Ebrei e nazisti

Prima della traduzione/pubblicazione di questo articolo abbiamo interpellato due storici per valutare insieme l’opportunità di pubblicare  l’articolo sulla nostra pagina, dopo una lunga verifica dell’autore e della fonte abbiamo ricevuto parere favorevole, quello che segue è un documento su argomenti controversi difficilmente affrontati dai media. (Copertina Gaza 28 settembre 2018 – inserita liberamente da Invictapalestina per ricordare il massacro di 7 giovani palestinesi)

Ron Unz, 6 agosto 2018

Circa 35 anni fa ero seduto nella mia stanza del dormitorio del college a leggere attentamente il New York Times come facevo ogni mattina, quando notai un sorprendente articolo sul controverso nuovo Primo Ministro israeliano, Yitzhak Shamir.

In quei tempi ormai lontani, la Lady Grey  (ndt. The Gray Lady nickname di The New York Times) era rigorosamente una pubblicazione stampata in bianco e nero, priva delle grandi fotografie a colori di star del rap e di lunghe storie su tecniche dietetiche che riempiono quella che è oggi gran parte della copertura delle notizie, e sembrava anche essere più aspramente critica nei suoi reportage dal Medio Oriente. Circa un anno prima il predecessore di Shamir, Menacham Begin, aveva permesso al suo ministro della Difesa Ariel Sharon di convincerlo a invadere il Libano e assediare Beirut, e il conseguente massacro di donne e bambini palestinesi nei campi profughi di Sabra e Shatila aveva indignato il mondo e fatto arrabbiare il governo degli Stati Uniti. Questo alla fine portò alle dimissioni di Begin, con Shamir, il suo ministro degli Esteri, che prese il suo posto.

Prima della sorprendente vittoria elettorale del 1977 Begin aveva trascorso decenni nel deserto politico come un inaccettabile uomo di destra, e Shamir aveva un retroterra ancora più estremo, con i media mainstream americani che riportavano liberamente del suo lungo coinvolgimento in tutti i tipi di omicidio di alto profilo e attacchi terroristici durante gli anni ’40, dipingendolo come un uomo davvero malvagio.

Date le famigerate attività di Shamir, poche rivelazioni potevano scioccarmi, ma questa lo fece. Apparentemente, durante la fine degli anni ’30, Shamir e la sua piccola fazione sionista erano diventati grandi ammiratori dei fascisti italiani e dei nazisti tedeschi, e dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, nel 1940 e 1941 avevano fatto ripetuti tentativi per contattare Mussolini e la leadership tedesca, sperando di arruolarsi nelle potenze dell’Asse come loro affiliato in Palestina e intraprendere una campagna di attacchi e spionaggio contro le forze locali britanniche, per poi condividere il bottino politico dopo l’inevitabile trionfo di Hitler.

Ora, il Times chiaramente vedeva Shamir in una luce molto negativa ma mi sembrava estremamente improbabile che avrebbero pubblicato una storia così straordinaria se non fossero stati assolutamente sicuri del fatto loro. Tra l’altro, c’erano lunghi estratti dalle lettere ufficiali inviate a Mussolini che denunciavano ferocemente i “decadenti” sistemi democratici di Gran Bretagna e Francia contro cui si opponeva, e assicuravano il Duce che tali ridicoli concetti politici non avrebbero avuto alcun posto futuro nello stato totalitario sostenuto che speravano di stabilire sotto i suoi auspici in Palestina.

Come spesso accade, la Germania e l’Italia al momento erano preoccupate da questioni geopolitiche più grandi, e data la piccola dimensione della fazione sionista di Shamir, non sembra che sia mai venuto fuori molto da questi sforzi. Ma l’idea che il primo ministro dello Stato ebraico avesse trascorso i suoi primi anni di guerra come un alleato nazista non corrisposto è stato certamente qualcosa che ti si conficca nella mente, non proprio conforme alla narrativa tradizionale di quell’epoca che avevo sempre accettato.

Più sorprendente è che la rivelazione del passato pro-Asse di Shamir sembra aver avuto solo un impatto relativamente secondario sulla sua durata politica all’interno della società israeliana. Voglio pensare che qualsiasi personaggio politico americano trovato a sostenere un’alleanza militare con la Germania nazista durante la seconda guerra mondiale avrebbe avuto momenti molto difficili per sopravvivere al conseguente scandalo politico, e lo stesso sarebbe sicuramente vero per politici in Gran Bretagna, Francia, o nella maggior parte delle altre nazioni occidentali. Ma anche se ci fu sicuramente qualche imbarazzo sulla stampa israeliana, specialmente dopo che la scioccante storia aveva raggiunto i titoli internazionali, a quanto pare la maggior parte degli israeliani accolse l’intera questione senza troppi problemi, e Shamir rimase in carica per un altro anno, poi ebbe un secondo mandato, molto più a lungo termine, come primo ministro nel periodo 1986-1992. Gli ebrei di Israele apparentemente consideravano la Germania nazista in modo abbastanza diverso da quanto facesse la maggior parte degli americani, per non parlare della maggior parte degli ebrei americani.

Più o meno nello stesso periodo, un secondo intrigante esempio di questa prospettiva israeliana molto diversa nei confronti dei nazisti attirò la mia attenzione. Nel 1983, Amoz Oz, spesso descritto come il più grande romanziere israeliano, aveva pubblicato In the Land of Israel ottenendo recensioni entusiastiche. Questo libro era una raccolta di lunghe interviste a varie personalità rappresentative della società israeliana, sia moderata che estrema, con una certa copertura anche dei palestinesi che vivevano tra loro.  

Di questi profili ideologici, uno dei più brevi ma più ampiamente discusso fu quello di un personaggio politico particolarmente duro, senza nome ma quasi universalmente riconosciuto come Ariel Sharon – conclusione sicuramente supportata dai dettagli personali e dalla descrizione fisica fornita. Proprio all’inizio, quel personaggio diceva che gente del suo stampo ideologico era stata recentemente denunciata come “giudeo-nazista” da un importante accademico liberale israeliano, ma piuttosto che rifiutare quell’etichetta, la accoglieva appieno. Così il soggetto è diventato comunemente noto nel dibattito pubblico come il “giudeo-nazista.”

