Guerra Israele-Palestina: L’obiettivo finale di Israele è molto più sinistro del ripristino della “sicurezza”

Israele ha colto questa opportunità per soddisfare le ambizioni territoriali sioniste in mezzo “alla nebbia della guerra” inducendo un’ultima ondata di catastrofica spoliazione palestinese

Fonte: English version

Di Richard Falk – 3 novembre 2023

Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres è stato recentemente messo alla gogna da Israele perché ha affermato una verità evidente, osservando che l’attacco di Hamas del 7 ottobre “non è arrivato dal nulla”.

Guterres stava richiamando l’attenzione del mondo sulla lunga serie di gravi provocazioni criminali di Israele nella Palestina Occupata, che si sono verificate da quando Israele è diventata la Potenza Occupante dopo la Guerra del 1967.

All’occupante, un ruolo che dovrebbe essere temporaneo, in tali circostanze è affidato il compito di sostenere il diritto umanitario internazionale garantendo la sicurezza e l’incolumità della Popolazione Civile Occupata, come enunciato nella Quarta Convenzione di Ginevra.

Israele ha reagito con tanta rabbia alle osservazioni del tutto appropriate e accurate di Guterres perché potrebbero essere interpretate come implicanti che Israele “se l’è cercata” alla luce dei suoi gravi e numerosi abusi contro Ia popolazione civile nei Territori Palestinesi Occupati, in modo più flagrante a Gaza, ma anche in Cisgiordania e a Gerusalemme.

Dopotutto, se Israele potesse presentarsi al mondo come una vittima innocente dell’attacco del 7 ottobre, un episodio che è stato esso stesso pieno di crimini di guerra, potrebbe ragionevolmente sperare di ottenere carta bianca dai suoi protettori in Occidente per reagire a suo piacimento, senza essere infastidito dai vincoli del diritto internazionale, dell’autorità delle Nazioni Unite o della moralità comune.

Infatti, Israele ha risposto all’attacco del 7 ottobre con la sua tipica abilità nel manipolare il dibattito globale che modella l’opinione pubblica e guida le politiche estere di molti importanti Paesi. Tali tattiche sembrano quasi superflue in questo caso, poiché gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno rapidamente rilasciato un’approvazione generale per qualunque cosa Israele abbia fatto in risposta, per quanto vendicativo, crudele o estraneo al ripristino della sicurezza del confine israeliano.

Il discorso di Guterres alle Nazioni Unite ha avuto un impatto così drammatico perché ha bucato la facciata d’innocenza costruitasi ad arte da Israele, in cui l’attacco del 7 ottobre è arrivato all’improvviso. Questa decontestualizzazione ha distolto l’attenzione dalla devastazione di Gaza e dall’Assalto Genocida alla sua popolazione di 2,3 milioni di abitanti, in stragrande maggioranza innocente e da lungo tempo vittima.

Incredibili lacune

Ciò che trovo strano e inquietante è che, nonostante il consenso sul fatto che l’attacco di Hamas sia diventato fattibile solo a causa di straordinarie carenze nelle capacità di intelligence di Israele, presumibilmente ineguagliabili, e nella rigorosa sicurezza dei confini, questo fattore è stato raramente discusso da quel giorno.

Invece di riempirsi la bocca di veleno, perché in Israele e altrove non ci si è concentrati sull’adozione di misure di emergenza per ripristinare la sicurezza israeliana correggendo queste costose mancanze, che sembrerebbero essere il modo più efficace per garantire che nulla di paragonabile al 7 ottobre possa ripetersi?

Posso comprendere la riluttanza del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu a sostenere questa spiegazione o questa forma di risposta, poiché equivarrebbe a una confessione della sua personale corresponsabilità per la tragedia traumaticamente vissuta da Israele quando i combattenti palestinesi si sono riversati oltre il confine.

Ma che dire degli altri in Israele e tra i governi che lo sostengono?

Indubbiamente, Israele sta con ogni probabilità indirizzando urgentemente tutti i mezzi a sua disposizione per colmare queste incredibili lacune nel suo sistema di sicurezza e per rafforzare le sue capacità militari lungo i confini relativamente ristretti di Gaza.

Non è necessario essere un esperto di sicurezza per concludere che affrontare efficacemente questi problemi di sicurezza farebbe di più per prevenire e scoraggiare futuri attacchi di Hamas, rispetto a infliggere questo ciclo continuo di punizioni devastanti alla popolazione palestinese di Gaza, pochissima della quale è coinvolta con l’ala militare di Hamas.

Furia Genocida

Netanyahu ha dato ulteriore plausibilità a tale speculazione presentando una mappa del Medio Oriente senza includere la Palestina, cancellando di fatto i palestinesi dalla loro stessa Patria, durante un discorso di settembre alle Nazioni Unite, dove ha parlato di una nuova pace in Medio Oriente nella prospettiva di normalizzazione tra Israele e l’Arabia Saudita. La sua presentazione equivaleva ad un’implicita negazione del consenso delle Nazioni Unite sulla Soluzione dei Due Stati come tabella di marcia per la pace.

