“Lasciare l’inferno per vivere all’inferno”: le tangenti e i posti di blocco da Gaza attraverso l’Egitto

Uscire dalla Striscia assediata è costoso, arduo ed estremamente difficile per i Palestinesi. Una volta che ci sono riusciti , possono spesso ritrovarsi in un limbo.

Foto di copertina: un ragazzo palestinese aspetta su un autobus per l’Egitto da Gaza (Reuters) La foto è di Kaamil Ahmed

Kaamil Ahmed – 5 novembre 2018

STRISCIA DI GAZA – Pezzi di cartone, borse o il nudo pavimento  sono i posti dove i viaggiatori appoggiano la testa mentre si riposano in attesa di passare attraverso Rafah, il  valico di confine che è diventato l’unico passaggio aperto tra Gaza e il mondo esterno.

Trovano poco in termini di acqua, cibo o tregua dal caldo nella prima tappa di un viaggio attraverso l’Egitto che in migliaia hanno intrapreso negli ultimi mesi, un viaggio lungo il quale affrontano trattamenti che molti dicono essere umilianti: lunghe ore trascorse in una serie di umide, trascurate sale d’aspetto e giorni su autobus soffocanti attraverso il deserto afoso.

Per lasciare la Striscia di Gaza, i suoi residenti palestinesi trascorrono quasi un intero giorno a Rafah, prima che gli autobus li portino attraverso il deserto del Sinai, per poi attraversare in traghetto il Canale di Suez e proseguire  verso gli ospedali egiziani, mentre alcuni usano il Cairo come gateway per l’assistenza sanitaria o per studiare o per andare a lavorare ancora più lontano.

In realtà, il processo non è così fluido; s’inceppa e si ferma e sono pochi coloro che decidono comunque di intraprendere il viaggio, frustrati già nella prima fase perché il confine è di solito chiuso e le liste d’attesa troppo lunghe.

 Sembra di attraversare un territorio nemico – Ibrahim Ghunaim, Palestinese

Il modo per saltare quelle liste è pagare qualcuno, di solito dal lato egiziano. Queste tangenti sono diventate sempre più comuni negli ultimi sei mesi, quando il confine è stato aperto per periodi che non hanno precedenti negli ultimi anni, incoraggiando i Palestinesi che lasciano Gaza, o coloro che sperano di tornarvi , a intraprendere  la traversata.

“Le persone che vogliono lasciare Gaza, lasciano l’inferno per viverne un altro nel deserto del Sinai”, dice Ibrahim Ghunaim, un rapper palestinese che ha lasciato l’enclave assediata per concentrarsi sullo sviluppo del suo talento, inibito a Gaza dalla sua impossibilità di viaggiare e tenere spettacoli.

Per attraversare il deserto gli ci sono voluti quattro giorni tra le attese e i passaggi attraverso i checkpoint nel Sinai militarizzato.

Da maggio il confine è rimasto per lo più aperto; un totale di 133 giorni contro i 36 dell’intero 2017. Il numero di persone che attraversano da entrambi i sensi è aumentato ogni mese, da 1.500 di marzo a più di 14.000 ad agosto.

Un catalizzatore per il cambiamento è stata la Grande Marcia del Ritorno, le proteste settimanali del venerdì  iniziate a fine marzo  e viste come il culmine della pressione sentita dai giovani Palestinesi di Gaza, dove la disoccupazione supera il 50% e l’elettricità funziona per meno di quattro ore al giorno.

Più di 200 Palestinesi sono stati uccisi e migliaia feriti durante quelle proteste,  con Israele che  ha sistematicamente schierato cecchini e usato lacrimogeni e proiettili rivestiti di gomma.

 

Palestinesi aspettano a Gaza di entrare nella parte egiziana del valico di Rafah (AFP)

Il morto vivente

A causa del suo piede ingessato e delle stampelle con cui si aiuta nel camminare, Arafat Abdo viene regolarmente scambiato per uno delle migliaia di manifestanti feriti ai piedi dalle pallottole dei cecchini israeliani durante la Grande Marcia. In realtà si è semplicemente slogato una caviglia, ma l’infortunio fa una grande differenza per lui, ballerino di hip-hop la cui carriera già non è facile a Gaza.

