La questione israelo-palestinese spiegata da Chef Rubio: “Non chiamatelo conflitto, è un’occupazione illegale”

Intervista rilasciata al Riformista successivamente censurata e cestinata.

29 ottobre 2020

E’ notizia recente quella che riguarda un nuovo attacco a Gaza. Le forze di difesa israeliane, attraverso il portavoce dell’esercito israeliano Avichai Adrai, hanno dato l’annuncio ufficiale che i loro aerei ed elicotteri da combattimento hanno fatto irruzione in un’installazione sotterranea appartenente ad Hamas nella striscia di Gaza. Così come è notizia fresca quella che riguarda l’avvio di relazioni tra alcuni paesi arabi e africani come il Sudan con Israele, tradizionalmente nemici di quest’ultimo, che vanno a completare il cerchio del piano per la pace nel Medio Oriente. Sebbene non ci sia una rubrica quotidiana, le incursioni sulla striscia di Gaza e l’espansione internazionale di Israele accadono più frequentemente e velocemente di quanto si possa immaginare.

A tenere viva la memoria, però, ci pensa Gabriele Rubini, o meglio conosciuto come Chef Rubio, famoso anche e soprattutto per il suo attivismo a difesa della Palestina. Dato l’addio a Facebook e Instagram, Rubio mantiene viva la sua causa su Twitter dove è particolarmente presente con post, letture, video e immagini che gettano uno sguardo informato sulle origini e la storia di una questione ancora irrisolta e piena di contraddizioni. Riguardo al suo attivismo pro Palestina, l’ex rugbista specifica che “se non ci si schiera dalla parte dei più deboli, non ha senso stare da nessuna parte”. E lui ha scelto di stare “dalla parte giusta della storia”. Il suo è un monito che trova riscontro anche nell’adesione allo sciopero della fame in sostegno di Maher Al Akhras, incarcerato dallo stato israeliano senza accusa né processo e al suo 94esimo giorno di digiuno.

La questione israelo-palestinese, nota come “conflitto”, ha radici lontane e antiche, anche se in realtà gli attori coinvolti sono più di due, con la conseguenza che la storia che ne viene tratta ha sempre come fondo l’ambiguità delle fazioni. Tutto comincia verso la fine dell’Ottocento quando il movimento nazionalista ebraico, il sionismo, aspira ad una terra per tutti gli ebrei sparsi nel mondo identificandola per volontà divina nella Palestina. Il territorio medio orientale, però, è già abitato dal popolo arabo. Da qui nasce l’ostilità tra le due popolazioni fino ad arrivare al secondo dopoguerra, periodo in cui comincia a diventare un problema internazionale. Le Nazioni Unite approvano un piano di partizione in due Stati, nonostante si parli di 1,2 milioni di arabi e 600.000 ebrei, con Gerusalemme proclamata città internazionale. Questo piano viene accettato dal movimento sionista e rifiutato dai palestinesi. Inizia così una situazione di occupazione con forze paramilitari e sioniste che scacciano i palestinesi dalle loro terre, fino a quando nel 1948 su questi territori viene proclamato lo Stato d’Israele.

A cosa si può attribuire l’inizio del “conflitto” israelo-palestinese?

