I cineasti boicottano il pinkwashing israeliano del TLVFest

Più di una dozzina di registi hanno sostenuto l’appello palestinese volto a boicottare il TLVFest, il Festival Internazionale del Film LGBTQ di Tel Aviv sostenuto dal governo.

Fonte: English Version

Tamara Nassar – 14 novembre 2020

Immagine di copertina: La schermata del sito web del TLVFest del 2 novembre mostra il ministero degli Affari strategici israeliano elencato come uno dei principali sponsor del Festival internazionale del film LGBTQ di Tel Aviv, sostenuto dal governo. (Screenshot tramite PACBI)

Più di una dozzina di registi hanno sostenuto l’appello palestinese volto a boicottare il TLVFest, il Festival Internazionale del Film LGBTQ di Tel Aviv sostenuto dal governo.

Sei dei registi si sono anche uniti a 170 altri artisti da tutto il mondo che hanno firmato un impegno lanciato all’inizio di quest’anno per boicottare il festival.

Il TLVFest, che si terrà nel mese corrente, quest’anno ha rafforzato il suo abbraccio al governo israeliano di estrema destra, in particolare al ministero degli affari strategici.

Il ministero è l’agenzia principale nello sforzo globale di Israele per diffamare e sabotare il movimento per i diritti dei palestinesi nel mondo.

Il TLVFest è una pietra angolare della strategia di propaganda israeliana nota come pinkwashing.
Questo schiera la presunta  apertura di Israele verso le questioni LGBTQ per deviare le critiche dai suoi abusi dei diritti umani e dai crimini di guerra contro i palestinesi.

Il pinkwashing mira anche a presentare falsamente Tel Aviv come un luogo sicuro per i palestinesi che cercano relazioni omosessuali, mentre esagerano o mentono sui pericoli che essi devono affrontare nella loro stessa società.

La strategia è tipicamente rivolta al pubblico liberale occidentale.

Sponsorizzazione del Ministero

Il multimilionario Ministero degli Affari Strategici è uno dei principali sponsor del Festival.

Gestito da ufficiali delle agenzie di spionaggio israeliane, intraprende una guerra globale contro il BDS – il movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni.

Quando i primi registi hanno iniziato a ritirarsi, il TLVFest ha cercato di nascondere la sua partnership con il Ministero oscurando il suo logo sul sito web del Festival.

“Ha prima sostituito la versione inglese del logo del ministero con una versione ebraica, poi l’ha rimossa del tutto solo per sostituirla di nuovo con un logo senza marchio”, ha detto la Palestinian Campaign for the Academic and Cultural Boycott of Israel (PACBI).

Ma il sostegno del Ministero al festival è ancora  in corso, nonostante gli sforzi per nasconderlo.

Il ministero, ad esempio, sta ancora caricando video teaser del festival sul suo canale YouTube.

Partnership

Diversi governi europei stanno sponsorizzando il Festival.

Le ambasciate europee solitamente partecipano anche all’altro grande evento di pinkwashing di Israele, l’annuale Pride Parade di Tel Aviv.

TLVFest collabora anche con Creative Community for Peace, un gruppo di facciata dell’organizzazione di lobby israeliana di estrema destra StandWithUs.

Il suo scopo è minare l’appello della società civile palestinese al BDS, soprattutto tra coloro che si identificano come LGBTQ.

In un’e-mail vista da The Electronic Intifada, Creative Community for Peace ringrazia i registi rimasti nel Festival.

Il direttore del gruppo, Ari Ingel, sostiene che il movimento BDS “sta diffondendo bugie su di noi”.

“Posso assicurarvi che non siamo allineati con nessuna di quelle organizzazioni citate”, ha aggiunto Ingel, senza nominare le organizzazioni a cui si riferiva.

“Siamo più che felici di chattare e rispondere a qualsiasi domanda voi possiate avere”, ha detto Ingel agli artisti.

Tuttavia, questo atteggiamento amichevole non viene mostrato agli artisti che si sono ritirati dal Festival.

Gli organizzatori del TLVFest si sono rifiutati di onorare le richieste di sette registi che hanno chiesto il ritiro dei loro film.

L’email di Ingel menziona che un film che il festival sta proiettando è The Polygraph, realizzato da Samira Saraya, una cittadina palestinese di Israele.

Non è la prima volta che Saraya partecipa al TLVFest e ad altri festival cinematografici israeliani.

Così Saraya ha descritto se stessa: “una palestinese-israeliana che vive in un luogo che nega la mia esistenza, e una donna lesbica araba in una società conservatrice e omofobica”.

Saraya contribuisce alla falsa narrativa israeliana secondo cui la società palestinese è intollerante nei confronti delle relazioni omosessuali o LGBT, mentre la società israeliana non lo è.

Al di fuori della presunta Tel Aviv liberale, gran parte della società ebraica israeliana considera l’omosessualità un tabù. Essa è condannata anche da rabbini israeliani di alto livello.

Anche la comunità LGBTQ di Israele è stata bersaglio di attacchi violenti.

Nel 2014, i riservisti della famigerata unità militare di sorveglianza 8200 di Israele hanno ammesso di aver utilizzato i dati privati ​​più intimi dei palestinesi, comprese le informazioni sulle loro attività sessuali, per ricattarli e farli diventare informatori di conoscenti e familiari ricercati da Israele.

È anche degno di nota il fatto che la stragrande maggioranza dei palestinesi e degli arabi che intrattengono relazioni omosessuali non si identifichi secondo il binario euro-americano omosessuale-eterosessuale, come ha ampiamente scritto il professore della Columbia University Joseph Massad.

Inoltre, i rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso non sono illegali secondo la legge palestinese.

 

Trad: Lorenzo Poli “siamo realisti, esigiamo l’impossibile” – Invictapalestina.org

 

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