Abdo s’incontra con i suoi amici nel centro di Gaza City, in una sala dalle pareti scrostate, caffè e giochi di carte vicino a un’ex prigione gestita nel tempo da tutti i governanti recenti di Gaza – Gran Bretagna, Egitto, Israele e poi Hamas – finché nella guerra del 2008 non fu bombardata dalle forze israeliane. Fanno tutti parte dello stesso collettivo creativo di ballerini e di artisti e tutti pensano che i loro talenti siano sprecati nell’enclave.

“La cosa principale che voglio ora è lasciare Gaza”, dice Abdo. I laureati trovano pochi lavori disponibili e le alternative, come la sua danza, non sempre trovano la giusta accoglienza culturale.

“Le persone non lo capiscono, chiedono: cosa fai?'”

Le ragioni per partire sono varie. Molti sono studenti che hanno  ottenuto posti in università all’estero e hanno anche ottenuto il visto, ma non sono riusciti a lasciare Gaza, mentre altri viaggiano per lavoro o per cure mediche. Alcuni sono semplicemente attirati dall’idea delle opportunità presenti oltre il confine, anche quando non hanno nessun particolare piano.

“C’è una generazione di giovani le cui anime sono distrutte. Non vogliono offrire nulla alla società perché non hanno nulla da offrire “, ha detto l’amico di Abdo, Mojahed Elsusi.

Il loro collettivo, chiamato al-Watan, la nazione, ha creato una definizione scherzosa di popolazione dell’enclave,  indicata con il nome di mummie perché, hanno detto, “le persone a  Gaza sono morti viventi”

La recente apertura di Rafah con il conseguente sistema informale di tangenti si adatta a molti di loro. La lista d’attesa formale gestita dal Ministero degli interni di Gaza è infatti appesantita da casi medici ad alta priorità che rendono difficile uscire per molti dei più disperati, compresi alcuni malati cronici.

L’unica altra alternativa è il valico di Erez, gestito da Israele. Ufficialmente, è aperto in modo più regolare,  ma solo per certe persone. I permessi sono per lo più rilasciati per motivi di salute o in alcuni casi per uomini d’affari o per Palestinesi impiegati da agenzie internazionali. In realtà negli ultimi tempi il numero di tutti i tipi di permessi si è ridotto.

Alcuni sono stati respinti  in quanto legati a membri di Hamas e ci sono stati diversi arresti di persone di alto  livello che , pur essendo già in possesso del permesso, sono stati fermati mentre attraversano Erez, inclusi operatori umanitari di organizzazioni internazionali.

La sensazione che Erez sia quasi invalicabile per la maggior parte della popolazione di Gaza ha reso Rafah ancora più importante nell’immaginario collettivo. I colloqui che hanno coinvolto Hamas, sia con Israele, sia con la rivale Autorità Palestinese o ancor prima  con l’esiliato uomo forte Mohammed Dahlan, hanno spesso riguardato anche l’apertura di Rafah.

Ma anni di discorsi non hanno mai portato a mantenere quella promessa e i viaggiatori di Gaza hanno continuato a dover aspettare le aperture limitate del confine e accettare  il sistema delle tangenti , che aumenta le possibilità di passare.

“Anche se per mettere insieme i soldi dovessi raccogliere la spazzatura dalle strade per un anno, lo farò”, dice Elsusi.

Il “coordinamento”

Spiegando come hanno lasciato Gaza, i viaggiatori arrivano rapidamente al tema del “tanseeq”, o “coordinamento”, il loro modo di alludere alle tangenti che facilitano il passaggio attraverso Rafah.

I soldi vengono raccolti da mediatori di Gaza, ha spiegato a Middle East Eye un agente di viaggio anonimo che lavora vicino a Rafah e che ha facilitato alcuni di questi pagamenti, poi  sono  consegnati agli ufficiali egiziani con cui sono in contatto. A volte gli intermediari sono agenti di viaggio, altre volte persone che hanno semplicemente le giuste connessioni.