Non chiamatelo conflitto. E’ dall’esistenza dello Stato d’Israele che esiste quello che viene erroneamente chiamato “conflitto” israelo-palestinese. Si tratta di un’occupazione illegale da parte di una super potenza che sin dagli albori era supportata pubblicamente e segretamente con fondi, armi da oltreoceano e ha mentito dal primo giorno della sua esistenza. In che modo? Affermando che lo Stato di Israele era in pericolo quando, al contrario, i palestinesi non avevano né ingenti armi, né intenzioni belliche. Intanto, questo ha fatto sì che si creasse, anche attraverso la risonanza della stampa, un falso storico dando vita nell’immaginario collettivo ad un vittimismo da parte dei coloni sionisti perseguitati da coloro che descrivevano come “cattivi”, gli arabi. La realtà dei fatti, però, è che dall’occupazione di una piccola percentuale di territorio sono arrivati ad impadronirsi di quasi tutta la Palestina. Arabi, ebrei, cristiani, arabi ebrei, musulmani e cristiani di qualsiasi tipo di etnia convivevano tranquillamente nel territorio palestinese fino al primo conflitto mondiale e poi, a seguire, alla fine della seconda guerra mondiale con i confini istituiti dalla fine dell’Impero Ottomano. Fino a quando è arrivata la formazione del nuovo Stato nel 1948, anno in cui è ufficialmente cominciata l’occupazione. La cattolica Europa ha voluto creare uno Stato, quello di Israele, usando come scusa la religione e come scudo la pressione dei sensi di colpa per la tragedia dell’Olocausto cercando di correre ai ripari con una collocazione giusta e degna al popolo colpito. Tra religione e sensi di colpa hanno piazzato in maniera del tutto strategica e ponderata uno Stato che sin dagli inizi si è rivelato ben strutturato e definito per espandersi sempre più nella totale poca trasparenza. Sin dal primo tentativo di formazione di Israele, le carte in tavola non sono mai state chiare. Libri di testo, prove, storie testimoniano infatti come non tutte le persone vittime dell’Olocausto avevano intenzione di trasferirsi in Palestina ma che i sionisti, da fine Ottocento, hanno cominciato a premeditare la creazione dello Stato di Israele e a sovrappopolare l’allora Palestina con un ingente numero di persone di religione ebraica rispettando sempre meno i patti. Dal 1948 si sono susseguiti pulizie etniche, massacri, torture e distruzioni di villaggi che rendono ad oggi la situazione vergognosa.

Come si presenta oggi la condizione della Palestina?

Drammatica, i confini attuali sono sempre più ridotti, la situazione delle colonie in Cisgiordania è insostenibile a causa dell’odio cieco dei coloni ebrei a cui tutto è concesso, i diritti umani, civili e politici dei palestinesi sono praticamente inesistenti e l’embargo a Gaza e la vergogna dell’umanità. Per tacitare tutto ciò, Israele e chi lo supporta fa appello all’Hasbara (parola in lingua ebraica che indica gli sforzi di pubbliche relazioni per diffondere all’estero informazioni positive sullo Stato di Israele e le sue azioni), strategia di propaganda sionista che mistifica e falsifica qualsiasi tipo di realtà. In breve, tutte le informazioni veicolate sono da guardare all’opposto. Se ci giunge la notizia di un razzo sparato dai palestinesi e la inevitabile risposta di Israele all’attacco, bisogna capovolgere le parti perché non è mai così. A onor del vero c’è da dire che nella seconda fase dell’occupazione, intorno ai primi anni 2000, ci sono stati dei periodi in cui gli attentati di risposta erano veritieri ma è necessario contestualizzarli. Stiamo parlando di decenni di soprusi, di torture, di privazioni con la conseguente creazione del muro e di uno stato di apartheid. Usare termini di uguaglianza come appunto “conflitto israelo-palestinese” è sbagliato a livello semantico e storico.

Non è una guerra ma uno stillicidio, un genocidio che è in atto dai primi decenni del Novecento e che è finalizzato alla sostituzione di un’etnia. Se si studiasse questo argomento in maniera approfondita ci si renderebbe conto che la pulizia etnica, messa sul piano internazionale per la prima volta nei primi anni ‘90 a Srebrenica nella guerra del Kosovo, è esattamente quello che è accaduto ai palestinesi nel 1948 con la Nakba. Quasi un milione di persone sono dovute scappare e altrettante sono state trucidate, creando così un numero complessivo di 15 milioni di palestinesi che ad oggi sono sparsi per il mondo e non possono tornare a casa pur avendo ancora le chiavi di casa.

La politica che adotta un governo guerrafondaio e militare come quello di Israele non è altro che quella di tirare acqua al proprio mulino mentendo e omettendo spudoratamente. Nei 72 anni di vita dello Stato israeliano non c’è mai stata un’ammissione di colpevolezza, una redenzione, non c’è mai stato niente se non un continuo mentire anche sul potere nucleare. Israele ha commissionato ed eseguito tanti omicidi mirati e rapimenti per silenziare e tacitare qualsiasi tipo di verità. La chiave di tutto sta nella Hasbara, la quale esercita la sua propaganda maggiormente con i media e il cinema.