Che egli descrivesse se stesso in questi termini non era certo un’esagerazione, visto che piuttosto allegramente aveva sostenuto il massacro di milioni di nemici di Israele e la vasta espansione del territorio israeliano con la conquista di terre confinanti e l’espulsione delle loro popolazioni, insieme all’uso gratuito di armi nucleari se loro o chiunque altro avesse resistito con troppa energia a tali sforzi. Nella sua ardita opinione, gli israeliani e gli ebrei in generale erano troppo morbidi e mansueti, e avevano bisogno di riconquistare il loro posto nel mondo diventando di nuovo un popolo conquistatore, probabilmente odiato ma decisamente temuto. Per lui il grande recente massacro di donne e bambini palestinesi a Sabra e Shatila non ebbe alcuna conseguenza, e l’aspetto più sfortunato dell’incidente era che gli assassini erano stati i falangisti cristiani alleati di Israele invece che i soldati israeliani stessi.

Ora, un eccesso di retorica è abbastanza comune tra i politici, e una velata promessa di anonimato riuscirà ovviamente a sciogliere molte lingue. Ma qualcuno può immaginare un personaggio pubblico americano o occidentale che parla in questi termini, per non parlare di qualcuno che si muove in ambienti politici posti più in alto?

In questi giorni capita che Donald Trump su Tweets faccia a volte un grossolano errore di ortografia alle 2 del mattino e i media americani rimangono inorriditi. E dato che la sua amministrazione perde come un colabrodo, se si vantasse regolarmente con i suoi confidenti della possibilità di massacrare milioni di persone, sicuramente ne avremmo sentito parlare. Del resto, non sembra esserci la minima prova che i nazisti tedeschi originali abbiano mai parlato in privato in questo modo, figurarsi poi se un giornalista stava prendendo  accuratamente appunti. Ma i “giudeo-nazisti” di Israele sono un’altra storia.

Per quanto possa ricordare, l’ultimo personaggio minimamente importante nella vita pubblica americana che si dichiarò “nazista” fu George Lincoln Rockwell durante gli anni ’60, ed era molto più un artista di performance politiche che un vero leader politico. Anche se emarginato, un personaggio come David Duke ha sempre accanitamente negato una simile accusa. Ma apparentemente la politica in Israele si gioca con regole diverse.

In ogni caso, le presunte affermazioni di Sharon sembrano avere avuto un piccolo impatto negativo sulla sua successiva carriera politica, e dopo aver trascorso un po’ di tempo nel deserto politico dopo il disastro del Libano, alla fine ha avuto un mandato di cinque anni come Primo Ministro nel periodo 2001-2006, anche se in seguito i suoi punti di vista furono regolarmente denunciati come troppo morbidi e compromettenti a causa della costante deriva verso destra dello spettro politico israeliano.

 

Nel corso degli anni ho fatto di tanto in tanto tiepidi tentativi per rintracciare l’articolo del Times su Shamir che era rimasto a lungo scolpito nella mia memoria, ma senza alcun successo, o perché è stato rimosso dagli archivi del Times o più probabilmente perché le mie mediocri capacità di ricerca si sono dimostrate inadeguate. Ma sono quasi sicuro che il pezzo fosse suggerito dalla pubblicazione di Zionism in the Age of the Dictators di Lenni Brenner, un anti-sionista di convincimento trotskista e dalle origini ebraiche. Solo di recente ho ritrovato quel libro che racconta davvero una storia estremamente interessante.

Brenner, nato nel 1937, ha trascorso tutta la vita da irriducibile estremista di sinistra, con i suoi entusiasmi che vanno dalla rivoluzione marxista alle Black Panthers, ed è ovviamente prigioniero delle sue opinioni e della sua ideologia. A volte, questo retroterra compromette il flusso del suo testo, e i periodici accenni a “proletariato”, “borghesia” e “classi capitaliste” a volte risultano un po’ faticosi, così come la sua accettazione sconsiderata di tutte le credenze condivise comuni alla sua cerchia politica. Ma sicuramente solo qualcuno con quel tipo di fervente impegno ideologico sarebbe stato disposto a dedicare così tanto tempo e fatica per indagare su quel tema controverso ignorando le infinite denunce che ne risultarono, che inclusero anche aggressioni fisiche da parte dei partigiani sionisti.

In ogni caso, la sua documentazione sembra completamente a tenuta stagna, e alcuni anni dopo la prima apparizione del suo libro, pubblicò un volume integrativo intitolato 51 Documents: Zionist Collaboration with the Nazis, che fornisce semplicemente traduzioni in inglese di tutte le prove alla base del suo quadro analitico, consentendo alle parti interessate di leggere il materiale e trarre le proprie conclusioni.

Tra le altre cose, Brenner fornisce prove considerevoli del fatto che la maggiore e, in qualche modo più popolare, fazione sionista di destra, più tardi guidata dal primo ministro israeliano Menachem Begin, fu quasi invariabilmente considerata un movimento fascista negli anni ’30, anche a prescindere dalla sua calorosa ammirazione per il regime italiano di Mussolini. Questo in quel periodo non era un segreto così tenebroso, dato che il suo più importante quotidiano palestinese teneva una regolare rubrica di un alto leader ideologico intitolata “Diario di un fascista”. Durante una delle maggiori conferenze sioniste internazionali, il leader di fazione Vladimir Zabotinsky entrò nella sala con i suoi seguaci dalla casacca marrone in piena formazione militare, portando il presidente a vietare l’uso di uniformi per evitare una rivolta, e la sua fazione fu presto sconfitta politicamente e alla fine espulsa dall’ombrello dell’organizzazione sionista. Questo grave contrattempo fu in gran parte dovuto alla diffusa ostilità che il gruppo aveva suscitato dopo che due dei suoi membri erano stati arrestati dalla polizia britannica per il recente assassinio di Chaim Arlosoroff, uno dei più alti ufficiali sionisti di base in Palestina.

