Di fronte al terrore perpetuo, Gaza reagisce all’oppressione

Un palestinese chiede in quanti ancora dovranno morire.

Fonte: english version
Di Refaat Alareer – 12 agosto 2022

Immagine di copertina: Mohamed alNaccar, 12 anni, è stato colpito all’occhio da una granata di gas lacrimogeno sparata da un soldato israeliano durante le proteste della Grande Marcia del Ritorno a Gaza nel gennaio 2019. Credito: ABED ZAGOUT/AGENZIA ANADOLU/GETTY IMMAGINI

Nel 1985, quando frequentavo la prima elementare, fui svegliato da un rumoroso trambusto al piano di sotto. Era buio pesto. Sentivo mia madre singhiozzare. C’erano donne che la confortavano. Non avevo mai sentito mia madre piangere.

Quando sono sceso di soppiatto per vedere cosa stava succedendo, ho scoperto che la vecchia Peugeot 404 color mogano di mio padre aveva i parabrezza anteriore e posteriore in frantumi, la portiera del passeggero era spalancata e c’era sangue ovunque. Mio padre era tornato a casa quella sera dal lavoro, e c’era il suo socio in affari alla guida. Mentre attraversavano il valico militare di Nahal Oz da Israele alla Striscia di Gaza, dal nulla, una tempesta di proiettili ha colpito la loro auto. Fu nel mezzo di quella discussione che udii per la prima volta le parole “esercito”, “Israele”, “ebrei” e “sparatoria”.

Il dito di un soldato assonnato è scivolato e ha premuto il grilletto? Ha sparato all’auto per divertimento? Non era dato saperlo. Non c’è stata alcuna indagine. E nessuno è stato ritenuto responsabile.

Mio padre è stato ferito nell’attacco e ha dovuto fare i conti con la scheggia del proiettile che è rimbalzato e lo ha colpito la spalla. Per decenni, soprattutto con il freddo, ha sofferto di una sorta di dolore fantasma. Nostro padre è stato quasi ucciso. Vado ancora a controllare i membri della mia famiglia ogni volta che sento sparare fuori. Ogni volta che mi viene chiesto di ricordare quei momenti, ricordo le parole confortanti delle donne nella mia casa: “Passerà”.

Sorriso da stregatto

Quattro anni dopo, me ne stavo per conto mio nel cortile della scuola, quando una grossa pietra mi ha colpito alla testa. Sono svenuto per un po’ di tempo. Poi, sanguinando copiosamente, mi premetti la mano sinistra sulla testa per fermare l’emorragia. I ragazzini erano tutti intorno a me, tutti indicando l’adiacente casa di quattro piani il cui tetto era stato occupato dai soldati israeliani come postazione militare.

Il soldato israeliano che ha lanciato la pietra sorrideva da un orecchio all’altro, un sorriso che ricordava Stregatto, il gatto del Cheshire di Alice nel Paese delle Meraviglie. Il dottore che ha medicato la ferita continuava a confortarmi: “Non è niente.  Passerà”.

All’inizio della mia vita, ho imparato una cosa fondamentale sull’occupazione israeliana: la migliore linea d’azione, indipendentemente dal fatto che tu lanci o meno pietre, è correre quando vedi i soldati, perché prendono di mira chiunque, indistintamente, anche se non hai fatto nulla e ti fai gli affari tuoi, se i soldati ti prendono, ti picchieranno o (peggio) ti arresteranno, ecco perché Israele ha ucciso molti più civili che combattenti per la libertà.

Non sono mai stato preso in vita mia. Mi hanno sparato tre volte con proiettili di gomma e sono stato picchiato solo quando i soldati hanno fatto irruzione nella nostra casa. Hanno schiaffeggiato me, i miei fratelli e i miei cugini decine di volte perché, quando hanno controllato, i nostri cuori battevano a mille, segno che stavamo correndo e forse lanciando pietre. Avevamo tra gli 8 e gli 11 anni allora. Avevamo sempre il batticuore.

Quando sono diventato un orgoglioso lanciatore di pietre all’età di 12 anni, la cosa che temevo di più era l’ira di mio padre. Ha lavorato in Israele come operaio, e se mi avesse sorpreso a lanciare pietre, mi avrebbe rimproverato. Mio padre non era cattivo o violento. Sapeva solo che se le forze israeliane mi avessero preso, avrebbe revocato il suo il permesso di lavoro. Sono sopravvissuto alla Prima Intifada (1987 – 1993), in cui Israele ha ucciso più di 1.300 palestinesi e ne ha feriti migliaia. Sono stato fortunato a essere sfuggito ai proiettili di Israele e alla politica “Rompi Ossa” di Yitzhak Rabin.