Quest’ultimo, ad esempio, è il mezzo di propaganda sionista che serve per raccontare in maniera eroica o vittimista la versione storica israeliana inserendo persone e celebrità di Hollywood che supportano Israele e che annualmente finanziano l’esercito israeliano (IDF). Agendo direttamente ai vertici possono così più facilmente fare brainwashing attraverso il pinkwashing, il whitewashing, il greenwashing e via discorrendo. Tutte menzogne che raccontano una verità che non è. Le stesse testate giornalistiche e gli organi di stampa che si riempiono la bocca di Palestina hanno sede a Beirut, a testimonianza del fatto che non possono essere credibili se il fulcro della comunicazione delle informazioni sulla Palestina e su Gaza sono nel paese limitrofo. Di solito si dovrebbe essere sul posto per dire la verità. Ciò significa che anche i vari attacchi fatti attraverso l’utilizzo dei qassam, ovvero mortaretti sgangherati sparati di risposta ai bombardamenti che ci sono ogni notte a Gaza, sono utilizzati come scusa. Basterebbe informarsi lateralmente per farsi un’idea e capire la realtà dei fatti.

Quindi, in tutto questo, cosa e quanto c’entra il sionismo?

Il sionismo è un movimento razzista, imperialista, colonialista fondato sull’assolutismo dei bianchi. Dall’esterno hanno deciso come doveva andare la vita in quel posto imponendo menzogne e un background che non appartiene alla zona della Palestina, importando persone che venivano dall’Est Europa, dall’America e che non avevano la minima conoscenza del territorio e ad esso non appartenevano. Con la violenza, con le bombe, con gli stupri, con i genocidi, con i rastrellamenti, con le deportazioni hanno modificato il paesaggio, l’urbanistica, la natura e la fauna se calcoliamo l’uomo come essere animale. Quindi il sionismo c’entra perché oltre a essere stato la causa scatenante è il “valore” con cui agisce oggi l’intera politica israeliana. Può essere chiamato in tanti nomi: fascismo, razzismo, suprematismo, imperialismo, può essere identificato con tutto ciò che c’è di sbagliato al mondo. Dunque, la questione palestinese subisce il sionismo che si fa promotore dell’ebraismo ma che con la sua religione non ha nulla a che vedere visto che ha una matrice laica. Il sionismo oggi si è infiltrato nella politica sia di destra che di sinistra. Abbiamo politici sionisti di ogni partito e credo religioso che supportano per interessi economici personali Israele. Si può dire che il sionismo fa scopa con ignoranza perché ci si è accontentati di una verità di comodo che non ha nulla a che vedere con la realtà storica fatta di prepotenze, di accordi commerciali con l’intento di mandare avanti gli interessi di pochi. Ad oggi Israele è diventata una potenza talmente grande che anche con gli accordi di normalizzazione tutti i Paesi europei cercano di non indisporre uno degli Stati più potenti del Medio Oriente altrimenti non ci guadagnerebbero più nulla, anzi. Per concludere, il sionismo c’entra tutto.

Causa o pretesto?

Il sionismo è un movimento che ha imposto la nascita di Israele al mondo, e questo Stato illegale non esisterebbe se non ci fosse stato il sionismo. Quindi è la causa-effetto dell’esistenza di Israele e della sua scellerata posizione geografica perché erano persino stati proposti altri luoghi, come ad esempio la Patagonia, al fine di ospitare persone che avevano subito il drammatico e vergognoso trattamento da parte dei nazisti. E’ stata scelta la Palestina in prospettiva futura per tenere un occhio di riguardo nel Medio Oriente. Si potrebbe dire che è stata sia causa che pretesto. Non c’è una sola ragione, un solo motivo, dipende sempre da che parte scegli di vederla. Se una persona non ha interesse per la causa palestinese non si pone neanche l’esistenza giusta o sbagliata di Israele in quella zona. Se invece si affronta questo discorso in un’ottica di una certa fazione politica si penserà che è giusto che Israele stia lì perché è la Terra Promessa e il popolo ha fatto ritorno “legittimo” nella “sua” terra . Ma questo è solo un pretesto per giustificare una presenza che ha interessi economici e di potere.

Perchè lo Stato di Israele è nato in quei territori e che ruolo geostrategico ha la sua locazione?

