Srebrenica: 27 anni dopo e ancora in lotta contro la negazione del genocidio

Nell’anniversario del massacro di Srebrenica, i sopravvissuti stanno ancora cercando i loro cari e stanno combattendo per la verità

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Ehlimana Memisevic – 12 luglio 2022

Immagine di copertina: Una donna musulmana bosniaca legge da un libro di preghiere vicino alle tombe dei suoi parenti vicino a Srebrenica, l’11 luglio 2022 (AFP)

Questa settimana ricorre il 27° anniversario del genocidio di Srebrenica, nota per essere la peggiore atrocità in Europa dalla seconda guerra mondiale. Nel luglio 1995, più di 8.000 ragazzi e uomini bosniaci musulman furono sistematicamente giustiziati in pochi giorni.

Quando le forze serbe guidate da Ratko Mladic presero il controllo di una “zona sicura” delle Nazioni Unite a Srebrenica, separarono uomini e ragazzi dalle donne e dalle ragazze e li condussero nei campi, uccidendoli e seppellendoli in fosse comuni aperte con i bulldozer.

Nel giorno dell’anniversario di quest’anno saranno seppellite 49 vittime del genocidio di Srebrenica

I rapporti suggeriscono che alcuni furono sepolti vivi, mentre altri furono costretti a guardare i loro figli mentre venivano uccisi.

Al fine di nascondere le prove, i corpi  furono dissotterrati e trasferiti con camion e scavatrici meccaniche in diverse fosse comuni “secondarie” e persino “terziarie”, ciascuna più lontana da dove erano stati originariamente sepolti.

Alcuni sopravvissuti  dovettero fingere di essere morti e nascondersi sotto ai cadaveri.

Srebrenica era considerata un rifugio da decine di migliaia di sfollati musulmani bosniaci fuggiti dagli attacchi delle forze serbo-bosniache alle loro città e villaggi nella Bosnia orientale; tra di loro vi era mio nonno materno.

La città era stata dichiarata “un’area sicura… libera da qualsiasi attacco armato o da qualsiasi altro atto ostile” nell’aprile 1993 dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Ma venne soffocata dall’assedio serbo, che controllava i rifornimenti per l’enclave, e un certo numero di bosniaci morirono di fame.

Durante l’evacuazione della maggior parte di donne e bambini, molte donne e ragazze furono portate fuori dalle file degli sfollati e violentate.

La “strada della morte”

Rendendosi conto che non sarebbero stati protetti, circa 15.000 bosniaci, principalmente uomini e ragazzi, e un piccolo gruppo di donne e bambini, formarono la cosiddetta “Colonna”. Tentando di scappare, camminarono attraverso i boschi e le montagne che circondano Srebrenica verso la più vicina area sicura di Tuzla.

Non appena la Colonna si formò, le forze serbe la bersagliarono con pesanti colpi di arma da fuoco, uccidendo centinaia di persone. La parte posteriore della Colonna si disintegrò, mentre gli uomini correvano nel bosco per ripararsi. Le forze serbe utilizzarono quindi l’equipaggiamento rubato alle Nazioni Unite per fingere di essere forze di pace e convincere gli uomini a uscire dal nascondiglio. Gli uomini che furono catturati furono costretti a chiamare i loro parenti – figli, fratelli e padri – per farli uscire da dove si erano nascosti.

Coloro che riuscirono a sopravvivere alla “marcia della morte”, a volte trascorrendo mesi nei boschi, videro lungo il percorso i corpi senza vita di centinaia di bosniaci, spesso i loro stessi fratelli, padri, parenti e vicini.

Alcuni dei sopravvissuti  dichiararono che quando raggiunsero Tuzla la cosa  più difficile fu dire alle persone che chiedevano dei loro cari che si erano uniti alla Colonna, che non sarebbero mai arrivati .

Uno dei sopravvissuti, Hasan Hasanovic, i cui due fratelli  furono uccisi nella Colonna, ha descritto uno degli agguati delle forze serbe, il 13 luglio: “Era una tempesta di proiettili, il terreno era coperto di cadaveri tanto che non c’era posto per passare. Alcune persone erano ancora vive, ma avevano perso parti del corpo, braccia e gambe.  Chiedevano aiuto. Alcuni chiedevano di essere uccisi in modo che le loro sofferenze finissero”.

Uno dei suoi fratelli, Hasib, era ancora vivo , ma fu gravemente ferito quando incapparono in un campo minato: “Il lato sinistro del suo stomaco era a pezzi. I suoi intestini fuoriuscivano”, ha detto.

Due medici, che erano tra i bosniaci in fuga, fasciarono lo stomaco di suo fratello e lui rimase in vita per altre nove ore.