Non andò così bene alla mia amica Lewa Bakroun, allora tredicenne, che è stata inseguita da un colono israeliano che gli ha sparato a bruciapelo davanti ai suoi compagni di classe. Il colono israeliano non voleva punire Lewa per aver lanciato pietre, perché Lewa non aveva fatto nulla. Il colono voleva dare una lezione a chi tirava pietre, uccidendo una ragazzina, davanti agli occhi di decine di ragazzini spaventati che tornavano a casa da scuola. E a pochi metri dalla casa di Lewa.

Le grida di sua madre risuonano ancora nelle mie orecchie.

Mentre scrivevo questo, ho chiamato l’amica, anima gemella e cugina di Lewa, Fady, per sapere la data dell’omicidio di Lewa. Fady era all’Ospedale di Shifa. Mi ha informato che Haniya, la madre di Lewa, aveva il cancro e non poteva viaggiare per farsi curare a causa dell’assedio israeliano a Gaza.

“Passerà”, confortai Fady.

“Passerà”, rispose con incertezza.

La seconda intifada

Ricordo quando sentii per la prima volta la domanda: “Quanti altri palestinesi devono essere massacrati affinché il mondo si interessi delle nostre vite?” Ho pensato, ingenuamente, che ripetere la domanda avrebbe cambiato le persone. L’ho riproposto in tutti i forum di cui facevo parte allora. Ma Israele ha continuato a massacrarci. Ero un ragazzo, e riponevo troppa fiducia sulla reazione del mondo!

Nel 2001, le forze di occupazione israeliane hanno aperto il fuoco sui contadini palestinesi nel quartiere di Shuja’iyya a Gaza, uccidendo un lontano cugino, Tayseer Alareer, mentre coltivava la sua terra. Tayseer è stato colpito dalle truppe israeliane a Nahal Oz, un kibbutz che ospitava anche una torre di guardia militare. Questa era la stessa postazione militare in cui mio padre fu ucciso nel 1985.

Tayseer era un contadino. Non era un combattente. Non era un lanciatore di pietre. Ma questo non lo ha protetto dal fuoco israeliano. Ironia della sorte, le truppe israeliane di tanto in tanto si fermavano alla fattoria di Tayseer e chiedevano ceci o una spiga di grano. Il soldato che ha ucciso Tayseer era uno di quelli a cui piacevano occasionalmente ceci o mais gratis? Non lo sapevamo. Perché la vita di Tayseer non aveva importanza e quindi non c’erano indagini sulla sua uccisione.

Tayseer ha lasciato tre bambini piccoli, una vedova disperata e una fattoria senza agricoltore. Al funerale, la gente confortava i bambini inconsapevoli. Tutti insistevano: Passerà. Passerà.

Con l’intensificarsi della Seconda Intifada, Israele ha massacrato sempre più palestinesi, alcuni dei quali erano parenti, amici e vicini di casa.

Storie di Gaza

Dopo l’Operazione israeliana Piombo Fuso (2008 – 2009), che ha causato la morte di quasi 1.400 palestinesi in 22 giorni, la vita a Gaza è diventata insopportabile mentre Israele stringeva ulteriormente il cappio. Israele ha letteralmente contato le calorie che entrano a Gaza. Il piano era di stremare i palestinesi ma senza farli morire di fame. La posta, i libri, il legname, il cioccolato e la maggior parte delle materie prime furono tutti banditi. La guerra ha reso senzatetto decine di migliaia di persone.

Ero un giovane accademico con una laurea in letteratura comparata conseguita presso il Collegio dell’Università di Londra, insegnavo letteratura mondiale e scrittura creativa presso l’Università Islamica di Gaza (UIG). Ricordo che, durante l’assalto, ho passato i 22 giorni a raccontare ai miei figli, Shymaa, Omar e Ahmed, tante storie per distrarli. Alcune erano storie che mia madre mi raccontava da bambina o variazioni delle sue storie, con i miei figli come eroi e salvatori di tanto in tanto. Anche se in sottofondo si sentivano bombe e missili, i miei figli rimasero affascinati, ascoltando i miei racconti come mai prima di all’ora. Ho passato la maggior parte del tempo cercando di assicurarmi di tenere queste sessioni di narrazione nella stanza che meno probabilmente sarebbe stata colpita dai missili israeliani vaganti. In quanto palestinese, sono stato educato alla memoria storica e alla narrazione. È sia egoistico che infido tenere una storia per se: le storie sono fatte per essere narrate e tramandate. Se tenessi una storia per me, tradirei la mia eredità, mia madre, mia nonna e la mia Patria.

Durante gli attacchi del 2008-2009 a Gaza, più bombe ha fatto esplodere Israele, più storie raccontavo. Quando le bombe interrompevano le storie, tranquillizzavo i miei piccoli.

“Passerà”, gli dicevo mentendo.

