La voce di chi non si arrende… Emel Mathlouthi e il richiamo all'”Arte Rivoluzionaria”

“Odio la parola ‘élite’ in particolare. Le parole “musica” ed “élite” non si mescolano nello stesso contesto, soprattutto perché la musica in cui crediamo e su cui lavoriamo è una musica molto istintiva, piena di spontaneità ed emozioni”.

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Mahmoud Al Sharaan – 17 novembre 2021

I suoi testi presentano i messaggi che vuole trasmettere, non ciò che il pubblico chiede. Crea per sè stessa un ritmo speciale che la rende felice. Si presenta come tunisina, araba, amazigh, russa e francese, in una diversità che si riflette nella sua arte e nella sua presenza. Non una singola identità fissa. Non una parola unica. Non un solo ritmo monotono… Piuttosto, un insieme di idee provenienti da tutte le direzioni geografiche e intellettuali che si ribellano in modo artistico contro tutto ciò che è tradizionale.

Nell’inverno 2015, l’artista Emel Mathlouthi salì con calma sul palco della città di Oslo alla cerimonia del Premio Nobel per la pace, tra lo stupore del pubblico e l’attesa dei tunisini.

Con il suo primo “distico”, il coinvolgimento del pubblico aumentò. Cantava, deliziando tutti: “Io sono le persone libere che non temono mai / sono i segreti che non moriranno mai / sono la voce di chi non si arrende / sono il significato nel caos / sono il diritto di tutti gli oppressi”

La sua esibizione raccolse calorosi applausi dal pubblico e lodi dalla stampa internazionale. Questa canzone, secondo Emel, è come “una fiamma sempre accesa, non importa quanti anni passano, rimane lì”.

Non importa quanto cerchi di non cantarla ai suoi concerti, la gente la chiede sempre. Questa canzone è stata una svolta nella sua vita artistica e, secondo lei, incarna il vero significato dell’arte.

Nel 1982, all’età di quindici anni, Emel muove i primi passi artistici. Fonda una band heavy metal, essendo una grande fan di questo tipo di musica, ma ascolta anche canzoni di Sheikh Emam, Fairuz e Umm Kulthum, oltre alla musica di Beethoven, musica dall’India, dall’Iran e da vari paesi europei. Legge anche Naguib Mahfouz, Dostoevskij e altri. Crede che un artista debba ascoltare tutto.

Nel 2004, si separa dalla band e inizia a scrivere canzoni politiche. La sua famosa canzone “Ya Tounes Ya Meskina” (Povera Tunisia) la porta alle finali del “Monte Carlo Radio Award for Arabic Music”, un premio per incoraggiare nuovi talenti nel campo della musica e del canto in diversi Paesi arabi.

Nella sua canzone, incita alla rivoluzione, inviando un duro messaggio politico: “Dicono che temono solo Dio / Quando sono cresciuta e davanti al mondo ho aperto gli occhi / ho scoperto che temevano tutto tranne Dio / La paura è nelle ossa / Vivono in silenzio ”.

 Una star e una sensazione, Emel Mathlouthi ha introdotto un nuovo genere di musica araba, associato al potere e alla speranza della primavera araba. I concerti di Emel sono spettacolari e stimolanti, al punto che la Tunisia ha vietato la sua musica.

Due anni dopo, il governo tunisino bandisce le sue canzoni dalle trasmissioni radiofoniche e televisive, il che la spinge a trasferirsi in Francia. Nonostante il divieto, i video delle sue esibizioni si diffondono in tutta la Francia  tramite Internet, il che aumenta  la sua popolarità, visto che “il frutto proibito è il più dolce”.

Secondo lei, la decisione di vietarle di cantare in Tunisia è stata “una questione molto delicata e il prezzo più alto che ho pagato”. Crede di continuare a pagarne il prezzo anche oggi, soprattutto perché non è in grado di comunicare in modo permanente con il suo pubblico tunisino. “La mia anima è in Tunisia, il luogo dove sono nata e cresciuta. È una questione molto delicata e sento che è uno dei tanti prezzi che ho pagato”, afferma.

“Odio la parola ‘élite’ in particolare. Le parole “musica” ed “élite” non si mescolano nello stesso contesto, soprattutto perché la musica in cui crediamo e su cui lavoriamo è una musica molto istintiva, piena di spontaneità ed emozioni”.

