Le risorse di petrolio e gas dimenticate della Palestina

Sarà necessaria un’equa distribuzione delle risorse di petrolio e gas nel bacino del Levante per raggiungere un duraturo accordo politico ed economico tra Israele e Palestina.

Fonte: English version


Foto di copertina: Una bandiera israeliana sventola sul giacimento di petrolio e gas naturale di Meged. Israele dice che il campo si trova a ovest della linea dell’armistizio del 1948, ma la maggior parte del bacino si trova sotto il territorio palestinese occupato dal 1967 (Foto: David Silverman/Getty Images)

Di Mahmoud Elkhafif – 21 giu 2021

 

Dopo l’ultima operazione militare di Israele e la conseguente massiccia devastazione a Gaza, la comunità internazionale ha promesso centinaia di milioni di dollari per aiutare la ricostruzione della Striscia. Tuttavia, una fine duratura del conflitto tra Israele e Palestina non sarà possibile senza investimenti a lungo termine nello sviluppo economico e umano della Palestina, pari a miliardi di dollari all’anno.

Un mezzo trascurato per generare queste entrate sarebbe quello di destinare alla Palestina la sua giusta quota di benefici delle riserve di petrolio e gas naturale nei territori occupati e nel Mediterraneo orientale, che sono attualmente sfruttati solo da Israele.

Un recente studio della Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD) sottolinea che le nuove scoperte di gas naturale nel bacino del Levante sono nell’ordine di 122 trilioni di piedi cubi (35.300 piedi / 1 metro cubo), mentre il petrolio recuperabile è stimato a 1,7 miliardi di barili (1 barile=159 litri). Queste riserve offrono l’opportunità di distribuire e condividere circa 524 miliardi di dollari (440 miliardi di euro) tra le diverse parti della regione.

L’occupazione militare israeliana dei territori palestinesi occupati dal 1967 e il blocco della Striscia di Gaza dal 2007 hanno impedito al popolo palestinese di esercitare qualsiasi controllo sulle proprie risorse di combustibili fossili, negandogli le entrate fiscali e di esportazione tanto necessarie e lasciando l’economia palestinese sull’orlo del collasso.

I costi economici inflitti al popolo palestinese sotto occupazione sono ben documentati: severe restrizioni alla circolazione di persone e merci; la confisca e distruzione di beni e proprietà; perdita di terra, acqua e altre risorse naturali; mercato interno frammentato e separazione dai mercati limitrofi e internazionali; e l’espansione degli insediamenti israeliani illegali secondo il diritto internazionale.

Il popolo palestinese esercita anche un controllo limitato sul proprio spazio e sulla propria politica fiscale. Secondo le disposizioni del Protocollo di Parigi sulle relazioni economiche, Israele controlla la politica monetaria, i confini e il commercio palestinesi. Riscuote anche dazi doganali, IVA e imposte sul reddito dei palestinesi impiegati in Israele che poi versa al governo palestinese. L’UNCTAD stima che, sotto occupazione, il popolo palestinese abbia perso 47,7 miliardi di dollari (40 miliardi di euro) di entrate fiscali nel periodo 2007-2017, comprese le entrate trasferite a Israele e gli interessi maturati. In confronto, la spesa per lo sviluppo del governo palestinese nello stesso periodo è stata di circa 4,5 miliardi di dollari (3,8 miliardi di euro).

Il prolungato assedio e le ricorrenti operazioni militari contro Gaza hanno lasciato più della metà della popolazione del territorio a vivere al di sotto della soglia di povertà costando 16,7 miliardi di dollari (14 miliardi di euro) di PIL all’anno. Questa cifra non tiene conto dell’enorme costo, e mancata opportunità, nell’impedire al popolo palestinese di utilizzare il proprio giacimento di gas naturale al largo delle coste di Gaza.

L’accordo temporaneo israelo-palestinese del 1995 sulla Cisgiordania e sulla Striscia di Gaza, noto come Accordo di Oslo II, ha conferito all’Autorità Palestinese (AP) giurisdizione marittima sulle sue acque fino a 20 miglia nautiche (37 Km) dalla costa. L’AP ha firmato un contratto di 25 anni per l’esplorazione del gas con il British Gas Group nel 1999 e nello stesso anno è stato scoperto un grande giacimento di gas, Gaza Marine, a 17-21 miglia nautiche (31-39 Km) al largo della costa di Gaza. Tuttavia, nonostante le discussioni iniziali tra il governo israeliano, l’AP e British Gas sulla vendita di gas da questo giacimento e la fornitura di entrate tanto necessarie ai territori palestinesi occupati, i palestinesi non hanno ottenuto alcun beneficio.

Dal blocco di Gaza nel 2007, il governo israeliano ha stabilito di fatto il controllo sulle riserve di gas naturale al largo di Gaza. L’appaltatore, British Gas, da allora ha avuto a che fare con il governo israeliano, aggirando efficacemente il governo palestinese per quanto riguarda i diritti di esplorazione e sviluppo.

Israele ha anche preso il controllo del giacimento di petrolio e gas naturale di Meged, situato all’interno della Cisgiordania occupata. Israele afferma che il campo si trova a ovest della linea di armistizio del 1948, ma la maggior parte del bacino si trova sotto il territorio palestinese occupato dal 1967.

Più di recente, Israele ha iniziato a sviluppare nuovi giacimenti di petrolio e gas nel Mediterraneo orientale, unicamente a proprio vantaggio.

Nel requisire e sfruttare le risorse di petrolio e gas palestinesi, Israele sta agendo in violazione della carta e dello spirito dei Regolamenti dell’Aia, della Quarta Convenzione di Ginevra e di un organo di diritto internazionale umanitario e dei diritti umani che affronta lo sfruttamento delle risorse comuni da parte di una potenza occupante, senza tener conto degli interessi, dei diritti e delle quote della popolazione occupata.

La comunità internazionale ha finora promesso 860 milioni di dollari (722 milioni di euro) per la ricostruzione di Gaza dopo il recente assalto ma, anche prima dell’ultima aggressione militare, l’UNCTAD stima che sarebbe costato un minimo di 838 milioni di dollari (704 milioni di euro) all’anno per far uscire la popolazione di Gaza dalla povertà. Una quota equa dei proventi del petrolio e del gas fornirebbe ai palestinesi finanziamenti sostenibili da investire nella ricostruzione, riabilitazione e ripresa economica a lungo termine. L’alternativa è che queste risorse comuni vengano sfruttate individualmente ed esclusivamente da Israele e diventino un altro fattore scatenante di conflitti e violenze.

Naturalmente, una ripresa economica e una soluzione politica sostenibili vanno di pari passo. L’ONU mantiene la sua posizione di lunga data secondo cui una pace duratura e globale può essere raggiunta solo attraverso una soluzione negoziata a due Stati. L’ONU continua ad adoperarsi per la creazione di uno Stato di Palestina indipendente, democratico, contiguo, sovrano e vitale, che esista in pace e sicurezza con Israele. La sopravvivenza economica di uno Stato palestinese dipenderà dalla capacità dei palestinesi di controllare la propria economia e di avere un accesso equo alla loro quota di riserve di petrolio e gas in Palestina.

Mahmoud Elkhafif – Coordinatore, Unità Assistenza al Popolo Palestinese, UNCTAD

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org