La propaganda saudita sta demonizzando l’Islam e la causa palestinese.

Gli ossessivi sforzi del governo saudita per controllare la narrativa hanno distrutto la legittimità dello Stato, sia politicamente che moralmente

Fonte: English version

Ahmad Rashed Said – 29 maggio 2020

Immagine di copertina: Sauditi camminano accanto a un ritratto del principe ereditario Mohammed bin Salman a Riyadh il 31 gennaio (AFP)

Un recente report del canale di notizie saudita 24 insinuava che i Fratelli Musulmani sostenessero i separatisti meridionali nella città yemenita di Aden – una menzogna, poiché è risaputo che i separatisti sono sostenuti dagli Emirati Arabi Uniti, uno stato ostile nei confronti della Fratellanza.

In Palestina, nei media sauditi, Hamas è descritta come un’organizzazione terroristica, accusata di tenere  in ostaggio il popolo di Gaza per adempiere alla sua agenda.

Questi sono solo un paio di esempi di come  i media sauditi diffondano un’assurda propaganda, mentre il governo  ha intrapreso una vasta campagna per rinnovare la sua immagine e controllare la narrazione delle sue politiche, sia a livello nazionale che all’estero. L’ipocrita  campagna nasce dal desiderio di fuorviare, controllare e distorcere la realtà, nel tentativo di proteggere gli interessi sauditi.

Censura rigorosa

In Arabia Saudita non esiste la libertà di parola. Internet è fortemente controllato e monitorato, e vi è una rigorosa censura di libri, giornali, riviste, film, televisione e social media. I mass media servono come portavoce della propaganda dell’establishment.

Ciò che peggiora le cose è la posizione ufficiale secondo cui ogni tipo di critica al governo è considerata come un “peccato”, potenzialmente destabilizzante e pericoloso. La repressione delle voci indipendenti saudite è feroce, anche se le opinioni sono espresse  in modo vago e senza alcun esplicito riferimento alle autorità saudite.

 In questo clima di repressione,  gli organi di stampa professionali vengono sostituiti dalla propaganda al servizio del regime

Dozzine di eminenti religiosi e intellettuali sono stati arrestati in quella che Human Rights Watch ha definito “una repressione coordinata del dissenso”.

L’Arabia Saudita è classificata al 170 ° posto su 180 Paesi nel World Press Freedom Index 2020. In questo clima di repressione, i media professioniali vengono sostituiti dalla propaganda che serve il regime, promuove la sua visione del mondo e demonizza i suoi rivali a livello nazionale, regionale e internazionale.

Viene promossa e diffusa un’unica narrazione degli eventi, ma poiché in questo  periodo le politiche saudite tendono ad essere imprevedibili, la propaganda lealista può finire per contraddirsi. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan era stato pubblicizzato come un alleato affidabile; ora è dipinto come  il nuovo califfo ottomano, che “terrorizza” la regione che intende sottomettere.

In passato il regime di Assad in Siria era ritratto come un mostro che doveva essere rovesciato; ora, ci viene detto, potrebbe essere riabilitato e persino diventare un alleato contro la Turchia. Tali fluttuazioni devono essere “giustificate” dai portavoce del governo, le cui ridicole contraddizioni sono state parodiate su Twitter.

Troll sauditi

Le piattaforme di social media non sono sfuggite al giro di vite saudita sulla libertà di informazione. Il loro potenziale di facilitare la comunicazione politica nel Regno, è stato devastato da continue interferenze e dalla sorveglianza da parte del governo.

Twitter, in particolare, è considerato una minaccia da domare, sorvegliare e utilizzare per controllare il dissenso. Mentre Twitter cancella  periodicamente account legati a questa rete di disinformazione,  un ‘”esercito di troll” saudita sta lavorando con successo, manipolando i “mi piace” e rilanciando tweet  per diffondere propaganda e dare una falsa impressione della popolarità delle politiche saudite.

Eppure, queste azioni non servono gli interessi dello stato. Invece, oscurano un mezzo chiave con cui tracciare e intercettare  l’opinione pubblica. In Arabia Saudita, praticamente non esiste una “società civile”, una vera rappresentazione strutturale del pubblico e uno sbocco attraverso il quale influenzare il processo decisionale.