In effetti, l’inclinazione all’assassinio, al terrorismo e ad altre forme di comportamento essenzialmente criminale delle fazioni sioniste più di destra era davvero notevole. Ad esempio, nel 1943 Shamir aveva organizzato l’assassinio del suo rivale di fazioni, un anno dopo che i due uomini erano fuggiti insieme dal carcere in cui si trovavano per una rapina in banca in cui erano state uccise delle persone, e sosteneva di aver agito per impedire l’assassinio programmato di David Ben Gurion, il massimo leader sionista e futuro fondatore di Israele.

Shamir e la sua fazione hanno certamente mantenuto questo tipo di comportamento negli anni ’40, assassinando con successo Lord Moyne, il ministro britannico per il Medio Oriente, e il conte Folke Bernadotte, il negoziatore di pace delle Nazioni Unite, anche se fallirono nei loro altri tentativi di uccidere il presidente americano Harry Truman e il ministro degli Esteri britannico, Ernest Bevin, e i loro piani per assassinare Winston Churchill, a quanto pare, non sono mai andati oltre la discussione.

Il suo gruppo ha anche aperto la strada all’uso di auto-bombe terroristiche e altri attacchi esplosivi contro innocenti obiettivi civili, tutti molto prima che qualsiasi arabo o musulmano avesse mai pensato di usare tattiche simili; e la fazione sionista più grande e più “moderata” di Begin fece lo stesso. Alla luce di ciò, non sorprende che Shamir sia stato regista degli omicidi del Mossad israeliano negli anni 1955-1965; così se il Mossad ha effettivamente svolto un ruolo importante nell’assassinio del presidente John F. Kennedy, molto probabilmente è stato coinvolto.

La copertina dell’edizione tascabile del 2014 del libro di Brenner mostra la medaglia commemorativa coniata dalla Germania nazista per celebrare la sua alleanza sionista, con una stella di David sulla faccia anteriore e una svastica sull’altra. Stranamente, tuttavia, questo medaglione simbolico non aveva assolutamente alcun collegamento con i tentativi infruttuosi della piccola fazione di Shamir di organizzare un’alleanza militare nazista durante la seconda guerra mondiale.

Anche se i tedeschi prestarono poca attenzione alle suppliche di questa organizzazione minore, la molto più grande e influente corrente principale del movimento sionista di Chaim Weizmann e David Ben Gurion era qualcosa di completamente diverso. E durante la maggior parte degli anni ’30, questi altri sionisti avevano formato un’importante partnership economica con la Germania nazista, basata su un’ovvia comunanza di interessi. Dopo tutto, Hitler considerava l’uno per cento di popolazione ebraica della Germania come un elemento di disturbo e potenzialmente pericoloso e voleva che se ne andasse, e il Medio Oriente sembrava una buona destinazione per loro come qualsiasi altra. Nel frattempo, i sionisti avevano obiettivi molto simili e la creazione della loro nuova patria nazionale in Palestina richiedeva ovviamente sia immigrati ebrei che investimenti finanziari ebraici.

Dopo la nomina di Hitler a Cancelliere nel 1933, ebrei indignati di tutto il mondo lanciarono rapidamente un boicottaggio economico, sperando di mettere la Germania in ginocchio, con il Daily Express di Londra che titolava a tutta pagina il famoso “Giudea dichiara guerra alla Germania”. L’influenza politica ed economica ebraica, quindi, proprio come adesso, era molto considerevole e nel profondo della Grande Depressione la Germania impoverita aveva bisogno di esportare o sarebbe morta, quindi un boicottaggio su larga scala nei principali mercati tedeschi rappresentava una minaccia potenzialmente grave. Ma questa esatta situazione fornì ai gruppi sionisti un’eccellente opportunità di offrire ai tedeschi un mezzo per violare l’embargo commerciale, e richiesero condizioni favorevoli per l’esportazione di manufatti tedeschi di alta qualità in Palestina, insieme agli ebrei tedeschi di scorta. Una volta che la notizia di questo importante Ha’avara o “Accordo di trasferimento” con i nazisti uscì in una convention sionista del 1933, molti ebrei e sionisti si indignarono e questo portò a divisioni e polemiche. Ma l’accordo economico era troppo bello per non resistere,  andò avanti e rapidamente crebbe.

L’importanza del patto nazista-sionista per l’insediamento di Israele è difficile da esagerare. Secondo un’analisi del 1974 su Jewish Frontier citata da Brenner, tra il 1933 e il 1939 oltre il 60% di tutto l’investimento nella Palestina ebraica proveniva dalla Germania nazista. L’impoverimento in tutto il mondo per la Grande Depressione aveva drasticamente ridotto il sostegno finanziario ebraico da tutte le altre fonti, e Brenner suggerisce ragionevolmente che senza il sostegno finanziario di Hitler, la nascente colonia ebraica, così piccola e fragile, si sarebbe facilmente rinsecchita e sarebbe morta in quel periodo difficile.

Tale conclusione porta ad ipotesi affascinanti. Quando per la prima volta mi sono imbattuto in riferimenti all’Accordo Ha’avara qua e là sui siti web, uno dei commentatori che menzionava la questione suggeriva tra il serio e il faceto che se Hitler avesse vinto la guerra sicuramente sarebbero state erette statue per lui in tutta Israele e oggi sarebbe riconosciuto dagli ebrei di tutto il mondo come l’eroico leader gentile che ha svolto il ruolo centrale nel ristabilire una patria nazionale per il popolo ebraico in Palestina dopo quasi 2000 anni di amaro esilio.

Questo tipo di sorprendente possibilità controfattuale non è così completamente assurdo come potrebbe suonare alle nostre orecchie oggi. Dobbiamo riconoscere che la nostra comprensione storica della realtà è modellata dai media e gli organi dei media sono controllati dai vincitori delle guerre più importanti e dai loro alleati, con dettagli scomodi spesso messi da parte per evitare di confondere il pubblico. È senza dubbio vero che nel suo libro del 1924 Mein Kampf, Hitler aveva scritto ogni sorta di cose ostili e cattive sugli ebrei, specialmente quelli che erano recentemente immigrati dall’Europa orientale, ma quando lessi il libro al tempo del liceo, ero un po’ sorpreso nello scoprire che questi sentimenti anti-ebraici non sembravano centrali nel suo testo. Inoltre, solo un paio di anni prima, una figura pubblica di gran lunga più importante come il ministro britannico Winston Churchill aveva pubblicato sentimenti altrettanto ostili e cattivi, concentrandosi sui mostruosi crimini commessi dagli ebrei bolscevichi. In Esaù’s Tearsdi Albert Lindemann, sono rimasto sorpreso nello scoprire che anche l’autore della famosa Dichiarazione Balfour, il fondamento del progetto sionista, era apparentemente piuttosto ostile agli ebrei, con un elemento della sua motivazione che era probabilmente il suo desiderio di escluderli dalla Gran Bretagna.