Dopo la rivoluzione dei gelsomini in Tunisia iniziata nel dicembre 2010 e al successivo rovesciamento di Zine El Abidine Ben Ali, Emel attira l’attenzione del pubblico, poiché le sue canzoni sono diventate inni della rivoluzione, in particolare la canzone “Kalimati Hurra” ( My Word is Free),  una miscela di ritmi elettronici e toni tradizionali. L’ha eseguita tra i rivoluzionari in Habib Bourguiba Avenue, nella “Piazza della Rivoluzione”.

Entrare in politica non l’ha spaventata. Pensa che un artista debba essere “libera e libera”. Sovranità e governo, secondo lei, appartengono al popolo, e ciò che è stato rotto in passato non dovrebbe essere riparato, tanto più che le persone non accettano più scelte sbagliate.

Afferma: “Abbiamo ereditato grandi cose negli ultimi dieci anni, il che ci spinge a continuare a lottare e lottare. La dittatura è finita e non deve tornare”. Invita inoltre le donne a ribellarsi contro sè stesse.

Continua la sua ascesa artistica, dedicando la sua arte a cause politiche. “Dobbiamo ancora sentire il dolore degli altri, questo è ciò che ci impedisce di soccombere alla disumanizzazione, questo è il mio punto principale”, dice,  affermando che la sua arte si occuperà sempre delle questioni pubbliche e dei problemi e delle preoccupazioni delle persone, soprattutto perché crede che l’artista abbia un ruolo nello sviluppo delle opinioni e delle idee e che debba stimolare la mente del pubblico, farlo sognare, far crescere la sua immaginazione, aumentare le sue aspirazioni e fargli “vedere cose che non ha mai visto prima .”

“L’arte è una macchina della coscienza”. L’artista, secondo lei, è l’unico che ha la capacità di parlare delle preoccupazioni e dei problemi della gente, un ruolo che allo stesso tempo comporta responsabilità, e quindi “l’artista deve essere libero affinché possa dare qualcosa di reale.” Dice: ” Personalmente, sono libera al 100%. Molte cose mi tolgono la libertà. Ma io sono veramente libera”.

Emel, il cui nome significa speranza, ha portato il suo messaggio umanitario nelle sue canzoni, attraverso l’arte. Nella sua canzone “Ensan Daeef” (Weak Human), parla della pressione e dell’oppressione a cui le persone in generale sono soggette. In “Kaddesh”, parla della crudeltà dell’uomo sull’uomo.

La canzone più vicina al suo cuore è “Fi Kul Yom” (Everyday). I suoi testi sono composti con un enorme sforzo ma con una grande forza. Ricorda di aver recitato i suoi testi di fronte al poeta palestinese Samih Al-Qasim. “L’amarezza non è inevitabile, non è inevitabile l’amarezza per noi?” Al-Qasim rispose : “No, l’amarezza non è inevitabile per noi. Nonostante la violenza e gli eventi negativi, rimane un barlume di speranza e ottimismo».

“È importante che il mondo arabo abbia un’arte libera o rivoluzionaria in ogni senso della parola e a tutti i livelli: nel ritmo, nella forma, nella melodia e nei testi”.

Canta nella canzone “Ogni giorno”: “Ogni giorno, la primavera abbandona un cuore e un uccello nel cielo muore. Ogni giorno, la vita ci ruba una nuova speranza, piangiamo gioia, piangiamo gioia, piangiamo gioia ogni giorno, ogni giorno. Ogni giorno l’uomo seppellisce un pensiero, e un’anima scompare nella caverna della vita, nella caverna della vita, ogni giorno, ogni giorno. Questa è la realtà del vivere, questa è la realtà del vivere, quindi perché andiamo avanti? Perché andiamo avanti? L’amarezza non è inevitabile? L’amarezza non è inevitabile per noi? Ogni giorno, la vita ci svela un segreto e ci guida con una luce che fa breccia tra le nuvole, fa breccia tra le nuvole. Ogni giorno, ogni giorno sorge il sole, il sole”.

I messaggi che Mathlouthi porta nelle sue canzoni hanno scioccato una parte del pubblico arabo. Alcuni non l’hanno accettata come nuovo tipo di arte, cosa che è stata una sfida per lei, una sfida che esiste ancora, soprattutto perché alcuni le dicono: “La tua musica non è elitaria”. In risposta, dice: “Odio la parola ‘élite’ in particolare. Le parole “musica” ed “élite” non si mescolano nello stesso contesto, soprattutto perché la musica in cui crediamo e quella su cui lavoriamo è una musica molto istintiva, spontanea e piena di emozioni”.