Raccontare storie era il mio modo di resistere. Era tutto quello che potevo fare. Ed è stato allora che ho deciso che, se fossi vissuto, avrei dedicato gran parte della mia vita a raccontare le storie della Palestina, rafforzando le narrazioni palestinesi e dando voce ai giovani.

Gaza tornava alla “normalità” mentre ci risollevavamo dal dolore e dall’agonia più immediati che avevano portato gli attacchi israeliani dell’Operazione Piombo Fuso. C’erano nuove vittime, case, orfani, rovine e storie da raccontare. Tornai nelle mie aule e ai miei studenti del Dipartimento di Inglese della UIG, il cui nuovissimo laboratorio altamente attrezzato era stato bombardato da Israele. Le cicatrici erano ovunque. Ogni singola persona a Gaza ha dovuto piangere una persona cara. Ho iniziato a invitare i miei amici e studenti a scrivere di ciò che hanno dovuto sopportare e a testimoniare l’angoscia che Israele aveva causato.

Ed è così che è nato Gaza Writes Back ( Gaza Torna a Raccontare)
Ho iniziato ad assegnare, e ad insegnare, ai miei studenti a scrivere racconti basati sulle realtà vissute da loro, dalle loro famiglie e dai loro amici. Gaza Writes Back è un libro di racconti scritti in inglese da giovani palestinesi di Gaza, pubblicato negli Stati Uniti nel 2014. Ma una storia o una poesia possono cambiare la mente o il cuore degli occupanti? Un libro può fare la differenza? Passerà questa tragedia, questa occupazione, questo Apartheid? Sembra di no. Pochi mesi dopo, nel luglio 2014, Israele ha intrapreso la sua più barbara campagna di terrore e distruzione degli ultimi decenni, uccidendo più di 2.100 palestinesi e distruggendo più di 20.000 case in 50 giorni.

Traduzione: https://www.lorussoeditore.it/prodotto/gaza-writes-back/

La guerra del 2014

Durante la guerra del 2014, Israele ha bombardato l’edificio amministrativo dell’UIG. I missili hanno distrutto gli uffici della Facoltà di inglese, compreso il mio ufficio dove conservavo così tante storie, compiti, fogli d’esame e potenziali progetti di libri.

Quando ho iniziato a insegnare all’ Università Islamica di Gaza, ho incontrato giovani studenti, la maggior parte dei quali non era mai stata fuori Gaza. Questo isolamento è peggiorato ulteriormente quando Israele ha stretto l’assedio nel 2006. Molti di loro non potevano recarsi in Cisgiordania per visite di famiglia, o a Gerusalemme per un semplice rituale religioso, o negli Stati Uniti o nel Regno Unito per ricerche e visite. I libri, insieme a migliaia di altri prodotti, normalmente non erano ammessi a Gaza. Il mondo deve sapere che le conseguenze di questo oscurantismo per le giovani generazioni ha conseguenze molto peggiori di quanto ci saremmo mai aspettati.

Insegnare Il Mercante di Venezia di Shakespeare è stato complicato. Per molti dei miei studenti, Shylock era irrecuperabile. Persino sua figlia lo odiava! Tuttavia, con mente aperta, ho lavorato a stretto contatto con i miei studenti per superare i pregiudizi nell’analisi dei testi letterari.

Shylock si è evoluto da un’idea semplicistica di un ebreo che voleva una libbra di carne solo per soddisfare alcuni primitivi istinti cannibalistici di vendetta in un essere umano completamente diverso. Shylock era proprio come noi palestinesi. Shylock ha dovuto sopportare molti muri religiosi e spirituali eretti da una società simile all’Apartheid. Shylock era in una posizione in cui doveva scegliere tra vivere come un subumano e resistere all’oppressione con i mezzi a sua disposizione. Ha scelto di resistere, proprio come fanno i palestinesi al giorno d’oggi.

Shylock “Non ha occhi un ebreo?”, la discussione non era più un patetico tentativo di giustificare un omicidio, ma piuttosto un’interiorizzazione di lunghi anni di dolore e ingiustizie. Non sono stato affatto sorpreso quando uno dei miei studenti ha modificato il contesto:

“Non ha occhi un palestinese? Non ha mani, organi, membra, sensi, affetti, passioni; nutrito con lo stesso cibo, ferito con le stesse armi, soggetto alle stesse malattie, guarito con gli stessi mezzi, riscaldato e rinfrescato dallo stesso inverno ed estate come un cristiano o un ebreo? Se ci pungono, non sanguiniamo? Se ci fanno il solletico, non ridiamo? Se ci avvelenano, non moriamo? E se ci fanno un torto, dovremmo non vendicarci?”

