Arrestata Dana Lauriola, la leader NoTav che partecipò alla Freedom Flotilla 2 nel 2011

«Io, nata in Israele, ho scelto di aiutare i palestinesi»

(Copertina: Valsusaoggi)

29 settembre 2020

È stata arrestata Dana Lauriola, trentottenne portavoce del movimento No Tav e attivista di spicco del centro sociale Askatasuna. L’attivista è stata arrestata all’alba dello scorso 17 settembre presso il suo domicilio a Bussoleno, in Valsusa, dove risiede dal 2019. Alcuni agenti della Digos si sono presentati nella sua abitazione di Bussoleno, in Val Susa, di fronte alla quale gli attivisti NoTav avevano organizzato un presidio permanente contro la decisione del tribunale di Torino di respingere la richiesta di misure alternative per la donna.

Lauriola è stata condannata in via definitiva a due anni per “violenza privata” e “interruzione aggravata di servizio di pubblica necessità” per un’azione dimostrativa pacifica realizzata il 3 marzo 2012, quando circa 300 persone bloccarono il casello di Avigliana della Torino-Bardonecchia permettendo alle vetture di passare senza pagare il pedaggio in protesta contro la costruzione della linea ferroviaria di alta velocità. Durante l’arresto annunciato della portavoce No Tav si sono registrati momenti di tensione in cui gli agenti dei reparti mobili della polizia, che presidiavano le vie d’accesso all’abitazione, hanno caricato per breve tempo i militanti, non riuscendo a far avvicinare i manifestanti all’abitazione.

La forza repressiva dello Stato contro la Resistenza NoTav ha raggiunto limiti patetici, dal momento che l’azione di Dana è stata tutt’altro che violenta.
Nel corso dell’azione, durata in tutto circa 20 minuti, Dana ha usato il megafono per spiegare le ragioni della manifestazione e dell’azione ai passanti, mentre altri attivisti del movimento esponevano striscioni e bandiere.

Nulla di violento, quindi.
Oggi è diventato persino reato esprimere il proprio dissenso in modo pacifico a tal punto da essere punito con carcere.

“L’arresto di Dana è emblematico del clima di criminalizzazione del diritto alla libertà d’espressione e di manifestazione non violenta, garantiti dalla Costituzione e da diversi meccanismi internazionali”, ha dichiarato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia.

“Sono tempi duri, in cui si viene mandati in carcere per ciò che si è e non per ciò che si fa. È lo sfascio dell’etica e del diritto”, ha dichiarato Nicoletta Dosio sul suo arresto.

Noi, come militanti per la liberazione della Palestina, vogliamo ricordarla per il suo impegno nella causa palestinese. Nata a Ramat-Gan nei pressi di Tel Aviv, e quindi di origine israeliana, ha da sempre sostenuto, durante la sua militanza, la popolazione palestinese nella lotta contro l’occupazione. Il 31 maggio 2011 decide di unirsi alla Freedom Flotilla insieme a moltissimi altri compagni e compagne, per fornire aiuto umanitario con il fine di rompere il disumano embargo che Israele da anni impone contro Gaza.

Riproponiamo l’intervista che rilasciò al suo ritorno a Mondo Arabo dal titolo «Io, nata in Israele, ho scelto di aiutare i palestinesi»:

Che cosa hai trovato a Gaza?

«I segni della guerra sono evidenti, soprattutto quelli dell’ultimo attacco “Piombo fuso” di un anno e mezzo fa. Molto è stato ricostruito perché le autorità governative lavorano in tal senso, però i segni sono indelebili: li vedi sulle abitazioni trivellate, li vedi sui cartelloni pubblicitari trivellati, li vedi in tutti quegli edifici che sono crollati, li vedi nelle zone di terreno vuote all’interno di una città densamente costruita, in luoghi dove prima c’erano palazzi, oppure li vedi spostandoti un po’ da Gaza City verso i villaggi e i vari quartieri dove noti che comunque c’è una fatica molto grossa da parte della popolazione».

Cosa hai visto degli israeliani dalla Striscia di Gaza?

«In Palestina come vivono gli israeliani non è molto dato di saperlo. Quello che puoi osservare dalla Palestina è in che modo gli israeliani tentano di non far vivere i palestinesi, quindi i continui movimenti di mezzi nelle zone di confine via terra e via mare. È notizia di questi giorni che una nave militare israeliana ha bombardato un’imbarcazione di pescatori che stavano pescando in quel poco di mare che gli è concesso. Vedi gli israeliani nel momento in cui sorvolano il cielo della Striscia a qualsiasi ora del giorno e della notte e li vedi nelle zone di confine perché stanno alle torrette, dietro le recinzioni, perché continuamente avanzano rubando ulteriore terreno ai coltivatori e ai pastori della Striscia. Ciò che dalla Striscia vedi degli israeliani è questo: mezzi militari e armi».