Una volta che Hitler ebbe consolidato il potere in Germania rapidamente mise fuori legge tutte le altre organizzazioni politiche del popolo tedesco, erano ammessi solo il partito nazista e i simboli politici nazisti. Ma un’eccezione speciale fu fatta per gli ebrei tedeschi, e il partito sionista locale della Germania ottenne uno status giuridico completo, con marce sioniste, uniformi sioniste e bandiere sioniste completamente ammesse. Sotto Hitler, ci fu una rigida censura di tutte le pubblicazioni tedesche, ma il settimanale sionista era liberamente venduto in tutte le edicole e agli angoli delle strade. Il concetto chiaro sembrava essere che un partito nazionalsocialista tedesco fosse la sede politica appropriata per la maggioranza tedesca del 99% del paese, mentre il nazionalsocialismo sionista avrebbe colmato lo stesso ruolo per la minuscola minoranza ebraica.

Nel 1934, i leader sionisti invitarono un importante funzionario delle SS a trascorrere sei mesi in visita nell’insediamento ebraico in Palestina e al suo ritorno le sue impressioni molto favorevoli della crescente impresa sionista furono pubblicate come una parte dell’imponente serie in 12 parti in Der Angriff di Joseph Goebbel, il principale organo mediatico del partito nazista, con il titolo descrittivo “Un nazista va in Palestina”. Nella sua critica molto arrabbiata del 1920 sull’attività del bolscevico ebraico, Churchill aveva sostenuto che il sionismo era bloccato in una feroce battaglia con il bolscevismo per l’anima dell’ebreo europeo, e solo la sua vittoria avrebbe potuto assicurare amichevoli relazioni future tra ebrei e gentili. Sulla base delle prove disponibili, Hitler e molti altri leader nazisti sembravano aver raggiunto una conclusione simile alla metà degli anni ’30.

Per tutto quel periodo sentimenti estremamente duri in tema di ebrei della diaspora furono talvolta reperiti in luoghi piuttosto sorprendenti. Dopo l’esplosione nei titoli della polemica che circondava i legami nazisti di Shamir, il materiale di Brenner divenne la sostanza di un importante articolo di Edward Mortimer, l’esperto di lungo corso di Medio Oriente, sul Times di Londra in agosto e l’edizione 2014 del libro include alcuni estratti dal Times di Mortimer dell’11 febbraio 1984:

Chi disse a un uditorio di Berlino nel marzo del 1912 che “ogni paese può assorbire solo un numero limitato di ebrei, se non vuole disturbi di stomaco. La Germania ha già troppi ebrei”?

No, non Adolf Hitler ma Chaim Weizmann, in seguito presidente dell’Organizzazione sionista mondiale e dopo ancora il primo presidente dello stato di Israele.

E dove si potrebbe trovare la seguente asserzione originariamente scritta nel 1917, ma ripubblicata più tardi nel 1936: “L’ebreo è una caricatura di un normale, naturale essere umano sia fisicamente che spiritualmente. Come individuo, nella società si ribella e getta le briglie dell’obbligo sociale, non conosce ordine né disciplina”?

Non in Der Sturmer ma nell’organo dell’organizzazione giovanile sionista, Hashomer Hatzair.

Come rivela la dichiarazione sopra citata, il sionismo stesso incoraggiò e sfruttò l’odio per se stesso nella diaspora. Partendo dal presupposto che l’antisemitismo era inevitabile e in un certo senso giustificato fin tanto che gli ebrei erano fuori dalla terra di Israele.

È vero che solo un’estrema lunatica frangia del sionismo arrivò addirittura a offrire di entrare in guerra a fianco della Germania nel 1941, nella speranza di stabilire “lo storico stato ebraico su base nazionale e totalitaria, e legato da un accordo col Reich tedesco.” Sfortunatamente questo era il gruppo a cui l’attuale Primo Ministro di Israele ha scelto di aderire.

La verità molto scomoda è che le dure caratterizzazioni degli ebrei della diaspora trovate nelle pagine di Mein Kampfnon non erano poi così diverse da quelle espresse dai padri fondatori del sionismo e dai suoi successivi leader, quindi la cooperazione di quei due movimenti ideologici non era poi così completamente sorprendente.

Tuttavia, le verità scomode rimangono scomode. Mortimer aveva trascorso diciannove anni al Times, gli ultimi dodici come esperto degli esteri e editorialista per i problemi del Medio Oriente. Ma l’anno dopo aver scritto quell’articolo che comprendeva quelle citazioni controverse, la sua carriera in quel giornale si concluse portando a un insolito divario nella sua storia lavorativa, e questo sviluppo può essere o non essere puramente casuale.

Altrettanto ironico fu il ruolo di Adolf Eichmann, il cui nome oggi è probabilmente uno dei cinque nazisti più famosi della storia, per il suo rapimento nel 1960 da parte di agenti israeliani, seguito dal suo pubblico processo spettacolo ed esecuzione come criminale di guerra. Si dà il caso che Eichmann sia stato una figura nazista centrale nell’alleanza sionista, che aveva studiato perfino l’ebraico e che apparentemente era diventato un po’ filo-semita negli anni della sua stretta collaborazione con i principali leader sionisti.

Brenner è prigioniero della sua ideologia e delle sue convinzioni, accetta senza discutere la narrazione storica in cui è cresciuto. Sembra non trovare nulla di tanto strano nel fatto che Eichmann sia stato un partner filosemita dei sionisti ebrei alla fine degli anni ’30 e poi improvvisamente trasformato in un assassino di massa degli ebrei europei nei primi anni ’40, commettendo volentieri i mostruosi crimini per i quali in seguito gli israeliani lo hanno giustamente condannato a morte.