Lo Stato di Israele è nato in Palestina perché si è creato il mito della Terra Santa, con la religione si è giustificato tutto. Ma soprattutto perché è una terra meravigliosa che si affaccia sul mar Mediterraneo, strategicamente perfetta per scambi navali, commerciali, turismo. Inoltre, Francia e Inghilterra avevano promesso ai popoli del medioriente, che alla caduta dell’impero Ottomano li avrebbero aiutati a creare la cosiddetta “Grande Siria”, terra in cui tutto il Medio Oriente sarebbe stato unito, forte e politicamente influente. Ovviamente cosi non era, avevano già firmato gli accordi di Sykes Picot (1916) che dividevano il Medio Oriente in zone da loro (Francia e Inghilterra) amministrate. Far nascere quindi uno stato “occidentale” proprio in quella zona, è servito anche a fermare il sogno di unità del medio oriente, oggi debole e politicamente diviso. Si può dunque dedurre facilmente il motivo per cui è stato imposto lo Stato di Israele in quella zona. I sionisti si nascondono dietro le favole religiose, ma è solo uno sfruttamento della religione ebraica. E se proprio vogliamo basarci sulle favole religiose, in esse gli ebrei sono stati condannati a vivere senza terra. Questo è il motivo per il quale anche tanti ebrei ortodossi ( quelli che conoscono bene i testi sacri) denunciano il sionismo e l’esistenza stessa di Israele. Il sionismo era una componente intoccabile all’epoca perché fresca dell’Olocausto e lo è tuttora perché si è potenziata attraverso le lobby e la strumentalizzazione dei sionisti. E’ stata dunque una mossa strategica che, con il pretesto religioso, ha inserito qualsiasi tipo di vantaggio si potesse ricavare

Guardandola da un altro punto di vista, potrebbe sembrare una versione troppo di parte

Non ha senso prendere la parte dei prepotenti che hanno sempre agito con l’inganno, la violenza, e mentendo senza mai riconoscere i propri abomini. Bisogna stare dalla parte del più debole a prescindere, e dalla parte del popolo palestinese anche non conoscendo la storia, per studiare c’è sempre tempo. La gente dovrebbe combattere questa ingiustizia perché non parla solo di Palestina ma abbraccia anche il Libano, la Siria, l’Iran e tutti i popoli su cui vuole mettere le grinfie lo Stato di Israele per questioni economiche e di potere. È un’ingiustizia che parla di tutti noi. Bisogna essere di parte perché c’erano prima loro, il popolo nativo, e perché solo prendendo le difese dei giusti si può dire di aver fatto bene. Tutte le persone che hanno popolato Israele spesso e volentieri sono state deportate, come testimonia l’esistenza di vari gruppi terroristici, dopo legalizzati, quali haganah e irgun per dirne alcuni, che effettuavano operazioni di deportazione di persone che erano state appena colpite dall’Olocausto: venivano caricate sulle navi o barche di fortuna e miglia di persone sono state portate clandestinamente in Palestina per dare vita al sogno sionista. Si può azzardare che i primi scafisti del secolo scorso fossero proprio i sionisti, che portavano in Palestina persone anche contro il loro volere. E’ facile incappare nella sottile linea del complottismo, ma sono informazioni contenute in libri scritti da storici, antropologi di cui il 90 % israeliani ed ebrei. Non stiamo parlando di persone che sono palestinesi o patteggiano per loro, semplicemente si sono resi conto anche loro col tempo e studiando che erano nati in uno Stato in cui la realtà raccontata discostava dalla realtà. Non ha più senso che dopo 72 anni un popolo sia rinchiuso dentro la propria terra a determinate condizioni e che non possa uscire se non quando lo decide l’occupante. E’ una cosa unica al mondo in cui gli indigeni nativi devono chiedere il permesso per uscire o per esistere. Io stesso sono di parte, certo, ma non c’è stata una volta in cui mezza persona, tra le tante che mi accusano e mi danno dell’antisemita, mi abbia controbattuto sui contenuti perché dico il vero e per il vero lotto sempre. La loro è una strategia stantia che non attacca più. Il trucchetto l’abbiamo imparato tutti noi attivisti e non ci fanno neanche più paura, però questo pone un problema fondamentale: è difficile addentrarsi in un discorso così complesso se le persone non conoscono la questione a fondo. Ci si dovrebbe documentare di più.

