Cosa significa veramente”La Palestina sarà libera dal fiume al mare”?

Quando i palestinesi proclamano “dal fiume al mare, la Palestina sarà libera”, molti sionisti sostengono che si tratta di un appello palestinese al genocidio.

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Yousef Munayyer – giugno 2021

Immagine di copertina: Una donna mostra  uno striscione con la scritta “Dal fiume al mare, la Palestina sarà libera” durante una protesta pro-palestinese a Buenos Arires, 17 maggio 2021. Foto: Manuel Cortina/NurPhoto via AP

Nelle passate settimane, mentre i palestinesi protestavano nella loro patria,  in Medio Oriente e in tutto il mondo, avrete probabilmente sentito urlare lo slogan “dal fiume al mare, la Palestina sarà libera”. Nelle città di tutto il mondo, i manifestanti hanno reagito alle minacce di espulsione dei residenti palestinesi dalle loro case a Gerusalemme, agli attacchi israeliani ai luoghi santi e al bombardamento di Gaza. Se avete visto o partecipato a una di queste proteste, probabilmente avrete visto questo slogan stampato su un cartello o l’avrete sentito passare tra la folla.

Potreste anche aver sentito affermare che questo slogan è antisemita o addirittura genocida. Il 19 maggio, ad esempio, la New Yorker Union è stata ampiamente attaccata per aver twittato: “Solidarietà con i palestinesi dal fiume al mare che ieri hanno fatto uno sciopero di 24 ore per la loro dignità e la loro liberazione”. Sia per effettiva ignoranza che per malafede, i critici della formulazione “dal fiume al mare” hanno sostenuto che il sindacato, e altri che il mese scorso hanno usato lo stesso slogan, stavano implicitamente chiedendo non solo lo smantellamento dello Stato di Israele, ma la pulizia etnica dell’intera regione, dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo, un’area che comprende la Cisgiordania, Gaza e tutto Israele all’interno dei suoi confini pre-1967 internazionalmente riconosciuti, e della sua popolazione ebraica. (Sfortunatamente, il sindacato ha fatto marcia indietro di fronte a queste diffamazioni.)

Come molti palestinesi, uso da tempo questa frase. Circa un decennio fa, Peter Beinart aprì un blog su The Daily Beast chiamato “Open Zion” volto a riunire una serie di punti di vista su Israele/Palestina. Mi invitò a partecipare regolarmente: all’inizio ero titubante, dato il nome. Un progetto chiamato “Open Zion” sarebbe davvero stato aperto ad argomenti che mettessero in discussione i principi del sionismo? Accettai di partecipare a condizione che potessi scrivere quello che volevo e che la mia rubrica si potesse intitolare “Dal fiume al mare”. Come spiegai a Peter, non ero interessato alla crisi di identità di Israele sul fatto che potesse essere sia ebraico che democratico; ero preoccupato che ai palestinesi venissero negati i diritti fondamentali in tutta la loro patria. La mia rubrica, “Dal fiume al mare”, sarebbe stata incentrata sull’unità dell’esperienza palestinese e su come tutti i palestinesi affrontavano una lotta condivisa contro il sionismo, indipendentemente da dove vivevano.

Oggi credo che il discorso si sia sempre più spostato in questa direzione. Ciò è dovuto in parte a un generale risveglio intellettuale e morale – nei media, nel mondo accademico, negli spazi dell’attivismo e persino tra alcuni funzionari eletti – sul tema Israele/Palestina, ma anche a causa delle realtà sempre più orribili sul campo. Più che mai, le persone in tutto il mondo stanno accettando che il problema va ben oltre l’occupazione della Cisgiordania e che la discriminazione contro i palestinesi si verifica su entrambi i lati della Linea Verde.

La recente rivolta palestinese ha prefigurato una lotta futura in cui la Linea Verde non è importante, perché in tutto il paese i palestinesi si sono mobilitati collettivamente sotto la loro bandiera nazionale. La frase “dal fiume al mare” cattura questo futuro come nessun altro può fare, perché racchiude l’intero spazio in cui i diritti dei palestinesi sono negati. È in questo spazio che i palestinesi cercano di vivere liberamente. È attraverso questo spazio – e attraverso le divisioni politiche e geografiche che il governo israeliano ha imposto – che i palestinesi devono unirsi per creare il cambiamento. È questo spazio che i palestinesi chiamano casa, indipendentemente da come lo chiamano gli altri.