Questo è certamente possibile, ma mi meraviglio davvero. Un osservatore più cinico potrebbe trovare una gran strana coincidenza nel fatto che gli israeliani abbiano compiuto un tale sforzo di rintracciare e uccidere il primo importante nazista che era stato il loro più stretto ex alleato e collaboratore politico. Dopo la sconfitta della Germania, Eichmann era fuggito in Argentina e ha vissuto lì tranquillamente per un certo numero di anni fino a quando il suo nome rispuntò in una famosa controversia a metà degli anni Cinquanta intorno a uno dei suoi principali partner sionisti, che aveva poi vissuto in Israele come un rispettato funzionario governativo, che era stato denunciato come collaboratore nazista, alla fine dichiarato innocente dopo un celebre processo, ma in seguito assassinato da ex membri della fazione di Shamir.

A seguito di quella controversia in Israele, Eichmann avrebbe rilasciato una lunga intervista personale a un giornalista nazista olandese, e sebbene al momento non fosse stata pubblicata, potrebbe forse essersi diffusa la notizia della sua esistenza. Il nuovo stato di Israele a quel tempo aveva solo pochi anni ed era molto fragile politicamente ed economicamente, disperatamente dipendente dalla buona volontà e dal sostegno dell’America e dei donatori ebrei di tutto il mondo. La loro rimarchevole ex alleanza nazista era un segreto represso nel profondo la cui uscita pubblica avrebbe potuto avere conseguenze assolutamente disastrose.

Secondo la versione dell’intervista pubblicata successivamente come articolo in due parti su Life Magazine, le dichiarazioni di Eichmann in apparenza non toccavano il tema letale della partnership nazista-sionista degli anni ’30. Ma sicuramente i leader israeliani devono essere stati terrorizzati dal fatto che avrebbero potuto non essere così fortunati la seconda volta, quindi è possibile ipotizzare che l’eliminazione di Eichmann sia diventata improvvisamente una delle massime priorità nazionali. Fu rintracciato e catturato nel 1960. Presumibilmente furono usati mezzi duri per persuaderlo a non rivelare nessuno di questi pericolosi segreti prebellici al suo processo a Gerusalemme, e ci si potrebbe chiedere se il motivo per cui era, come noto, chiuso in una cabina di vetro fosse per essere certi che l’audio potesse essere rapidamente interrotto se avesse iniziato a deviare dal copione concordato. Tutta questa analisi è del tutto speculativa, ma il ruolo di Eichmann come figura centrale nella partnership nazista-sionista degli anni ’30 è un fatto storico innegabile.

Proprio come si può immaginare, l’industria editoriale statunitense in prevalenza pro-Israele non era affatto desiderosa di servire da canale pubblico per le scioccanti rivelazioni di Brenner di una stretta alleanza economica nazista-sionista, il quale ricorda come il suo agente del libro abbia ricevuto da ogni editore a cui si rivolgeva lo stesso rifiuto, basato su un’ampia gamma delle più svariate scuse. Tuttavia, alla fine riuscì a trovare in Gran Bretagna un editore completamente sconosciuto disposto ad accettare il progetto e il suo libro, pubblicato nel 1983, inizialmente non ricevette altre recensioni che un paio di aspre e superficiali denunce, anche se l’Izvestia sovietica si interessò alle sue scoperte fino a quando non si accorse che era un odiato trotzkista.

La sua grande occasione arrivò quando Shamir divenne improvvisamente primo ministro israeliano. Brenner portò la sua testimonianza sugli ex legami nazisti alla stampa palestinese di lingua inglese che la mise in circolazione. Vari marxisti britannici, tra cui il famoso “Red Ken” Livingstone di Londra, organizzarono per lui un giro di conferenze e quando un gruppo di militanti sionisti di destra attaccò uno degli eventi e fece feriti, la storia della rissa attirò l’attenzione dei giornali mainstream. Poco dopo il dibattito sulle sorprendenti scoperte di Brenner apparve sul Times di Londra e fu ripresa dai media internazionali. E’ probabile che l’articolo del New York Times che in origine aveva attirato la mia attenzione sia apparso in questo periodo.

Professionisti di pubbliche relazioni sono piuttosto abili nel ridurre al minimo l’impatto di rivelazioni dannose e le organizzazioni filo-israeliane non mancano di tali individui. Poco prima della pubblicazione del suo straordinario libro del 1983 Brenner a un tratto scoprì che un giovane autore filo-sionista di nome Edwin Black stava lavorando accanitamente a un progetto simile, apparentemente sostenuto da risorse finanziarie sufficienti per impiegare un esercito di cinquanta ricercatori che gli permettesse di completare il suo progetto in tempi da record.

Dal momento che l’intero imbarazzante tema di una partnership nazi-sionista era stato tenuto lontano dagli occhi del pubblico per quasi cinque decenni, questa tempistica sicuramente sembra più di una semplice coincidenza. Presumibilmente la notizia dei numerosi tentativi falliti di Brenner di assicurarsi un editore tradizionale nel 1982 si era sparsa in giro, così come il suo successo nel trovarne alla fine uno piccolo in Gran Bretagna. Non essendo riusciti a impedire la pubblicazione di un tale esplosivo materiale, i gruppi pro-Israele tranquillamente decisero che la loro migliore opzione era cercare di prendere il controllo dell’argomento essi stessi, permettendo la divulgazione di quelle parti della storia che non potevano essere nascoste escludendo comunque gli elementi più pericolosi, per descrivere la sordida storia nella migliore luce possibile.

Il libro di Black, The Transfer Agreement, potè uscire un anno dopo quello di Brenner, ma fu chiaramente supportato da una pubblicità e da risorse enormemente maggiori. Pubblicato da Macmillan, un editore di primo piano, è lungo circa il doppio del libro breve di Brenner e ha ottenuto il potente sostegno di personalità di spicco del firmamento dell’attivismo ebraico, tra cui il Simon Weisenthal Center, l’Israel Holocaust Memorial e l’American Jewish Archives. Di conseguenza ha ricevuto lunghe, se non necessariamente favorevoli, recensioni in pubblicazioni influenti come The New Republic e Commentary.