A questo proposito, spesso la questione della Palestina è considerata un argomento tabù anche sui social e negli organi di stampa. Tu, ad esempio, hai detto addio a Facebook ed Instagram per le numerose segnalazioni ai tuoi post che facevano riferimento ad informazioni pro Palestina. Cosa ti ha spinto ad abbandonare uno dei modi di comunicare più virali? C’è stata una censura?
Facebook e Instagram hanno regolarmente e arbitrariamente rimosso e oscurato i miei post relativi a notizie sulla Palestina e quelli critici con lo Stato d’Israele e il sionismo. Fino al punto da sottopporre i miei account allo shadowban, cioè vuol dire relegare i profili social in una zona d’ombra dove i tuoi post non compaiono più nelle timeline dei followers e vengono visti solo se esplicitamente ricercati. Contemporaneamente ogni giorno hanno rimosso migliaia di followers dicendo che si trattava di bot o fake account e hanno impedito a nuovi followers di potermi seguire. Sui social funziona per segnalazioni e/o algoritmi, quindi se ci sono dei post con delle parole-chiave specifiche che ricevono tante segnalazioni, vieni oscurato dal social in questione.

Questo avviene anche su Twitter, ma in maniera minore. In ogni caso è indubbio che i media e i social siano nelle mani di un controllo imperialista e sionista, o se non sotto un controllo diretto sicuramente subiscono pressioni fortissime da parte di enti e associazioni che supportano il sionismo. Un esempio è la storia di Bella Hadid, la celebre modella palestinese a cui è stato eliminato un post su Facebook che ritraeva il documento di identità di suo padre. Lei ha denunciato l’accaduto ed è magicamente ritornato visibile, perché è un personaggio famoso con un seguito di milioni di followers.

Qualsiasi altra persona, come me che sfioravo il milione di followers, non preoccupa i vertici se protesta per la censura. Io – come ho già dichiarato a una prestigiosa rivista tecnica americana che ha verificato il mio shadowban – piuttosto che generare traffico sui social controllati da sionisti ho preferito farmi da parte, dando così un segnale forte contro questi metodi di censura.

Non vedo perché continuare a produrre un flusso di contenuti interessante per aziende private che violano qualsiasi diritto di libertà di espressione. Ho scelto di cambiare campo di gioco. Ciò non toglie che questo “bavaglio” è presente ovunque, i sionisti hanno delle black list dove inseriscono tutti gli attivisti e giornalisti pro Palestina, regolarmente tenuti sott’occhio. E i social sono un terreno d’azione molto importante. Facebook, ad esempio, è statunitense. Coloro che gestiscono la sicurezza della piattaforma sono ex militari israeliani ed ebrei. L’Anti-Defamation League, l’organizzazione non governativa internazionale ebraica è il principale gruppo di pressione su Facebook. Gli Stati Uniti stessi sono stati fondati sul colonialismo, hanno sterminato i nativi americani, proprio come i coloni israeliani che tuttora continuano a sterminare i palestinesi.

Se non ci fossero gli Usa, Israele non esisterebbe. Le tasse dei contribuenti americani vanno dritte negli armamenti e nell’occupazione israeliana, i soldi dei cittadini statunitensi finiscono nelle mani dell’esercito israeliano. E’ tutto collegato. C’è da dire, però, che questo sistema di censura non esiste solo sui social, ma anche negli organi di informazione mainstream. Il messaggio che deve passare è sempre Israele contro Palestina, altrimenti puoi ritrovarti anche a perdere lavoro o ad essere bollato con un’etichetta negativa. Il fatto che ci siano sabotaggi, pressioni, omissioni spinge pochissime persone ad esporsi a favore della verità. Io stesso ho subito qualsiasi tipo di angheria da parte della comunità ebraica, di tutti i sionisti politici e anche dei vertici dei broadcast. Non è lecito potersi esprimere liberamente in favore della Palestina se non al di fuori di quel sistema. Da dentro ci ho provato, ma ogni volta venivo reguardito, i miei collaboratori minacciati e gli sponsor erano costretti ad abbandonarmi.