“Non aveva un ufficio per il turismo, ma un negozio  dove vendeva porte e vetri. Ma in realtà si occupava di viaggi”, ha detto Mahmoud *, descrivendo come sia stato indirizzato a un uomo che potrebbe aiutarlo a superare Rafah, avendo per due volte perso la borsa di studio  a causa della chiusura del valico.

Ha negoziato un pagamento di 1.200 dollari, in calo rispetto ai 1.500 del prezzo medio. Alcuni hanno detto di aver pagato quasi il doppio, soprattutto nei primi giorni dell’apertura di Rafah, quando i viaggiatori non erano ancora sicuri per quanto tempo sarebbe stato possibile uscire, e l’agente di viaggio ha confermato che i pagamenti  in passato erano arrivati fino  a 4.000 dollari.

Il lungo periodo in cui Rafah è rimasto aperto ha incoraggiato molte persone come Mahmoud a uscire da Gaza. Quando le ingenti somme richieste sono al di sopra delle loro possibilità, le prendono in prestito o vendono degli oggetti.

“In realtà non avevo 1.200 dollari, ma ne ho presi in prestito 500 dal mio amico e fino ad ora non sono stato in grado di restituirglieli”, ha detto.

Mahmoud ha rivelato che aveva nutrito dei timori riguardo l’intero processo, e non gli piaceva fosse illegale, ma non aveva altra scelta a meno  di rinunciare alla sua ultima opportunità di utilizzare la borsa di studio. Molti abitanti di Gaza si sentono come lui, il che ha aiutato questo sistema informale a prosperare.

“Non è economico,richiede una grande quantità di denaro, ma pagare tangenti è stato sostanzialmente accettato perché le persone hanno estremo bisogno di viaggiare all’estero, perché sono molto malate, perché stanno per perdere una borsa di studio o un permesso di lavorare all’estero, ” ha detto a MEE un funzionario  di un’agenzia internazionale,  peraltro non autorizzato a parlare con i media.

Ma ci sono anche preoccupazioni su quale impatto questo processo stia avendo su altri viaggiatori, quelli che non possono permettersi di pagare e devono fare affidamento sul processo formale implementato da Hamas.

Un rapporto di ottobre dell’Ufficio per il Coordinamento degli Affari Umanitari delle Nazioni Unite (OCHA) ha evidenziato che dopo mesi di flusso costante, a Rafah il numero di persone in lista d’attesa era rimasto a 23.000,  una differenza di soli 7.000 rispetto alla cifra precedente.

Il rapporto descriveva le procedure ufficiali alla frontiera come “confuse e oscure” e sottolineava  come le persone che erano registrate da più di otto mesi stavano ancora aspettando, mentre i richiedenti più recenti erano passati in meno di un mese. Sottolineava anche che il numero di persone che erano state in grado di uscire durante le più limitate e sporadiche aperture di Rafah si era dimezzato.

Le bustarelle aiutano i Palestinesi a tentare di lasciare Gaza, ma non cambiano necessariamente le condizioni  del viaggio.

“Pensano di  essere poi trattati come VIP, ma restano  scioccati da ciò che, nonostante il “coordinamento”, devono affrontare, perché Palestinesi”, ha detto l’agente di viaggio. “Vengono trattati  come qualsiasi altro cittadino, hanno a che fare con insulti e con trattamenti ingiusti.”

Le immagini del caos di Rafah si ripetono  ad ogni apertura del valico, le persone aspettano in fila e sugli autobus. Persino quelli che sono in cima alla lista d’attesa gestita da Hamas non sono sicuri di quando esattamente potranno passare e fanno riferimento alle liste che sono ufficiosamente pubblicate sulle pagine di Facebook.

Chi paga può saltare questa fila, ma deve ancora passare attraverso le sale di attesa di Hamas e dell’Autorità Palestinese prima di entrare nella sezione egiziana, dove i più fortunati dormono su panche di plastica e gli altri su pezzi di cartone, in attesa che gli agenti di confine e gli agenti dell’intelligence  distribuiscano i passaporti timbrati, chiamino chi deve essere interrogato  e allontani gli sfortunati.