E i palestinesi? Hai visto speranza o rassegnazione?

«Sicuramente c’è una grandissima forza, una grandissima dignità, un fortissimo senso dell’onore, una voglia di non mollare e di continuare a lottare. La loro speranza è sicuramente che la comunità internazionale ponga fine all’assedio, condanni Israele e lo spinga a rispettare tutte le risoluzioni dell’Onu che sta tranquillamente ignorando. I palestinesi vogliono la loro terra libera, hanno il diritto e lo pretendono di avere una vita dignitosa, di sognare un futuro e non di essere quotidianamente in balia dell’esercito che arriva, uccide e fa tutto ciò che vuole».

Hai notato un loro desiderio di dialogo?

«In realtà molti dei palestinesi con cui ho parlato hanno detto che non sono minimamente interessati al fatto che ci siano persone con una religione e con origini diverse dalle loro. Parlano di pace e giustizia non solo per se stessi ma anche per gli altri, per tutti i popoli oppressi. Ho visto che c’è davvero molta solidarietà. Poi è difficile parlare di dialogo oggi in Medio Oriente perché c’è una violenza fortissima da parte degli israeliani, c’è da parte loro l’assoluta non volontà di concedere al popolo palestinese ciò che gli spetta, c’è una violenza così forte, così sistematica, così crudele che anche questi processi di pace che ci sono stati denotano oggi un’impossibilità di dialogo fino a quando non verranno riconosciuti dei diritti fondamentali che al popolo palestinese non vengono riconosciuti».

Come siete stati accolti durante il tragitto?

«Abbiamo trovato quasi sempre un’ottima accoglienza ma chi in tutti i modi ha cercato di ostacolarlo, ovviamente oltre a Israele, è stato l’Egitto. È fondamentale sottolineare come il problema dei palestinesi oggi non sia solo Israele ma l’Egitto che li ha completamente abbandonati e collabora totalmente con il governo israeliano. Potrebbe rappresentare una grossa risorsa, una grossa speranza e invece è un’ulteriore condanna».

Per te che sei nata in Israele e che hai il passaporto di questo paese, il viaggio fino a Gaza ha avuto un significato particolare?

«Sì, ha un significato molto forte perché mi occupo da anni della questione palestinese ma non avevo mai potuto vedere con i miei occhi cosa il mio paese d’origine sta facendo. Potevo immaginarlo ma sicuramente vederlo con i miei occhi mi ha rafforzato la convinzione che è giusto dall’Italia e da qualsiasi parte del mondo continuare a lottare, continuare a creare solidarietà intorno alla questione, fare pressioni sui governi. Per me è stato emotivamente molto forte ma anche politicamente molto significativo».

 

La lotta NoTav e la lotta di liberazione palestinese hanno moltissimi punti in comune. Oltre alla devastazione ambientale, la cosa che più le accomuna è la repressione che subiscono, frutto di nuove forme di controllo sociale e di militarizzazione del territorio. Infatti, proprio grazie anche alla collaborazione tra Italia e Israele, il filo spinato usato in Val di Susa è fornito dallo Stato israeliano, ed impiegato dall’Israel Defence Force nelle più varie situazioni di oppressione militare nei Territori Palestinesi Occupati.

Dana è un sunto ecclettico e sincretico tra due lotte “sorelle” di resistenza per la giustizia sociale e per l’autodeterminazione dei popoli. Ora si trova rinchiusa nel carcere “Le Vallette” di Torino in via definitiva e noi mostriamo la nostra piena solidarietà affermando ancora una volta che la lotta non si rinchiude in un carcere, non si reprime a colpi di “lawfare” (con metodi da Codice Rocco), che non si arresta e che non si arresterà. Non si arresterà soprattutto in questo periodo in cui gli organismi internazionali si sono espressi negativamente sull’opera e in cui il governo Conte ha fatto del TAV uno dei primi punti sui quali spendere i soldi del Recovery Fund. Lo stesso governo continua la repressione poliziesca contro i NoTav con il lasciapassare del ministro della giustizia Bonafede il quale, abbandonando la sua posizione originaria sulla grande opera, è ormai approdato alla realpolitik. Se è questo il grado di giustizie e di libertà che è in grado di garantire la democrazia liberale (o democrazia borghese), siamo qua ad affermare che questo non è il mondo che vogliamo.

Libertà per Dana!

Libertà per tutti i prigionieri politici NoTav!  

Libertà per la Resistenza NoTav e la Palestina!

 

di L.P. – per Invictapalestina.org

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