Su Edward Said e i suoi nemici

Copertina – Durante la sua vita nell’impegno e con l’esempio Edward Said ha creato un particolare tipo di intellettuale pubblico che si è occupato della questione dominante del suo tempo (DPA)

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di Hamid Dabashi, 28 luglio 2020

Said impegnato con la Palestina a un livello così profondamente umanista da aiutare a globalizzare la causa e smantellare l’euro-universalismo

Anni dopo la sua prematura scomparsa, la torreggiante figura di Edward Said (1935-2003) continua a illuminare il nostro cammino mentre navighiamo in acque tempestose nella storia del mondo.

Quali sono state le origini e le ragioni alla base della sua tenace intransigenza nel dire la verità al potere, e in che modo ha permesso a un’intera generazione di pensatori critici di fare lo stesso?

L’aspetto determinante del carattere morale e intellettuale di Edward Said come portavoce principale della causa palestinese è stato il modo in cui ha definito quella fondamentale causa politica della sua e nostra generazione in termini altrettanto definitivi di altri movimenti cruciali per la giustizia in tutto il mondo.

È stato esattamente l’opposto dei nativisti che definiscono i termini della loro particolare politica a scapito degli altri. Questa identificazione con Said non è stata solo ad un livello emotivo o carismatico. Era profondamente morale e una questione di principio etico che a sua volta si traduceva in solidi termini intellettuali e teorici.

Sono stato un testimone partecipante in due importanti occasioni, solo la punta dell’iceberg, quando l’universalità dell’appello politico e intellettuale di Said era sulla scena mondiale. La prima fu nell’ottobre-novembre 2000 quando l’Accademia Italiana per gli Studi Avanzati alla Columbia University, dove Said ha insegnato per decenni fino alla sua scomparsa, ospitò l’eminente figura fondatrice della scuola di Studi subalterni, lo storico indiano Ranajit Guha, per tenere una serie di seminari.

In questo occasione, il mio illustre collega della Columbia Gayatri Spivak ed io organizzammo una conferenza di due giorni sui seminari di Guha che chiamammo “Studi subalterni in generale”. Said, presente a questa conferenza, tenne un discorso di apertura nella sua prima sessione plenaria.

Avevamo invitato i principali pensatori critici e studiosi provenienti da Asia, Africa, America Latina, Australia, Europa e Stati Uniti – e il vocabolario stesso delle nostre discussioni erano quasi interamente articolazioni varie del lavoro di Said.

In un’altra occasione, nell’aprile del 2003, pochi mesi prima della sua morte, in qualità di presidente del mio dipartimento, organizzai una conferenza internazionale in occasione del 25° anniversario della pubblicazione di ‘Orientalismo’ di Said, alla quale ancora una volta avevamo invitato eminenti studiosi, letteralmente dai quattro angoli del mondo, con Said che avrebbe tenuto le osservazioni conclusive.

Anche in questa conferenza fummo tutti testimoni del modo in cui la centralità fondamentale di ‘Orientalismo’ di Said abbia avuto risonanza globale, forse anche al di là delle sue iniziali aspettative. Si poteva vedere come le opere di pensatori critici, da Nietzsche a Gramsci ad Adorno a Fanon, fossero tutte arrivate a compimento nel lavoro di Said.

Diffamare Said

Condivido questi ricordi per sottolineare il mio suggerimento che gran parte del mondo civilizzato e colto, il mondo moralmente e politicamente attento e coscienzioso, ha ragioni per conoscere, amare e ora ricordare e ammirare Said per obiettivi interni ai propri progetti politici.

 

Un manifestante palestinese mostra il segno della vittoria durante una manifestazione in cui i palestinesi chiamano per una “Giornata della collera” il 1° luglio (AFP)

 

Said naturalmente aveva la sua parte di nemici giurati, forze nefaste investite nella ricerca, vana, di diffamarlo. Di recente mi sono imbattuto in un altro di questi pezzi da quattro soldi, questa volta su Newsweek, fra tutti i posti possibili.

Scopriamo che la pagina delle opinioni di Newsweek è diventata un territorio occupato da un editore filo-israeliano che sta usando questo forum per promuovere odio verso arabi e musulmani (in particolare palestinesi), per diffamare l’insurrezione di Black Lives Matter e cercare di assicurarsi altri quattro anni della malvagia follia di Trump, tutto perché gli israeliani possano rubare il resto della Palestina in un atto finale di rapina a mano armata.