A Palestinian boy sleeps as he waits with his family for a travel permit to cross into Egypt through the Rafah border crossing after it was opened by Egyptian authorities for humanitarian cases, in Rafah in the southern Gaza Strip October 19, 2016. REUTERS/Ibraheem Abu Mustafa

Al ritorno le condizioni possono essere altrettanto dure, se non peggiori per alcuni. Sia viaggiatori che funzionari hanno confermato di essere stati trattenuti in una sala d’attesa all’aeroporto del Cairo dopo essere tornati dal loro viaggio all’estero. Un autobus li avrebbe poi trasportati direttamente a Rafah, ma il funzionario dell’agenzia internazionale ha detto che possono passare giorni prima che un’autobus sia riempito, soprattutto durante i fine settimana quando il servizio  è sospeso o se Rafah è nel frattempo stato chiuso.

Hanno aggiunto che le persone possono  anche essere rimandate nel Paese da cui arrivano, se al momento  Rafah è chiuso, aggiungendo poi che la cancellazione  di questa pratica potrebbe essere uno dei benefici maggiori  all’interno delle procedure adottate.

Un’altra sala d’aspetto attende a Rafah i Palestinesi che hanno già attraversato il Cairo e il Sinai e sono quasi arrivati  a casa. Devono arrivare prima delle 11 a.m. ma di solito non possono  entrare a Gaza  prima di notte.

“Perché devo aspettare 12 ore quando devono solo timbrare il mio passaporto e lasciarmi entrare in Palestina? Dovrebbero  impiegare non più di un’ora “, ha detto Khalid *, che a settembre è tornato a Gaza dopo essere stato in Egitto per cure mediche, riferendo che  i funzionari egiziani gli hanno detto che si occupano di chi sta rientrando a Gaza solo dopo aver sbrigato le pratiche di chi ne sta uscendo.

Se le aperture più lunghe di Rafah hanno provocato un aumento del numero di Palestinesi che lasciano Gaza, hanno anche incoraggiato coloro che prima non erano sicuri di fare il viaggio di ritorno.

Da maggio c’era stato un  picco improvviso nel numero di persone che lasciavano Gaza , ma si è visto poi un graduale aumento del numero di rimpatriati con oltre 7.100 entrate rispetto alle 6.100 uscite di settembre. Di contro,i numeri  di chi lascia Gaza hanno costituito il 77 percento del traffico attraverso Rafah a maggio e giugno.

L’agente di viaggio ha detto che durante il viaggio di ritorno da una conferenza a cui aveva partecipato all’estero, aveva programmato di arrivare a Gaza in tempo per celebrare l’Eid con la famiglia, pagando persino un funzionario egiziano per lasciare l’aeroporto senza dover attendere l’autobus collettivo per il confine.

Ma quando arrivò, il valico era chiuso e dovette vivere un mese in un hotel del Cairo. Quando infine giunse a Rafah,  era l’alba, ma dovette aspettare nella sala d’aspetto per l’intera giornata

“Niente acqua, niente cibo, niente servizi, bambini  sofferenti per il caldo, niente ventilatori, e l’ufficiale di polizia egiziano che ci guardava bevendo tranquillamente il suo tè “.

“Poi, di notte,  iniziarono a timbrare i passaporti e li  lanciavano in aria”, dice, imitando la disinvolta azione dell’agente.

“Un viaggio di lavoro di tre giorni mi è costato più di 50 giorni di sofferenza e di problemi.”

Giorni nel deserto

In tempi più tranquilli, la strada che taglia la penisola del Sinai attraverso un paesaggio arido e asciutto si percorreva   in poche ore. Ma il conflitto nel Sinai, dove l’esercito egiziano ha  ingaggiato una lotta contro i militanti alleati del gruppo Stato Islamico (IS), ha allungato quel viaggio costringendo i viaggiatori a passare attraverso dozzine di posti di blocco militari.