In tutta onestà, dovrei ricordare che nella prefazione al suo libro, Black sostiene che i suoi sforzi di ricerca erano stati totalmente scoraggiati da quasi tutti quelli a cui si era rivolto e, di conseguenza, aveva lavorato in solitudine per molti anni al progetto con un forte impegno. Ciò implica che l’uscita quasi simultanea dei due libri sia dovuta al caso. Ma un’immagine del genere non è affatto coerente con le sue brillanti testimonianze di tanti eminenti leader ebraici, e personalmente trovo l’affermazione di Brenner che Black è stato assistito da cinquanta ricercatori molto più convincente.

Poiché sia Black che Brenner descrivevano la stessa realtà di base e si affidavano a molti degli stessi documenti, per molti aspetti le storie che raccontano sono generalmente simili. Ma Black esclude accuratamente ogni menzione delle offerte di una cooperazione militare sionista con i nazisti, per non parlare dei ripetuti tentativi della fazione sionista di Shamir di unirsi ufficialmente alle potenze dell’Asse dopo che la guerra era scoppiata, oltre a numerosi altri dettagli di una natura particolarmente imbarazzante.

Supponendo che il libro di Black sia stato pubblicato per le ragioni che ho suggerito, penso che la strategia dei gruppi pro-Israele sia ampiamente riuscita, con la sua versione della storia che sembra aver soppiantato rapidamente quella di Brenner, tranne forse in ambienti fortemente di sinistra o antisionisti. Cercando su google ogni combinazione del titolo e dell’autore, il libro di Black ottiene otto volte più risultati, e anche le sue vendite su Amazon e il numero di recensioni sono maggiori più o meno dello stesso fattore. In particolare, né gli articoli di Wikipedia su The Transfer Agreemente The Ha’avara Agreement contengono una qualche menzione della ricerca di Brenner, anche se il suo libro è stato pubblicato prima, era di gran lunga più ampio e solo lui ha fornito le prove documentali alla base. Per portare il mio personale esempio della situazione attuale, fino a pochi anni fa ero piuttosto ignaro dell’intera storia di Ha’avara quando incappai in alcuni commenti su un sito Web che menzionavano il libro di Black e che mi portarono ad acquistarlo e leggerlo. Ma anche così, il volume molto più ampio ed esplosivo di Brenner mi è rimasto completamente sconosciuto fino a poco tempo fa.

Una volta iniziata la seconda guerra mondiale, questa partnership nazista-sionista decadde rapidamente per ovvi motivi. La Germania era ora in guerra con l’Impero britannico e trasferimenti finanziari alla Palestina britannica non erano più possibili. Inoltre, gli arabi palestinesi erano diventati piuttosto ostili agli immigranti ebrei per il giusto timore che potessero alla fine dislocarli e, una volta che i tedeschi furono costretti a scegliere tra mantenere il loro rapporto con un movimento sionista relativamente piccolo o vincere la simpatia politica di un vasto mare di arabi e musulmani mediorientali, la loro decisione fu naturale. I sionisti si trovarono di fronte a una scelta simile e, soprattutto una volta che la propaganda in tempo di guerra iniziò a mettere in così cattiva luce i governi tedesco e italiano, la loro precedente lunga collaborazione non era più qualcosa che volevano divulgare.

Tuttavia, esattamente nello stesso momento, una connessione leggermente diversa e altrettanto a lungo dimenticata tra ebrei e Germania nazista viene improvvisamente alla ribalta.

Come la maggior parte delle persone in tutto il mondo, il tedesco medio, sia ebreo o gentile, non era probabilmente del tutto preso dalla politica e, anche se al sionismo era da anni stato accordato un posto privilegiato nella società tedesca, non è del tutto chiaro quanti comuni cittadini ebrei tedeschi prestassero grande attenzione ad esso. Le decine di migliaia di persone emigrate in Palestina durante quel periodo furono probabilmente motivate tanto da pressioni economiche quanto da impegno ideologico. Ma il tempo di guerra cambiò le cose.

Questo fu ancora più vero per il governo tedesco. Lo scoppio di una guerra mondiale contro una potente coalizione degli imperi britannico e francese, successivamente resa più grande dalla Russia sovietica e dagli Stati Uniti, impose una sorta di enormi pressioni che spesso potevano superare scrupoli ideologici. Alcuni anni fa ho scoperto un affascinante libro del 2002 di Bryan Mark Rigg, Hitler’s Jewish Soldiers, un erudito trattato su ciò che esattamente implica il titolo. La qualità di questa controversa analisi storica è indicata dai lusinghieri trafiletti di copertina di numerosi esperti accademici e da un trattamento estremamente favorevole da parte di un eminente studioso sull’American Historical Review.

Ovviamente, l’ideologia nazista era concentrata prevalentemente sulla razza e considerava la purezza razziale un fattore cruciale nella coesione nazionale. Individui che avevano una consistente ascendenza non tedesca erano guardati con considerevole sospetto, e questa preoccupazione si amplificava enormemente se quella combinazione era ebrea. Ma in una lotta militare contro una coalizione avversaria con popolazione e risorse industriali molto più grandi di quelle tedesche, tali fattori ideologici potrebbero essere superati da considerazioni pratiche, e Rigg sostiene persuasivamente che circa 150.000 uomini con metà o un quarto di sangue ebreo servivano nelle forze armate del Terzo Reich – una percentuale probabilmente non molto diversa dalla quota della popolazione generale in età militare.

La popolazione ebraica della Germania, da tempo integrata e assimilata, era sempre stata in modo sproporzionato urbana, benestante e ben istruita. Di conseguenza non è del tutto sorprendente che tanti di questi soldati in parte ebrei che servivano Hitler fossero in realtà ufficiali di combattimento piuttosto che semplici soldati di leva, e fra loro c’erano almeno 15 generali e ammiragli per metà ebrei, e un’altra decina di ebrei per un quarto che ricoprivano gli stessi alti ranghi. L’esempio più notevole fu il feldmaresciallo Erhard Milch, il potente secondo in comando di Hermann Goering, che svolse un ruolo operativo tanto importante nella creazione della Luftwaffe. Milch aveva certamente un padre ebreo e, secondo alcune affermazioni molto meno provate, forse anche una madre ebrea, mentre sua sorella era sposata con un generale delle SS.