Hasan lo portò sulle spalle, ma presto Hasib chiese di essere ucciso, dicendo che non poteva più sopportare il dolore: “Mentre giaceva sul mio grembo, mi guardò e disse: ‘Quando vedi mamma, dille che non ho sofferto.’ Ha detto gli dispiaceva che non avrebbe visto mio figlio.  Respirò tre volte, e morì. Quello è stato il momento più difficile della mia vita. Lo vedo e lo sento ogni giorno”, ha aggiunto.

Più vittime

Ancora 27 anni dopo, vestiti e altri effetti personali possono essere trovati nella foresta e nei prati lungo il percorso che gli uomini avevano intrapreso  per salvarsi la vita.

Vengono anche scoperti i resti delle vittime sepolte in fosse comuni, non perché le forze serbo-bosniache abbiano deciso di rivelare i siti in cui hanno dissotterrato e riseppellito i corpi, ma spesso a causa di un meticoloso lavoro forense.

Nel giorno dell’anniversario di quest’anno, saranno seppellite 49 vittime del genocidio di Srebrenica. Uno di loro è Elvir Muminovic, che aveva solo 17 anni quando scomparve nella zona di Konjevic Polje il 13 luglio 1995.

Musulmani bosniaci trasportano cofanetti contenenti i resti delle vittime del massacro di Srebrenica del 1995, al cimitero commemorativo vicino a Srebrenica, l’11 luglio 2022 (AFP)

I resti incompleti di Elvir sono stati trovati in una fossa comune nella località di Dobro Polje vicino a Kalinovik, la tomba più lontana in cui furono sepolte le vittime del genocidio di Srebrenica.

“Sono stati scaricati lungo la strada, in un burrone vicino al fiume. Probabilmente alcune delle ossa, che non sono state trovate, sono state portate via dal fiume. La parte più difficile di tutto questo è stata quando ho sentito dove è stato trovato. Perché sappiamo tutti chi era attivo in quella zona. È stata trovata solo la giacca che indossava”, ha detto Almir, il fratello di Elvir che si era unito alla Colonna ed è riuscito a sopravvivere alla “strada della morte”.

Il loro padre venne separato dalla madre a Potocari e ucciso. I suoi resti sono stati trovati in due tombe secondarie intorno a Zvornik ed è stato sepolto nel 2008.

Definire ‘genocidio’

Il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (ICTY) nel 2016 ha condannato l’ex leader serbo-bosniaco Radovan Karadzic a 40 anni di carcere per genocidio a Srebrenica, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. La condanna  è stata estesa all’ergastolo il 20 marzo 2019, quando la corte d’appello internazionale respinse i suoi ricorsi.

Questi tribunali hanno limitato l’uso del termine  “genocidio” sia in termini di tempo che di territorio. Non ci sono restrizioni simili negli altri casi di genocidio

“Come comandante supremo, ho seguito io stesso  i piani per Zepa e Srebrenica, principalmente per Srebrenica… Ho personalmente esaminato i piani all’insaputa dello Stato Maggiore, non intenzionalmente ma per coincidenza. Vidi il generale [Radislav] Krstic e gli consigliai di andare in città e proclamare la caduta di Srebrenica, e poi . . . di inseguire i turchi attraverso i boschi. Approvai quella missione radicale e non provo alcun rimorso”, ha detto Karadzic all’Assemblea serbo-bosniaca.

La stessa corte ha ritenuto l’ex comandante serbo-bosniaco, Ratko Mladic, colpevole di genocidio a Srebrenica, crimini di guerra e crimini contro l’umanità nel 2017. È stato condannato all’ergastolo, confermato nel 2021.

Le sentenze della Corte internazionale di giustizia (ICJ), dell’ICTY e della Corte di Bosnia ed Erzegovina hanno stabilito che i crimini commessi nel luglio 1995 a Srebrenica e nelle aree circostanti costituiscono un genocidio.

Questi tribunali, tuttavia, hanno limitato il genocidio sia in termini di tempo che di territorio. Non ci sono restrizioni simili negli altri casi di genocidio. Come ha sottolineato Hamza Karcic, l’unica parte del genocidio accertata giudizialmente è stata quella che non poteva essere apertamente negata.

A differenza della sentenza su Srebrenica, i tribunali internazionali hanno stabilito che le uccisioni di massa a Prijedor, Zvornik, Višegrad, Foca e nelle altre parti della Bosnia ed Erzegovina non costituivano un genocidio per gli standard legali.