Secondo quanto riferito, possono arrivare fino a 36 e portare i Palestinesi attraverso la parte più pericolosa del Sinai, nell’angolo nordorientale della penisola tra Rafah e Arish, dove si concentrano i combattimenti. Tutti i Palestinesi si fermano ad Arish, sia sulla via del ritorno a Gaza, dovendovi pernottare in attesa della fine del coprifuoco,  sia sulla strada verso il Cairo. Ad Arish  si trova il checkpoint principale della regione, e per questo è un bersaglio frequente per gli attacchi dei militanti.

Le immagini satellitari mostrano quanto il paesaggio che i Palestinesi attraversano provenendo da Gaza sia stato trasformato dall’insurrezione, incluso lo scorso anno quando l’Egitto lanciò l’operazione Sinai 2018 per “liberare il territorio egiziano dai terroristi”.

Dove una volta il traffico fluiva facilmente attraverso le città del Sinai settentrionale come Sheikh Zuwayd, situata tra Rafah e Arish, ora le strade sono state liberate anche dalle auto parcheggiate e gli incroci principali trasformati in posti di blocco con argini di terra e veicoli blindati.

Le esperienze a questi punti di controllo variano. Ghunaim ha detto che sono stati “trattati come animali”.

“Senti che i tuoi fratelli, gli Arabi, sono ancor più schifosi degli Israeliani . I musulmani sono contro di noi. Il lato più grande dell’assedio attorno a Gaza. Ti senti come se tu non fossi nessuno”, ha detto.

Soldati egiziani in piedi su un veicolo blindato sul lato egiziano di Rafah (AFP)

Altri invece affermano che i locali sono amichevoli e simpatetici con i Palestinesi che lasciano Gaza.

“A volte, quando l’esercito egiziano sa che siamo Palestinesi, ci facilitano le cose”, dice Khalid. “E’ una cosa che apprezziamo.”

I ritardi del viaggio sono aggravati dalla chiusura, nel 2013, del ponte al-Salaam sul canale di Suez, fatto che costringe tutti a prendere un traghetto. I Palestinesi dicono che il tempo trascorso ai posti di blocco e in attesa di autobus e traghetti ha trasformato il viaggio in autobus di circa sette ore da Rafah al Cairo, in uno che può richiedere fino a quattro giorni.

L’attesa al Cairo

Dopo i quattro giorni in attesa di autobus e traghetti, ai valichi e ai posti di blocco, Ghunaim aveva solo un giorno da trascorrere al Cairo prima del suo volo per la Tunisia, dove avrebbe lavorato con artisti locali.

 “Per i Gazawi in Egitto, la vita è davvero difficile”- Mahmoud, Palestinese

Ma molti devono aspettare ancora più lungo. Alcuni perché  in un Paese in cui hanno poco status è difficile ottenere il visto, anche quando hanno inviti per lavorare o studiare all’estero, mentre altri semplicemente perchè stanno cercando di capire cosa fare dopo.

Mahmoud ha trascorso tre settimane al Cairo dopo il suo viaggio attraverso il Sinai, trovando una stanza in un appartamento condiviso con altri Palestinesi che avevano pagato il tanseeq. Molti di loro stavano  cercando di capire cosa fare dopo, ha detto.

“Se vuoi davvero lasciare Gaza, dovresti andartene ed essere consapevole di cosa stai facendo. E’ una triste verità “, ha detto.

“Vogliono un cambiamento perché la situazione di Gaza è immutabile. Vogliono andare in Egitto per cercare nuove opportunità … alcuni di loro cercano di volare in Europa  per chiedere asilo, ma la maggior parte viene rimandata a Gaza perché senza visto viene loro impedito di salire sull’aereo”.

* Alcuni nomi sono stati modificati per proteggere l’identità della fonte.

 

Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” Invictapalestina.org

Fonte:https://www.middleeasteye.net/news/leaving-hell-live-hell-journey-gaza-through-egypt-941910387?fbclid=IwAR3prt2ZNY426NI6M-ujGkvY2SAoe75yjtpadVJwAwBmoFp0lXYtcygz570:

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