“Dal fiume al mare” è una replica alla frammentazione della terra e del popolo palestinese dovuta all’occupazione e alla discriminazione israeliana. I palestinesi sono stati divisi in una miriade di modi dalla politica israeliana. Ci sono rifugiati palestinesi a cui è stato negato il rimpatrio a causa delle leggi discriminatorie israeliane. Ci sono palestinesi a cui è negata la parità di diritti all’interno del territorio israeliano riconosciuto a livello internazionale, dove vive come cittadini di seconda classe. Ci sono palestinesi che vivono senza diritti di cittadinanza sotto l’occupazione militare israeliana in Cisgiordania. Ci sono palestinesi in un limbo legale nella Gerusalemme occupata che rischiano l’espulsione. Ci sono palestinesi a Gaza che vivono sotto l’assedio israeliano. Tutti loro soffrono di una serie di politiche in un singolare sistema di discriminazione e apartheid, un sistema che può essere sfidato solo dalla loro opposizione unificata. Tutti hanno il diritto di vivere liberamente nella terra dal fiume al mare.

Ma è proprio perché il colonialismo dei coloni sionisti ha beneficiato e perseguito la frammentazione palestinese che cerca di caratterizzare erroneamente e di distruggere le strutture retoriche inclusive e unificanti. Ad esempio, il giornalista Marc Lamont Hill è stato attaccato e infine rimosso dal suo incarico alla CNN per aver chiesto la libertà dei palestinesi “dal fiume al mare”. Dopotutto, è molto più facile dominare un popolo diviso che combatte battaglie diverse su fronti diversi, che dominare un popolo unito in un’unica battaglia per gli stessi diritti universali.

Dal momento che i sionisti lottano per argomentare in modo convincente contro la libertà, la giustizia e l’uguaglianza per tutte le persone in tutto il paese, cercano di attaccare il messaggio e il messaggero. Quando i palestinesi proclamano “dal fiume al mare, la Palestina sarà libera”, molti sionisti sostengono che si tratta di un appello palestinese al genocidio. Ma come ha notato lo storico Maha Nassar, non c’è mai stata una “posizione ufficiale palestinese che chiedesse la rimozione forzata degli ebrei dalla Palestina”. I collegamenti tra questa frase e l’eliminazionismo potrebbero essere il prodotto di “una campagna mediatica israeliana svoltasi dopo la guerra del 1967 che sosteneva che i palestinesi desiderassero ‘buttare gli ebrei in mare'”. Anche gruppi ebraici come l’American Jewish Committee affermano che lo slogan è antisemita. perché è stato ripreso da gruppi militanti come l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e Hamas. Ma come scrive Nassar, la frase precede questi usi e ha le sue origini come “parte di un più ampio appello a vedere uno stato democratico laico stabilito in tutta la Palestina storica”.

L’affermazione che la frase “dal fiume al mare” abbia un intento genocida non si basa su una documentazione storica, ma piuttosto sul razzismo e sull’islamofobia. Secondo quella logica, non ci si può fidare di questi palestinesi, anche se chiedono l’uguaglianza, poiché la loro vera intenzione è lo sterminio. Per giustificare la violenza senza fine contro i palestinesi, quella logica cerca di descriverci come selvaggi irrazionali ostinati a uccidere gli ebrei. Né il tentativo di collegare i palestinesi all’eliminazionismo si ferma alla deliberata errata caratterizzazione di questo slogan, che è invece presente in molti altri contesti. Nel 2015, ad esempio, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si impegnò nel revisionismo dell’Olocausto affermando che era stato un palestinese, non Hitler, a ispirare la soluzione finale. Angela Merkel, la cancelliera tedesca, dovette ricordare al primo ministro israeliano che i responsabili dell’Olocausto erano stati i tedeschi. Alzare lo spettro costante dell’eliminazionismo ha un’utilità politica per i sionisti; in un ambiente così minaccioso, i perpetui abusi sui palestinesi possono essere razionalizzati.

Questa logica contorta non è riservata solo ai palestinesi. I gruppi emarginati sono spesso accusati di non essere affidabili e di avere secondi fini volti a distruggere la società. Gli ebrei dovrebbero conoscere bene questo tropo, poiché è stato a lungo una caratteristica centrale dell’antisemitismo. In effetti, il peggior attacco antisemita nella storia americana è stato compiuto negli ultimi anni da un assassino che ha attaccato una sinagoga perché pensava che gli ebrei stessero distruggendo la società dominata dai cristiani bianchi  accettando immigrati neri con la scusa dell’umanitarismo.

Fondamentalmente, tali argomenti ignorano ciò che chiedono i palestinesi quando usano la frase in questione: uno stato in cui i palestinesi possano vivere nella loro patria come cittadini liberi ed eguali, né dominati da altri né dominandoli. Quando chiediamo una Palestina libera dal fiume al mare, è proprio il sistema di dominio esistente che cerchiamo di eliminare.

 

Yousef Munayyer è uno scrittore e uno studioso presso l’Arab Center Washington DC.

 

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” – Invictapalestina.org