Tutti questi pezzi condividono un errore comune: stanno tutti abbaiando all’albero sbagliato. Said non è dove stanno abbaiando. È da qualche altra parte.

Umanità condivisa

Durante la sua vita, nell’impegno e con l’esempio, Edward Said ha creato un particolare tipo di intellettuale pubblico che si è occupato della questione dominante del suo tempo, per lui focalizzata sulla questione delle aspirazioni nazionali palestinesi, in termini universali non eurocentrici.

È questo senso cruciale di umanità condivisa che ha portato la Palestina nell’epicentro del dialogo globale. Said si è impegnato con la Palestina a un livello così profondamente umanista da contribuire a globalizzare la causa palestinese in termini che avrebbero smantellato l’euro-universalismo che aveva sfidato con gran parte del suo lavoro accademico.

Due grandi tendenze intellettuali sono decisive per gran parte della scena americana del 20° secolo – altrimenti priva di qualsiasi tradizione intellettuale nostrana: gli intellettuali immigrati ebrei degli anni ’30 e successivi, e gli intellettuali afro-americani dell’Harlem Renaissance e dopo, con Hannah Arendt e James Baldwin come principali esempi di ciascuno.

Nel primo caso, gli Stati Uniti sono diventati i beneficiari delle atrocità omicide dei nazisti in Europa, e nel secondo, la scena stessa è stata abbellita dalle vittime di un razzismo terrorizzante che aveva preso di mira gli afro-americani con una svolta epocale nell’immaginazione morale e intellettuale di una nazione,

L’intellettuale nell’esilio

Come erede di queste due tradizioni, il successo di Said nel corso della vita è di aver creato una posizione per un diritto intellettuale arabo o musulmano o immigrato tra queste due potenti tradizioni, tra Arendt e Baldwin, per così dire. Lo stesso Edward Said non la vide in quel modo, poiché si identificava profondamente con il filosofo ebreo tedesco Theodor Adorno, e si considerava in esilio e quindi teorizzava la condizione di esilio.

Ma all’ombra di questa categoria di intellettuali esiliati sono emersi ovviamente gli informatori nativi come Fouad Ajami. Molto più esatto è vedere Said come la globalizzazione di una nuova categoria di intellettuale organico da qualche parte tra l’ebreo immigrato e gli intellettuali afroamericani senza poteri.

È proprio questa posizione iconica di Said all’interno di un’esperienza unicamente americana a turbare profondamente i sionisti razzisti, che pensavano di avere le spalle coperte dal mercato americano per le loro malvagie ruberie in Palestina. Proprio nel cuore dell’impero che continuano a mungere per armi e protezione politica è emersa una voce singolarmente potente: Edward Said.

Certo, lo odiano per vendetta, proprio per quelle stesse ragioni per cui il mondo in generale lo ama e lo ammira profondamente. “Accusano” Edward Said di aver ispirato aspetti dell’insurrezione di Black Lives Matter.

Questa non è un’accusa. Questo è un motivo per festeggiare.

Naturalmente Said è stato fonte d’ispirazione per gli afroamericani nelle loro storiche lotte per la giustizia e oggi, in figure giustamente famose come Angela Davis, Cornel West, Alice Walker e Eddie S Glaude Jr, sentiamo forte e chiaro gli echi della voce di Said e del modo in cui ha esteso il potere del suo intelletto carismatico al movimento Black Lives Matter.

E nessun arabo, nessun palestinese, nessuno in Asia, Africa e America Latina che si preoccupi ugualmente della giusta causa di neri e palestinesi potrebbe essere più orgoglioso di Said per questo ruolo fondamentale.

 

Hamid Dabashi è Hagop Kevorkian Professor di Studi iraniani e Letteratura Comparata alla Columbia University nella città di New York. I suoi ultimi libri includono Reversing the Colonial Gaze: Persian Travelers Abroad (Cambridge University Press, 2020), e The Emperor is Naked: On the Inevitable Demise of the Nation-State (Zed, 2020). Il suo prossimo libro, On Edward Said: Remembrance of Things Past, dovrebbe essere pubblicato da Haymarket Books entro la fine dell’anno.

 

 

Traduzione: Simonetta Lambertini-invictapalestina.org

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