Certo, le stesse SS d’élite razziale avevano generalmente standard di ascendenza molto più rigorosi, per cui per un individuo avere anche una sola traccia di parentela non ariana normalmente era considerato motivo di esclusione. Ma anche qui, la situazione era a volte complicata, poiché ci sono state diffuse voci sul fatto che Reinhard Heydrich, la figura di secondo piano in quella potente organizzazione, avesse in realtà una notevole ascendenza ebraica. Rigg indaga su tale affermazione senza giungere a conclusioni chiare, sebbene sembri pensare che le prove circostanziali potrebbero essere state usate da altre figure naziste di alto rango come mezzo di influenza o ricatto contro Heydrich che si collocava tra le figure più importanti nel Terzo Reich.

Per ulteriore ironia, la maggior parte di questi individui aveva ascendenza ebraica per linea paterna invece che materna quindi, sebbene non fossero ebrei secondo la legge rabbinica, i loro cognomi riflettevano spesso le loro origini parzialmente semitiche, anche se in molti casi le autorità naziste cercavano accuratamente di trascurare questa circostanza evidentemente ovvia. C’è un esempio estremo segnalato da un accademico che ha fatto una critica del libro: un mezzo ebreo recante il nome chiaramente non ariano di Werner Goldberg ebbe nientedimeno la sua fotografia in primo piano su un giornale di propaganda nazista del 1939, con la didascalia che lo descriveva come “L’ideale soldato tedesco.”

L’autore ha condotto più di 400 interviste personali dei sopravvissuti ebrei in parte e dei loro parenti, e questi hanno dipinto un quadro molto variegato delle difficoltà che avevano incontrato sotto il regime nazista, che varia enormemente a seconda di circostanze particolari e delle personalità di coloro che avevano autorità su di loro. Un’importante fonte di lamentela era che, a causa del loro status, coloro che erano in parte ebrei si vedevano spesso negati gli onori militari o promozioni che si erano giustamente guadagnati. Tuttavia, in condizioni particolarmente favorevoli, potevano anche essere legalmente riclassificati come di “sangue tedesco”, fatto che eliminava ufficialmente qualsiasi macchia sul loro status.

Anche la politica ufficiale sembra essere stata abbastanza contraddittoria e vacillante. Ad esempio, quando le umiliazioni civili a volte inflitte ai genitori completamente ebrei di servire figli ebrei per metà venivano portate all’attenzione di Hitler questi considerava la situazione intollerabile, dichiarando che o si proteggevano questi genitori da tale comportamento indegno o tutti gli ebrei per metà dovevano essere licenziati e alla fine, nell’aprile del 1940, emise un decreto che imponeva quest’ultima variante. Tuttavia, questo ordine fu largamente ignorato da molti comandanti, o implementato attraverso un sistema d’onore che equivaleva circa a “Non chiedere, non dire”, così una considerevole frazione di ebrei per metà rimase nell’esercito se così desideravano. E poi nel luglio del 1941 Hitler in qualche modo si rimangiò il suo stesso ordine, emettendo un nuovo decreto che riconosceva “meritevoli” di tornare nell’esercito come ufficiali ebrei per metà che erano stati congedati, annunciando anche che, dopo la guerra, tutti gli ebrei per un quarto sarebbero stati riclassificati come completamente cittadini “ariani tedeschi”.

E’ stato detto che dopo che erano state sollevate domande sull’ascendenza ebraica di alcuni dei suoi subordinati, Goring rispose con rabbia “Deciderò io chi è un ebreo!” E quell’atteggiamento sembra ragionevolmente cogliere parte della complessità e della soggettività della situazione sociale.

È interessante notare come molte delle persone in parte ebree intervistate da Rigg ricordassero che prima dell’ascesa al potere di Hitler, i matrimoni misti dei loro genitori avevano spesso suscitato molta più ostilità dalla parte ebraica piuttosto che da quella gentile delle loro famiglie, suggerendo che anche in un ambiente fortemente assimilato in Germania, la tradizionale tendenza ebraica verso l’esclusività etnica era ancora rimasta un fattore potente in quella comunità.

Sebbene gli ebrei in parte nel servizio militare tedesco fossero certamente soggetti a varie forme di maltrattamenti e discriminazioni, forse dovremmo fare un confronto con analoghe situazioni nel nostro stesso esercito in quegli stessi anni per quanto riguarda le minoranze giapponesi o nere statunitensi. In quell’epoca i matrimoni misti razziali erano legalmente proibiti in gran parte degli Stati Uniti, quindi la popolazione mista di questi gruppi era o inesistente o di origine molto diversa. Ma quando ai giapponesi-americani fu permesso di lasciare i loro campi di concentramento di guerra e arruolarsi nell’esercito, furono completamente limitati a unità separate di tutti giapponesi, ma con ufficiali generalmente bianchi. Nel frattempo, i neri erano quasi completamente esclusi dal servizio di combattimento, anche se a volte servivano in ruoli di supporto rigorosamente separati. L’idea che un americano con qualche apprezzabile traccia di origine africana, giapponese o anche un’ascendenza di stirpe cinese, potesse servire come generale o addirittura ufficiale nell’esercito degli Stati Uniti e quindi esercitare autorità di comando sulle truppe americane bianche era quasi impensabile. Il contrasto con la pratica dello stesso esercito di Hitler è piuttosto diverso da quello che gli americani potrebbero ingenuamente presupporre.

Questo paradosso non è così sorprendente come si potrebbe supporre. Le divisioni non economiche nelle società europee erano quasi sempre state lungo linee di religione, lingua e cultura piuttosto che di ascendenza razziale, e la tradizione sociale di più di un millennio non poteva essere facilmente spazzata via da una mezza decina di anni di ideologia nazionalsocialista. Durante tutti quei secoli precedenti un ebreo sinceramente battezzato, sia in Germania che altrove, era generalmente considerato un buon cristiano come tutti gli altri. Ad esempio, Tomas de Torquemada, la figura più temibile della temuta Inquisizione spagnola, proveniva in realtà da una famiglia di convertiti ebrei.