Si parla tanto di diritti umani internazionali, come mai però la Palestina vede restringersi il campo di anno in anno?

La Carta Universale dei Diritti Umani è stata scritta ma non è mai stata applicata, e non solo per la Palestina. Sono tante le popolazioni a subire lo stesso trattamento. A scrivere le Costituzioni e le Carte Universali siamo sempre bravissimi, ma metterli in pratica è tutt’altra cosa. Ci sono centinaia di risoluzioni contro Israele per i crimini di guerra o contro l’umanità commessi in questi 72 anni d’esistenza e mai una volta che sia stato sanzionato o costretto a ritornare sui suoi passi. Non ha mai neanche minimamente risposto all’atto dove gli veniva imposto di restituire terre rubate, di smettere di distruggere le abitazioni dei palestinesi, di smettere di inquinare, di smettere di deportare le persone, di smettere di bombardare. Se c’è un’indifferenza spaventosa di fronte a tutto ciò, è molto difficile che con una via diplomatica si possa risolvere la situazione se non c’è nessuna risposta o ammissione di colpevolezza.

Il piano per la pace in Medio Oriente prevede il riconoscimento degli insediamenti israeliani in Cisgiordania da parte dei palestinesi in cambio di un congelamento di 4 anni delle attività legate alle colonie. Riconosce Gerusalemme come “capitale indivisa” dello Stato ebraico, propone il raddoppiamento del territorio sotto controllo palestinese e la nascita di uno Stato palestinese con capitale a Gerusalemme Est. In tutto questo, quanto conta realmente l’Olp?

Il piano per la pace in Medio Oriente è una farsa, tutto è tranne che un piano per la pace. E’ un piano per distruggere la Palestina e corrompere tutti i paesi limitrofi arabi. Non c’è intenzione di fare nessuna pace anche perché non c’è mai stata nessuna guerra ma solo una schifosa occupazione taciuta e accettata da tutti.

Per quanto riguarda l’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina), ha anch’essa le sue colpe. I palestinesi in queste decadi non sono riusciti a rimanere uniti: o si sono fatti corrompere o sono stati uccisi. E’ sempre mancata una leadership che potesse reggere e resistere colpo su colpo ai sabotaggi da parte di Israele, Stati Uniti e di tutta la comunità internazionale.

Il presidente Abu Mazen non è minimamente un leader e sottostà alle direttive di Israele, si deve sperare in una nuova generazione per poter far rinascere il sentimento di rivalsa pacifico nei confronti di Israele e sollecitare l’opinione pubblica schiava delle menzogne. L’Olp contava un tempo, ma adesso non ha un pugno solido o un potere contrattuale su un tavolo politico che possa fargli avere giustizia per la Palestina e il suo popolo. Bisogna aspettare le nuove generazioni di palestinesi schiavi nella loro terra che possano invertire la rotta.

Ma non è facile. La Palestina non ritornerà in mani ai palestinesi e non sarà mai libera se l’opinione pubblica e la comunità internazionale continuano ad appoggiare Israele. I palestinesi sono 72 anni che resistono mandando avanti la loro cultura giorno dopo giorno, il problema è che non cambierà mai la situazione se gli Stati saranno collusi, corrotti e accetteranno le bugie e le condizioni di Israele e soprattutto se non verrà data voce ai palestinesi. La situazione si risolve in due modi: o pacificamente con una presa coscienza da parte di tutta la comunità internazionale e quindi con un boicottaggio a 360 gradi da parte di tutto ciò che viene prodotto da e in Israele e nei territori occupati oppure, come hanno fatto gli israeliani nel 1948, con la forza. Con le buone non si è mai riusciti ad ottenere nulla, con le cattive ci hanno provato ma sono stati bollati come terroristi.

Non sta a loro, sta a noi. I palestinesi hanno tentato di difendere la loro cultura, la loro storia con l’olio degli ulivi, con il sapone fatto con l’olio di oliva, con i prodotti della loro terra, con le poesie ma hanno fatto tutto ciò che era in loro possesso. Questo processo potrebbe essere accelerato solo da parte della comunità internazionale e dai singoli perché lo Stato è fatto anche di singoli. Se ogni individuo studiasse e si prendesse a cuore il lato giusto della vicenda sicuramente ci sarebbero meno corrotti, più boicottaggi e, forse, si potrebbe cambiare rotta.

