ci perdono dalla situazione. Chi quasi sempre trae profitto sono le compagnie petrolifere, che durante gli anni di tensione tra Israele e Gaza sono state quelle che vendevano benzina, gasolio e gas da cucina. Attualmente il mercato del carburante per la Striscia è diviso equamente tra Paz e Oil Refineries Ltd., con Paz che rappresenta l’85% del mercato del gas da cucina e il resto che va alla Oil Refineries. Nel 2017, secondo il rapporto annuale di Paz, le vendite all’Autorità Palestinese hanno raggiunto l’1,24 miliardi di shekel; si stima che il 20% di tale importo provenga dalle vendite a Gaza.

Ma queste società non hanno sempre goduto dell’esclusività. Fino a qualche anno fa, molta benzina a buon mercato arrivava a Gaza attraverso i tunnel del Sinai; quest’alternativa, tuttavia, è stata bloccata dagli Egiziani.

Il ministro della Difesa Avigdor Lieberman al valico di Kerem Shalom Credit: AMIR COHEN/רויטרס

Il mercato del carburante nella Striscia funziona secondo regole proprie. Da un lato, le persone e le istituzioni pubbliche sono obbligate ad acquistare carburante per i generatori a causa di una grave carenza di energia elettrica dovuta allo scarso funzionamento di un’unica centrale elettrica. Dall’altro, dal momento che Hamas si rifiuta di pagare il carburante all’Autorità Palestinese, quest’ultima spesso riduce le quantità che acquista per Gaza. Tuttavia, le riduzioni nella quantità di carburante sono calibrate – sia perché per Gaza il carburante è un’ancora di salvezza, sia perché l’AP guadagna dalle tasse presenti su di esso.

Dal punto di vista del cittadino medio, e certamente da quello degli uomini d’affari, la situazione del carburante e dell’elettricità non è altro che una catastrofe. Bawab, ad esempio, paga una bolletta elettrica di 8.000 shekel al mese quando la sua fabbrica è collegata alla rete elettrica palestinese. Se utilizza il generatore, questa cifra sale a 35.000 o 40.000 shekel.

Pretesti di salute pubblica?

Un’altra attività che ha sofferto a causa della tensione tra Gaza e Israele è l’agricoltura, che per molti anni è stata un importante pilastro dell’economia di Gaza. Negli anni ’90, circa l’8% delle verdure consumate in Israele proveniva da Gaza, ma l’eliminazione della vegetazione da parte dell’esercito israeliano nella parte settentrionale della Striscia ha contribuito a danneggiare l’attività.

Gli abitanti di Gaza esportano abbondante frutta e verdura in Cisgiordania, tra cui peperoni, melanzane, pomodori, cetrioli, patate dolci, datteri e fragole. In Israele è permesso esportare solo pomodori e melanzane, e in quantità limitate – 200 tonnellate di melanzane e 250 tonnellate di pomodori al mese, il che non è molto.

Negli ultimi anni,  con l’aumento del prezzo dei pomodori, i ministeri delle finanze e dell’agricoltura hanno permesso l’importazione di pomodori dalla Turchia e dalla Giordania. Perché non permettere l’esportazione da Gaza di tutti i tipi di verdura e per  tutto l’anno, aiutando così sia gli abitanti di Gaza che i consumatori israeliani? Secondo il ministero dell’Agricoltura, la ragione è la salute pubblica.

“Nel decidere quali prodotti far entrare in Israele, si tiene in considerazione anche la protezione da malattie e da parassiti che potrebbero infestare l’agricoltura israeliana”, ha detto il ministero. “In un’indagine di gestione del rischio condotta presso il ministero, è stato determinato che le probabilità di trasmettere parassiti e malattie attraverso le importazioni di pomodori e di melanzane sono minori rispetto al resto dei prodotti vegetali”.

Tuttavia, chi ha familiarità con la situazione di Gaza, sa che la ragione per limitare le importazioni deriva da considerazioni esclusivamente politiche. Ad esempio, Avraham Herzog, che con un partner palestinese commercializza frutta a Gaza e conosce bene il valico di Kerem Shalom e il commercio agricolo tra Israele e Gaza, definisce la risposta del Ministero dell’Agricoltura ” cinica politica “.

Gazawi che ricevono pacchetti di aiuti dalle Nazioni Unite. Credit: AFP

“Dicono che a Gaza irrigano con acque reflue, ma a Gaza non ci sono bacini di raccolta di acque fognarie, quindi è impossibile utilizzarle per l’agricoltura “, dice Herzog.