A guidare la propaganda saudita è l’idea che i Fratelli Musulmani e il cosiddetto “Islam politico” siano i principali nemici strategici del regno. Questo è il motivo per cui l’Arabia Saudita appoggiò nel 2013 il sanguinoso colpo di stato in Egitto, che  rovesciò il primo governo del Paese eletto democraticamente. È anche il motivo per cui lo Stato è ostile  al Qatar, che si è schierato dalla parte della democrazia egiziana e della primavera araba in generale; e alla Turchia, che ha assunto una posizione simile.

Islamofobia fiorente

Sembra che le autorità saudite siano ossessionate dall’ Islam stesso, con il canale statale al-Arabiya che tuona contro le moschee e altre istituzioni islamiche in Occidente, sostenendo che sono pericolose, legate ai Fratelli Musulmani e finanziate dal Qatar o dalla Turchia. Dai musei svizzeri alle scuole superiori francesi, le organizzazioni sono screditate per essere “collegate alle comunità musulmane sostenute dal Qatar”.

 L’approccio vergognoso e miope del regime saudita ha portato a un’altra politica disastrosa: rinnegare la causa palestinese.

L’intera presenza musulmana in Europa è essenzialmente dipinta da Al Arabiya come affiliazioni “terroristiche”. L’islamofobia prospera nei corridoi del potere in Arabia Saudita, ancor più che nei movimenti di estrema destra di Berlino o Parigi.

L’Arabia Saudita ha bisogno della sua rete di propaganda ora più che mai, poiché  è rimasta bloccata in un’aspra lotta con l’Iran per il dominio regionale,  tanto che  ha cercato il supporto di Israele  seguendo il detto “il nemico del tuo nemico è tuo amico” (o forse il governo saudita si è limitato a capitalizzare quella minaccia  per sentirsi a proprio agio con Israele). Ma questa mossa potrebbe finire con il ritorcersi contro l’Arabia Saudita.

L’approccio  vergognoso e miope del regime saudita ha portato a un’altra politica disastrosa:  rinnegare la causa palestinese, a favore dell’”accordo del secolo” del presidente americano Donald Trump. L’Arabia Saudita ha anche intrapreso una dura repressione contro decine di sostenitori palestinesi di Hamas all’interno del Paese.

Missione impossibile

La propaganda saudita ruota attorno a un tema centrale: l’incitamento di sentimenti ultranazionalisti tra i giovani. Slogan come “L’Arabia Saudita per i Sauditi”, “Grande Arabia Saudita” e “Prima l’Arabia Saudita” hanno contribuito a una nuova narrazione, descritta dall’analista Madawi al-Rasheed come “non semplicemente un movimento di base spontaneo, ma un’iniziativa guidata dallo stato sotto gli auspici del principe ereditario ”.

Il nuovo senso di nazionalismo  implica una rottura non solo dal conservatorismo religioso passato, ma anche da qualsiasi impegno nei confronti di cause arabe e musulmane – in particolare, la questione palestinese, incluso lo status della città santa di Gerusalemme.

Le tattiche di propaganda saudita vanno dalla disinformazione e dalle vere e proprie bugie, alla demonizzazione, agli insulti e all’utilizzo di capri espiatori.

Supportati dall’esercito dei troll, commentatori e attivisti hanno spinto hashtag su Twitter con l’obiettivo di delegittimare la causa palestinese, con slogan come “La Palestina non è la mia causa”.  La disumanizzazione dei palestinesi va di pari passo con lo mostrare Israele in una luce favorevole – una missione impossibile, ma il regime saudita continua a spararsi sui piedi.

La guerra dell’Arabia Saudita contro la primavera araba e i Fratelli Musulmani ha distrutto la sua legittimità, sia politicamente che moralmente. La situazione è vergognosa e assurda.

 

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Ahmad Rashed Said è un analista politico e commentatore saudita con esperienza nei mass media e nelle comunicazioni.

 

Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” –Invictapalestina.org

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