Persino le più ampie differenze razziali non erano considerate di importanza cruciale. Alcuni dei più grandi eroi di particolari culture nazionali, come Alexander Pushkin in Russia e Alexandre Dumas in Francia, erano individui con significative ascendenze africane e questo non era certamente considerata una qualche caratteristica squalificante.

Al contrario, la società americana sin dal suo inizio era sempre stata nettamente divisa per razza, con altre differenze che generalmente costituivano ostacoli molto minori al matrimonio e alla fusione reciproca. Ho trovato frequenti dichiarazioni che, quando il Terzo Reich ideò le sue leggi di Norimberga del 1935 limitando il matrimonio e altri accordi sociali tra ariani, non ariani e in parte-ariani, i suoi esperti attinsero ad alcune delle lunghe esperienze legali americane in questioni simili, e questo sembra abbastanza plausibile. In base a questo nuovo statuto nazista i preesistenti matrimoni misti ricevevano una certa protezione legale, ma da quel momento in poi ebrei e ebrei per metà potevano sposarsi l’un l’altro, mentre gli ebrei per un quarto potevano sposare solo ariani regolari. L’intento evidente era quello di assorbire quest’ultimo gruppo nella società tedesca tradizionale, isolando al contempo la popolazione più fortemente ebrea.

Ironia della sorte, Israele oggi è uno dei pochi paesi con una simile sorta di criteri, rigorosamente su base razziale, per lo stato di cittadinanza e altri privilegi con una politica di immigrazione per soli ebrei ora spesso determinati da test del DNA, e con i matrimoni tra ebrei e non ebrei legalmente proibiti. Alcuni anni fa, i media mondiali riportarono anche la straordinaria storia di un arabo palestinese condannato al carcere per stupro perché aveva rapporti sessuali consenzienti con una donna ebrea facendosi passare per un ebreo.

Poiché il giudaismo ortodosso è strettamente matrilineare e controlla la legge israeliana, anche gli ebrei di altri rami possono sperimentare difficoltà impreviste a causa di conflitti tra identità etnica personale e status legale ufficiale. La stragrande maggioranza delle famiglie ebraiche più ricche e più influenti di tutto il mondo non segue le tradizioni religiose ortodosse e, nel corso delle generazioni, hanno spesso preso mogli gentili. Tuttavia, anche se queste ultime si fossero convertite al giudaismo, le loro conversioni sono considerate non valide dal rabbinato ortodosso, e nessuno dei discendenti risultanti è considerato ebreo. Quindi, se alcuni membri di queste famiglie sviluppano in seguito una profonda dedizione per la loro eredità ebraica ed emigrano in Israele, a volte si indignano nello scoprire di essere ufficialmente classificati come “goyim” dalla legge ortodossa e col divieto legale di sposare ebrei. Queste importanti controversie politiche periodicamente esplodono e talvolta raggiungono i media internazionali.

Ora, mi sembra che qualsiasi funzionario americano che avesse proposto test sul DNA razziale per decidere sull’ammissione o l’esclusione dei futuri immigrati avrebbe passato momenti molto difficili per poter rimanere in carica, con gli attivisti ebrei di organizzazioni come l’ADL (Anti-Defamation League) che probabilmente avrebbero guidato l’attacco. E lo stesso sarebbe sicuramente vero per qualsiasi procuratore o giudice che avesse mandato in prigione non bianchi per il crimine di farsi “passare” per bianchi e riuscire così a sedurre le donne di quest’ultimo gruppo. Un destino simile si verificherebbe per i sostenitori di tali politiche in Gran Bretagna, in Francia o nella maggior parte delle altre nazioni occidentali, con l’organizzazione locale tipo ADL che sicuramente svolgerebbe un ruolo importante.

Eppure, in Israele, l’esistenza di tali leggi si limita a provocare un piccolo temporaneo imbarazzo quando è coperta dai media internazionali, e quindi invariabilmente rimangono al loro posto dopo che lo scompiglio è passato e dimenticato. Questo genere di questioni è considerato di scarso interesse rispetto ai precedenti legami nazisti in tempo di guerra del primo ministro israeliano per gran parte degli anni ’80.

Ma forse la risposta a questa sconcertante differenza nella reazione del pubblico si trova in una vecchia battuta. Un arguto personaggio di sinistra una volta ha affermato che il motivo per cui l’America non ha mai avuto un colpo di stato militare è che è l’unico paese al mondo che non ha sul suo territorio un’ambasciata americana che organizzi tale attività. E a differenza di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, e molti altri paesi prevalentemente bianchi, Israele non ha nessuna organizzazione ebraica attivista nazionale che svolga il potente ruolo dell’ADL.

Negli ultimi anni molti osservatori esterni hanno notato una situazione politica apparentemente molto strana in Ucraina. Quel paese sfortunato possiede potenti gruppi militanti, i cui simboli pubblici, l’ideologia dichiarata e l’ascendenza politica li contraddistinguono inequivocabilmente come neo-nazisti. Eppure questi violenti elementi neo-nazisti sono tutti finanziati e controllati da un oligarca ebreo che detiene la doppia cittadinanza israeliana. Inoltre, quella peculiare alleanza era stata per metà partorita e benedetta da alcune delle principali figure neocon ebraiche americane, come Victoria Nuland, che ha usato con successo la sua influenza sui media per tenere lontani dal pubblico americano tali fatti esplosivi.

A prima vista, una stretta relazione tra ebrei israeliani e neonazisti europei sembra un’unione sbagliata, grottesca e bizzarra come sarebbe immaginabile, ma dopo aver recentemente letto l’affascinante libro di Brenner la mia prospettiva si è rapidamente spostata. In effetti, la principale differenza tra allora e oggi è che durante gli anni ’30 le fazioni sioniste rappresentavano un partner minore e insignificante di un potente Terzo Reich, mentre in questi giorni sono i nazisti ad occupare il ruolo di ansiosi supplicanti del formidabile potere del sionismo internazionale che adesso domina tanto pesantemente il sistema politico americano e attraverso di esso, gran parte del mondo.

 

 

Traduzione: Simonetta Lambertini – Invictapalestina.org

Fonte: http://www.unz.com/runz/american-pravda-jews-and-nazis/

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