“Si potrebbe parlare di pesticidi e di prodotti chimici, ma Israele limita l’ingresso di tali sostanze a Gaza perché sono considerate a doppio uso. Fondamentalmente, qualsiasi cosa abbia a che fare con la Striscia di Gaza, è politica. ”

Gershon Baskin, il fondatore dell’ Israel/Palestine Center for Research and Information, conosce molto bene il potenziale agricolo di Gaza. “Indubbiamente  sarebbe  possibile coltivare molti più pomodori nella Striscia di Gaza, se lo volessero” dice.

“Anche nei bei giorni di Oslo, quando il prezzo dei pomodori crollò, improvvisamente scoprirono problemi sanitari nelle coltivazioni di pomodori  o altri tipi di problemi che rendevano necessario limitare l’ingresso di verdure”.

Ma quando i prezzi della frutta in Israele sono troppo bassi, ecco che questa viene esportata a Gaza. Herzog si aspetta che nel prossimo anno ci sarà molta frutta nella Striscia. “L’anno prossimo ci saranno un sacco di mele, banane e avocado”, dice.

“Tutte e quattro le organizzazioni dei grandi coltivatori lo stanno pianificando attraverso il comitato di produzione. L’anno prossimo ci sarà così tanta frutta che non sarei sorpreso se alcuni dei prodotti verranno inviati a Gaza gratuitamente per non far crolalre il livello dei prezzi in Israele “.

“Chiaramente”, aggiunge Sirulnik, “nel momento in cui ci sono eccedenze di prodotti agricoli, queste sono mandate nel bidone della spazzatura di Israele – che si chiama Striscia di Gaza. Nell’Ufficio del Coordinamento e Collegamento si occupano anche dei regolamenti concernenti i prezzi di frutta e verdura in Israele. È vero che l’esercito dovrebbe occuparsi solo di questioni di sicurezza e non interferire con i prezzi, ma quando si tratta della Striscia di Gaza, queste sono disposizioni fondamentali”.

“Gaza è un mercato di eccedenze”, afferma Avraham Ehrlich, direttore del “dipartimento ortaggi” del Plant Council e lui stesso agricoltore. Poiché per molti abitanti di Gaza i prezzi di frutta e verdura sono alti, è naturale che i prodotti inferiori siano mandati nella Striscia, anche se il problema è semplicemente la dimensione o la forma, dice.

“Alcuni anni fa, su incoraggiamento del Ministero dell’Agricoltura, io e altri agricoltori coltivammo degli agrumi di una varietà chiamata Odem “, afferma Ehrlich. “Scoprimmo però che agli Israeliani non piacevano perché anche se il frutto era dolce, era piccolo. Moltissimi coltivatori lo vendettero a Gaza al ridicolo prezzo di 1 shekel a chilogrammo, riducendo così le perdite “.

Il commercio tra Israele e Gaza – in particolare il commercio agricolo – non funziona secondo regole chiare, e in questo vuoto s’infilano mediatori e intermediari, sia Israeliani che Palestinesi. La caotica situazione a Gaza e il fatto che i commercianti si vedano spesso rifiutare l’ingresso in Israele, determinano anche lo sfruttamento da parte di settori israeliani, come le agenzie doganali. A volte, da parte israeliana, si lamenta il fatto che gli uomini d’affari palestinesi sfruttino la terribile situazione di Gaza.

Il Coordinatore delle attività governative nei Territori ha dichiarato: “Dal 2007 la Striscia di Gaza è controllata dall’organizzazione terroristica Hamas, che sta cercando di danneggiare la sovranità e la sicurezza di Israele attraverso la cinica manipolazione della popolazione di Gaza, usata anche come scudo umano per atti di terrorismo nei confronti di cittadini israeliani.

“Nelle ultime settimane, alla luce dell’intensificarsi dell’attività terroristica contro Israele, il ministro della Difesa ha ordinato l’imposizione di restrizioni sull’attività del valico di Kerem Shalom, fatta eccezione per l’ingresso di cibo, medicine, benzina e gas da cucina.

“Riguardo all’esportazione di merci da Gaza, sottolineiamo che qualsiasi merce dichiarata sicura e approvata può essere sdoganata e commercializzata. Per quanto riguarda l’esportazione dalla Striscia di Gaza verso Israele degli alimenti trasformati, i prodotti devono rispettare gli standard obbligatori stabiliti dal Ministero della Salute.

“Non vi è alcuna restrizione nella presentazione di una domanda per ottenere un permesso a scopo di commercio. Tuttavia, ogni domanda deve soddisfare i criteri dettagliati elencati sul sito web del Coordinatore delle attività governative nei Territori e sarà approvata in base a un controllo di sicurezza. Per quanto riguarda i prodotti a doppio uso, le richieste di questo tipo sono approvate in base a una licenza e sono esaminate caso per caso. Non siamo a conoscenza del fatto che l’ingresso della merce sia ritardato quando tali beni si trovano nello stesso camion dei prodotti a doppio uso. ”

 

Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” Invictapalestina.org

Fonte: http://archive.is/bB8N6

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