L’infanzia rubata dei bambini palestinesi

Quando aveva 6 anni, Sujoud ha subito lesioni alla testa quando è stata aggredita da uomini mascherati.

Fonte: english version

Di Galia Oz – 2 luglio 2021 

Foto di copertina: Sujoud ferita alla testa di quando aveva sei anni. Credito: Haaretz

Sujoud ha 12 anni e racconta alla telecamera, in modo concreto, di un uomo che si è avvicinato a lei e ai suoi amici in modo minaccioso mentre andavano a scuola nel villaggio adiacente di A-Tuwani, nelle colline della Cisgiordania, a sud di Hebron. Quando aveva 6 anni, ha subito lesioni alla testa quando è stata aggredita da uomini mascherati. Quando le viene chiesto se pensa ancora a quello che è successo allora, lei risponde: A volte. Non sempre.

Il Primo Ministro incriminato è stato destituito e i manifestanti che picchettavano fuori da casa sua se ne sono andati, ma Sujoud sta ancora aspettando che sventoliamo per lei la bandiera nera del movimento di protesta. I volontari dell’organizzazione per i diritti umani Machsom Watch mi hanno invitato a vedere l’ultima ingiustizia nell’appezzamento di Sujoud in Cisgiordania: barriere di cemento poste all’ingresso di A-Tuwani durante l’ultima violenta offensiva israeliana contro Hamas nella Striscia di Gaza. L’esercito non si è accontentato di questo e ha schierato un bulldozer corazzato Caterpillar D9 che ha reso impraticabile l’impervia strada sterrata.

A-Tuwani fa parte di un gruppo di villaggi palestinesi i cui residenti sono stati recentemente attaccati da coloni ebrei, con l’attivo incoraggiamento delle Forze di Difesa Israeliane. Sabato, i coloni hanno dato fuoco a un annesso agricolo e ferito alla testa a una persona. I rivoltosi si sono scatenati indisturbati e sono stati filmati mentre si preparavano a lasciare l’area in un minibus in attesa. Un video li mostra lanciare pietre contro gli abitanti del villaggio mentre i soldati israeliani stanno a guardare. A differenza degli assalitori di Sujoud, questi non erano mascherati. Alcuni indossavano camicie bianche, come se partecipassero a un gigantesco Oneg Shabbat.

Tutto questo è noto e familiare, così come la storia di Sujoud, che ho incontrato durante la mia visita. Non c’è nulla di nuovo qui. Tuttavia, lei è la figlia di tutti, e noi siamo tutti i suoi genitori. Dal 2004, l’esercito ha scortato i bambini dal suo villaggio, Tuba, alla loro scuola ad A-Tuwani, per proteggerli dai coloni dell’avamposto dell’insediamento di Havat Maon. Quando i soldati non arrivano, questa nostra figlia viene minacciata e aggredita. Quando sono in ritardo, perde una lezione.

Negli anni ’70 lo Stato ha dichiarato l’area in cui vive una zona di fuoco e nel 1999 gli abitanti sono stati espulsi dalle loro case. Gli sono state restituite solo su ordine dell’Alta Corte di Giustizia, ma fino ad oggi lo Stato si rifiuta di collegare i villaggi alla rete elettrica, e ogni giorno commette crimini di guerra negando a Sujoud l’accesso all’acqua, un diritto fondamentale a cui anche i  coloni che vi risiedono illegalmente hanno diritto. Per andare ad approvvigionarsi d’acqua, suo padre guida un trattore che traina un rimorchio, un’ora e mezza in ogni direzione, dopo che i coloni di Havat Maon hanno bloccato il breve percorso.

Questa è la stessa strada che viene bloccata a sua figlia, costringendola a percorrere chilometri ogni giorno. Vedrà sorgere altri insediamenti illegali, collegati clandestinamente durante la notte alle utenze. E non le sarà permesso di protestare. A gennaio, un soldato ha sparato a un giovane in un villaggio vicino ferendolo gravemente, durante un tentativo dell’esercito di confiscare un generatore. Secondo quanto riferito, l’uomo ha cercato di trattenere il prezioso oggetto dal soldato.

Linguaggio, nomi e concetti sono stati espropriati a Sujoud. Lungo la strada dall’incrocio di Meitar ci sono grandi cartelloni recanti i nomi Carmel, Maon, Susya e Avigail. Gli avamposti in cui vivono solo centinaia di persone sono camuffati da grandi città, mentre è come se le decine di migliaia di residenti delle città di Yatta e Dahariya, le cui case sparse riempiono il paesaggio, alla vista del viaggiatore, non vivessero dovunque. Se si crede ai cartelloni, la popolazione è già stata trasferita.

Sujoud non ha controllo sul futuro mentre la sua infanzia le viene rubata, non solo dalla violenza che le viene inflitta, ma anche dal nostro persistente rifiuto di vederla. Agli occhi israeliani, non sarà mai una persona unica: adorabile, raggiante. Il caso di Eyad Hallaq ha momentaneamente infranto il muro dell’indifferenza, era un giovane palestinese con autismo, un bambino troppo cresciuto, che è stato ucciso nella Città Vecchia di Gerusalemme da un agente di polizia che da allora è stato accusato di omicidio colposo, ma la compassione è inevitabilmente una coperta corta.

Si potrebbe dire che questa è la distanza naturale tra un individuo e i figli del nemico. Sujoud, però, non è un nemico, ma piuttosto un individuo che non ha diritti. Lei è nostra figlia, collettivamente. E la verità è che nessuna sanzione minaccia chiunque commetta crimini contro di lei. “Quando i crimini si accumulano”, scrisse Bertolt Brecht, “divengono invisibili”. Questa è la corruzione senza fondo contro cui impallidiscono le cause contro l’ex Primo Ministro.

Galia Oz è una scrittrice per bambini pluripremiata e una regista di documentari. Ha vinto il Premio Levi Eshkol per le opere letterarie e le sue storie di Shakshuka sono tra le più amate della letteratura per bambini israeliana. Galia Oz vive con la sua famiglia a Ramat Hasharon.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org