Israele è inserita nella classifica dei 25 eserciti più potenti al mondo per spese militari e della sua sfera di influenza internazionale

Lo Stato di Israele è stato fondato sulla violenza e con essa si esprime. L’Italia è tra quei paesi che vende fior fior di armamenti a Israele. Ci sono accordi vergognosi tra Italia ed Israele che prevedono lo scambio di armi, droni e mezzi bellici ma credo sia del tutto normale in un mondo in cui l’industria più potente al mondo è proprio quella delle armi. Dove ci sono soldi e dove c’è la possibilità di incrementare il potere c’è tutto l’interesse da parte di Israele di espandersi anche attraverso la sicurezza privata con forme di militarizzazione, occupazione e privazione di qualsiasi tipo di libertà. Gaza non è altro che un campo di addestramento dove testare qualsiasi tipo di nuova arma, legale e non, in maniera ciclica perché tanto nessuno condanna Israele e a morire sono solo civili palestinesi spacciati per terroristi. Non sorprende che sia tra le prime potenze belliche al mondo, rientra tutto nel percorso di vita di questo piccolo e inutile Stato.

Uno degli attivisti che si è speso sul campo in maniera concreta per la Palestina è Vittorio Arrigoni, ucciso nel 2011. Lui descriveva così la questione Israelo-palestinese: “In Israele vige questa strana situazione in cui gli extracomunitari legiferano e fanno leggi razziali contro la popolazione autoctona che adesso è rappresentata dal 20% degli arabi”. Credi ci sia qualche altra verità dietro la sua morte?


La versione ufficiale della sua morte è che è stato ucciso dai salafiti. Anche se la verità che non si sa, e che non si saprà mai, è che è stato un omicidio su commissione. E’ strano che questo gruppo di persone di punto in bianco volevano far fuori una persona che cercava di difendere il popolo palestinese, se non per altre ragioni che andavano contro la Palestina. Molti storici e studiosi sospettano che dietro ci sia la mano di Israele, ma ovviamente non ci sono prove.

Alla luce della ricostruzione storica tra passato e presente, quale sarà il futuro della Palestina?

La causa palestinese è la madre di tutte le ingiustizie. Se si dovesse risolvere la situazione di occupazione della Palestina, si risolverebbe il mondo. Il benessere del mondo passa proprio attraverso la libertà della Palestina. Ma la risoluzione ci sarà se e solo se tutti inizieremmo a stare dalla parte giusta della storia boicottando non solo come singoli ma come Nazioni lo Stato occupante, dettando condizioni.

Nella peggiore delle ipotesi ci sarebbe bisogno di un intervento militare, e non credo che qualcuno avrebbe il coraggio di indignarsi visto che dal 1948 al 2014 Israele ne ha compiuti sfacciatamente a decine rubando terre e ammazzando centinaia di migliaia di vite innocenti.

Io però essendo un pacifista, la seconda opzione la pongo solo come ultima ratio attraverso l’entrata in campo di forze esterne che anche con la violenza si impongano su Israele affinché restituisca i territori occupati facendo ritornare in Palestina tutti i profughi confinati in paesi limitrofi e sparsi nel mondo.

Di certo non possiamo sperare nella benevolenza di Israele perché non è successo in più di settanta anni, non accadrà ora. D’altro canto, è pur vero che ci sono state guerre mondiali, capovolgimenti internazionali, sorprese anche positive nel corso dei secoli, ed è stupido non pensare che non ci possa essere una soluzione anche inaspettata per far ritornare a casa di tutti i profughi palestinesi sparsi per il mondo.

Tutto dipende dalla risoluzione del problema primo che sta nel restituire la libertà fisica e geografica a un popolo a cui il mondo sta cancellando la sua storia. Qualsiasi tipo di problema ci affligge qui in Italia, su un palestinese si abbatte all’ennesima potenza. Se si risolvono i loro problemi, automaticamente scompariranno anche i nostri, ma la gente non riesce o non vuole capirlo. La speranza è l’ultima a morire, ma se vogliamo essere obiettivi è molto dura.

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