Le difficoltà che Emel ha dovuto affrontare all’inizio della sua carriera artistica le hanno impedito di essere conosciuta in Tunisia e in Medio Oriente, con il suo talento molto più popolare in Occidente. Ma questo è cambiato durante la primavera araba, poiché quel periodo le ha dato speranza.

Ricorda di essere andata all’annuale “El Gouna Film Festival “ in Egitto, dove è presente l’arte tradizionale. “Il pubblico era diverso. Erano tutti attori, e io non ero molto coinvolta in quel mondo, perché ero indipendente. Ho sentito di aver ricevuto un grande rispetto dagli artisti al festival, ho sentito che mi amavano per il mio stile, perché sono diversa, e questo è l’obiettivo della mia vita: fare la differenza”, dice.

Tuttavia, ogni  scelta ha un prezzo. Il prezzo dell’indipendenza di Emel è che trova molto difficile scegliere le sue canzoni. Durante la sua carriera, non le piaceva salire sul palco e cantare una canzone in cui non credeva, che non amava o che non corrispondeva al suo modo di pensare. Crede che l’artista debba essere onesto con sè stesso e con il suo pubblico, perché gli viene data fiducia e deve essere degno di quella fiducia.

Sente che la gioventù araba di oggi accetta maggiormente il suo tipo di musica, e che le cose stanno iniziando a cambiare nel mondo arabo, ma la maggior parte della nostra arte popolare è ancora dello stesso tipo, sia alla radio, televisione o festival.

Nonostante quanto sopra, c’è nuova musica nella regione araba: “Cantare musica elettronica, suonare la chitarra e parlare al pubblico in arabo è qualcosa di speciale che commuove le persone e le rende molto entusiaste, ma è più difficile e richiede più lavoro.”

 Emel Mathlouthi insiste che è importante che il mondo arabo abbia un’arte libera o rivoluzionaria in ogni senso della parola e a tutti i livelli: nel ritmo, nella forma, nella melodia e nei testi”. Questo è ciò a cui lei stessa aspira con la sua musica.

Emel insiste che è importante avere nel mondo arabo un’arte libera o rivoluzionaria in ogni senso della parola e a tutti i livelli: nel ritmo, nella forma, nella melodia e nei testi. Questo è ciò a cui lei stessa aspira.

Cerca di interagire con l’ambiente sociale che le assomiglia e sente che l’artista dovrebbe essere presente in tutti i suoi luoghi non solo come artista, ma come parte della sua società, soprattutto perché l’arte viene dalla natura o dall’istinto. Il rapporto umano con l’arte, la poesia, la musica e la danza è un’esigenza istintiva, quindi si rallegra quando l’arte è integrata nell’azione sociale o politica. “Ci deve essere una relazione complementare tra l’arte e la vita nel suo insieme”, dice.

“Nel mondo arabo, a causa della dittatura, preferiamo il tradizionale al nuovo e all’innovativo che richiedono rinnovamento e sviluppo. Ma alla fine, un’idea è come il bagliore di una stella che non si può spegnere”, dice, poiché tutto inizia con un’idea semplice e poi quest’idea cambia la realtà generale”.

Riguardo ai suoi progetti futuri, Emel afferma che il suo prossimo album sarà completamente diverso, in quanto sarà femminista e porterà il suo sostegno per le questioni femminili, e tutti i partecipanti saranno donne, incluse paroliere, compositrici e produttrici.

Nell’incontro che ha riunito Emel e Raseef22 ad Amman, a margine della sua partecipazione alla cerimonia di chiusura del concorso iValues-2021, progetto lanciato per la prima volta dalla tedesca “Friedrich Naumann Foundation for Freedom” con l’obiettivo di “Ripensare la politica nella regione mediorientale” Emel, l’artista, madre e ribelle contro l’ingiustizia, invia un messaggio di amore e rispetto al pubblico arabo che l’ha più volte sostenuta, e spera in un futuro in cui fioriscano libertà, arte e creatività, lontano da guerre, distruzioni e disastri.

 

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictpalestina.org