Partecipanti a una cerimonia annuale di commemorazione del massacro di Srebrenica all’Aia, l’11 luglio 2022 (AFP)

Tuttavia, secondo gli standard storici, come hanno dimostrato Edina Becirevic, Samantha Power e altri rinomati studiosi, le uccisioni di massa in queste aree seguono lo schema descritto in “Ten Stages of Genocide” di Gregory Stanton, dalla classificazione e simbolizzazione fino alla persecuzione, allo sterminio e al diniego.

Inoltre, i tribunali tedeschi hanno concluso che il genocidio è stato commesso sia nel nord che nell’est della Bosnia nel 1992. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha confermato la decisione dei tribunali tedeschi secondo cui crimini coerenti con la definizione legale internazionale di genocidio si sono effettivamente verificati al di fuori di Srebrenica, nella  Bosnia del nord nel 1992.

La Corte regionale superiore bavarese ha anche stabilito che nel 1992 è stato commesso un genocidio nella regione di Foca, nella Bosnia orientale, mentre esaminava l’appello di un altro sospetto serbo, Novislav Djajic.

Tuttavia, anche questa interpretazione ristretta di genocidio viene negata e il genocidio e gli altri crimini contro l’umanità e crimini di guerra vengono oggi celebrati in tutta la Republika Srpska e in Serbia.

La crisi politica in Bosnia ed Erzegovina degli ultimi mesi, definita come la più grande “minaccia esistenziale del dopoguerra”, si è intensificata quando l’allora capo dell’Ufficio dell’Alto Rappresentante, Valentin Inzko, ha annunciato il 23 luglio 2021 la sua decisione di criminalizzare la negazione del genocidio in Bosnia ed Erzegovina, dopo una serie di tentativi falliti di incriminare la negazione del genocidio a livello statale in Bosnia ed Erzegovina.

Combattere per la verità

Nel maggio di quest’anno, il comune di Bratunac ha ordinato la ricostruzione delle mura della cooperativa agricola nel villaggio di Kravica vicino a Bratunac, uno dei luoghi di esecuzione più famosi del genocidio di Srebrenica, dove più di 1000 bosniaci, per lo più di Srebrenica, furono assassinato il 13 luglio 1995.

Ciò è stato confermato dal numero di sentenze dell’ICTY e della Corte di Bosnia ed Erzegovina. Ai rappresentanti dell’associazione delle vittime del genocidio di Srebrenica è stato più volte negato l’accesso a questo luogo durante le commemorazioni e non vi è alcun segno o targa sull’hangar stesso che parli del crimine ivi commesso.

I sopravvissuti al genocidio bosniaco devono ancora combattere un’altra battaglia: per la verità e la memoria

Tracce di fori da proiettile sui muri, unico “memoriale” dei civili bosniaci uccisi, sono già state rimosse e la ricostruzione è stata in parte finanziata dal governo della Republika Srpska.

L’attuale sindaco di Srebrenica, Mladen Grujicic, ha pubblicamente negato e minimizzato il genocidio in numerose occasioni e ha accusato l’ICTY di essersi “schierato apertamente con un popolo per imprimere un segno su un altro popolo”.

Alla celebrazione di quest’anno della Giornata della municipalità di Srebrenica, l’11 marzo, Sasa Cvjetan, un membro della famigerata unità Scorpions, condannato per crimini di guerra in Kosovo, è stato l’ospite d’onore, seduto accanto al ministro dell’Interno serbo Aleksandar Vulin. Nel luglio 1995, gli Scorpions  furono una delle unità i cui membri uccisero i prigionieri di Srebrenica davanti alle telecamere. Cvjetan ha scontato una condanna a 16 anni.

Mentre i sopravvissuti al genocidio bosniaco continuano a cercare parti dei corpi dei loro cari sparse in fosse comuni secondarie o terziarie, devono ancora combattere un’altra battaglia, quella per la verità e la memoria.

Molte madri, spesso uniche sopravvissute delle loro famiglie, sono morte senza aver mai trovato i resti dei loro figli, e l’ideologia che ha portato alla loro uccisione è ancora viva e porta nuove vittime.

Dobbiamo continuare la loro ricerca e lottare per la memoria delle vittime e il trionfo della verità. Per prendere in prestito le parole di Elie Wiesel: “Per i morti e i vivi, dobbiamo testimoniare”.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

 

Ehlimana Memisevic è una storica del diritto e studiosa di genocidio con sede a Sarajevo, in Bosnia ed Erzegovina. Lavora come assistente presso il Dipartimento di Storia del diritto e diritto comparato, Facoltà di Giurisprudenza, Università di Sarajevo. È Fulbright Visiting Scholar presso il Max Kade Center for European Studies, Vanderbilt University, Stati Uniti d’America.

 

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali”-  Invictapalestina.org