Perché Israele dovrebbe bombardare un’università? Alcuni sostengono che Israele abbia attaccato l’UIG solo per punire i suoi 20.000 studenti o per spingere i palestinesi alla disperazione. Anche se questo è vero, per me, l’unico pericolo dell’UIG per l’occupazione israeliana e il suo regime di Apartheid è che è il posto più importante a Gaza per sviluppare le menti degli studenti come armi indistruttibili. La conoscenza è il peggior nemico di Israele. La consapevolezza è il nemico più odiato e temuto di Israele. Ecco perché Israele bombarda un’università, vuole uccidere l’attitudine e la determinazione a rifiutare di vivere sotto l’ingiustizia e il razzismo.

Ma ancora una volta, perché Israele bombarda una scuola? O un ospedale? O una moschea? O un edificio di 20 piani? Potrebbe essere, come dice Shylock, “un divertimento”?

Perdita personale

Tra le persone uccise da Israele nel 2014 c’era mio fratello Mohammed. Israele ha reso la moglie vedova e orfani i suoi due figli, Raneem e Hamza. Israele ha anche ucciso quattro membri della mia famiglia allargata. La nostra casa di famiglia è stata distrutta, così come le case dei miei zii e dei miei parenti. Nusayba ha perso suo fratello, suo nonno e suo cugino. Ma il massacro più orribile è avvenuto quando le bombe hanno colpito la casa della sorella di mia moglie. Israele ha ucciso la sorella di Nusayba, tre dei suoi figli e suo marito, lasciando Amal e Abood feriti e orfani. Il resto dei membri della famiglia è rimasto ferito e ha dovuto essere estratto dalle macerie. Anche la casa del padre di Nusayba e le case dei suoi fratelli furono distrutte.

Le ferite che Israele ha inflitto al cuore dei palestinesi non sono irreparabili. Non abbiamo altra scelta che riprenderci, rialzarci e continuare la lotta. Sottomettersi all’occupazione è un tradimento per l’umanità e per tutte le lotte nel mondo.

Alla fine, nulla di ciò che fanno i palestinesi (o coloro che sostengono la Palestina) soddisferà Israele o la lobby sionista. E l’aggressione israeliana continuerà senza sosta. Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni (BDS). Lotta armata. Discorsi di pace. Proteste. Tweet. Social media. Poesia. Sono tutti terrorismo per Israele. Persino l’arcivescovo Desmond Tutu, acclamato dalla maggior parte delle persone come un paladino della giustizia non solo contro l’Apartheid in Sud Africa ma la segregazione razziale ovunque, specialmente in Palestina, è stato calunniato come un intollerante e un antisemita. La famosa attrice Emma Watson è stata attaccata e accusata di antisemitismo per aver osato pubblicare su Instagram a sostegno della solidarietà con la Palestina. Non sorprende, quindi, che Refaat Alareer o Ali Abunimah o Steven Salaita o Susan Abulhawa o Mohammed o Muna El-Kurd o Remi Kanazi siano costantemente attaccati dai provocatori sionisti che usano calunniosamente l’accusa di antisemitismo nel tentativo di zittirci. Non importa quanto debole sia la critica ai crimini israeliani o quanto debole sia il sostegno ai diritti dei palestinesi, la lobby sionista farà terra bruciata per impedirlo.

So che molti palestinesi chiedono se si può fare di più, se le persone libere possono fare di più per impedire a Israele di continuare a commettere crimini orribili contro di noi. La resistenza popolare, o la lotta armata, o il BDS, o i gruppi filo-palestinesi come Jewish Voice for Peace (Voci Ebraiche per la Pace), o gli attivisti di Black Lives Matter (Le Vite degli Afro Valgono) o gli attivisti di Indigenous Struggle (Lotta Indigena), possono fare di più per esercitare pressioni e prevenire ulteriori aggressioni israeliane, per consegnare quei criminali di guerra israeliani alla giustizia e porre fine alla loro impunità? Quando passerà? Quanti palestinesi dovranno ancora morire?

Mentre scrivo, sono esposto, nudo e vulnerabile. Rivivere gli orrori che Israele ci ha inflitto è una cosa, ma raccontare la tua vita e i tuoi momenti più intimi di paura e terrore, in cui versi il tuo cuore, è un’altra.

Quando mi è stato chiesto di scrivere per questo libro, la promessa era che avrebbe avuto effetto sul cambiamento e che le politiche, specialmente negli Stati Uniti, sarebbero state migliorate. Ma, onestamente, lo faranno?

Ha importanza una sola vita palestinese? Si, ce l’ha?

Estratto adattato da Light in Gaza: Writings Born of Fire (Riflettori su Gaza: Racconti Nati dal Fuoco), disponibile da Haymarket Books. Maggiori informazioni sull’antologia sono disponibili su: gazaunlocked​.org

Gaza Torna a Raccontare,
https://www.lorussoeditore.it/prodotto/gaza-writes-back/)

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org