Nel frattempo, la Furia Genocida della risposta di Israele all’attacco di Hamas sta facendo infuriare le persone in tutto il mondo arabo, di fatto in tutto il mondo, anche nei Paesi occidentali. Ma dopo più di tre settimane di bombardamenti spietati, assedio totale e sfollamenti forzati di massa, la discrezione di Israele di scatenare questo fiume di violenza su Gaza deve ancora essere messa in discussione dai suoi sostenitori occidentali.

Gli Stati Uniti, in particolare, stanno sostenendo Israele alle Nazioni Unite, usando il loro veto quando necessario in seno al Consiglio di Sicurezza, e votando con quasi nessuna solidarietà assieme ai principali Paesi contro un cessate il fuoco all’Assemblea Generale. Anche la Francia ha votato a favore della Risoluzione dell’Assemblea Generale, e il Regno Unito ha avuto perlomeno la decenza di astenersi, entrambi probabilmente sottoposti alle pressioni populiste montate da grandi e rabbiose manifestazioni di piazza nei rispettivi Paesi.

Nel reagire alle tattiche israeliane a Gaza si è anche dimenticato che, fin dal primo giorno, il governo estremista ha avviato una serie scioccante di provocazioni violente in tutta la Cisgiordania Occupata. Molti hanno interpretato questo palese scatenarsi della violenza dei coloni come parte della Fase Finale del Progetto Sionista, volto a ottenere la vittoria sui resti della Resistenza Palestinese.

Non c’è motivo di dubitare che Israele abbia deliberatamente reagito in modo eccessivo all’attacco del 7 ottobre, impegnandosi immediatamente in una risposta Genocida, soprattutto se il suo scopo era quello di distogliere l’attenzione dall’intensificarsi della violenza dei coloni in Cisgiordania, acuita dalla distribuzione di armi da parte del governo alle “Squadre di Sicurezza Civile”.

Il piano finale del governo israeliano sembra essere quello di porre fine una volta per tutte alle fantasie di spartizione delle Nazioni Unite, conferendo autorità all’obiettivo massimalista sionista di annessione o sottomissione totale dei palestinesi della Cisgiordania.

Infatti, per quanto ossessivo possa sembrare, la dirigenza israeliana ha colto l’occasione del 7 ottobre per “Finire il Lavoro” commettendo un Genocidio a Gaza, con la scusa che Hamas rappresentava un pericolo tale da giustificare non solo la sua distruzione, ma questo indiscriminato attacco contro l’intera popolazione.

La mia analisi mi porta a concludere che questa guerra in corso non riguarda principalmente problemi di sicurezza posti da Gaza o le minacce alla sicurezza poste da Hamas, ma piuttosto qualcosa di molto più sinistro e assurdamente cinico.

Israele ha colto questa opportunità per soddisfare le ambizioni territoriali sioniste in mezzo “alla nebbia della guerra” inducendo un’ultima ondata di catastrofica espropriazione palestinese. Che si chiami “Pulizia Etnica” o “Genocidio” è di secondaria importanza, anche se si qualifica già come una delle più grandi catastrofi umanitarie del 21º secolo.

Di fatto, il popolo palestinese è vittima di due catastrofi convergenti: una politica, l’altra umanitaria.

Richard Falk è Professore Emerito di Diritto Internazionale della Fondazione Albert G. Milbank presso l’Università di Princeton, detentore di una Cattedra di Diritto Globale presso l’Università Queen Mary di Londra e Ricercatore Associato del Centro di Studi Globali di Orfalea, UCSB. Nel 1965 ha agito come difensore dell’Etiopia e della Liberia nei casi dell’Africa sudoccidentale davanti alla Corte Internazionale di Giustizia. Un recente libro (Re)Immaginare una Dirigenza Globale Umana ([Re]Imagining Humane Global Governance – 2014) propone una valutazione orientata al valore dell’ordine mondiale e delle tendenze future. I suoi libri più recenti sono: Intervento Umanitario e Guerre di Legittimità (Humanitarian Intervention and Legitimacy Wars – 2014) Palestina: La Legittimità Della Speranza ( Palestine: The Legitimacy of Hope – 2014) e Caos e Controrivoluzione: Dopo la Primavera Araba (Chaos and Counterrevolution: After the Arab Spring – 2015). Nel 2001 ha fatto parte di una Commissione d’inchiesta sui diritti umani per i Territori della Palestina composta da tre persone, nominata dalle Nazioni Unite e, in precedenza, membro della Commissione Internazionale Indipendente sul Kosovo. Tra il 2008 e il 2014 Falk è stato Relatore Speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nella Palestina occupata. Tra i suoi primi libri ci sono Religione e Dirigenza Umana Globale (Religion and Humane Global Governance – 2001); Orizzonti dei Diritti Umani (Human Rights Horizons – 2000); Sulla Dirigenza Umana: Verso Una Nuova Politica Globale (On Humane Governance: Toward a New Global Politics – 1995); Esplorazioni ai Confini del Tempo (Explorations at the Edge of Time – 1993) Rivoluzionari e Funzionari (Revolutionaries and Functionaries – 1988); La promessa dell’Ordine Mondiale (The Promise of World Order – 1988); Armi Indifendibili (Indefensible Weapons – 1983); Diritti Umani e Sovranità Statale (Human Rights and State Sovereignty – 1981); Uno Studio sui Mondi Futuri (A Study of Future Worlds – 1975); Questo Pianeta in Via di Estinzione (This Endangered Planet – 1973); e coeditore di Crimini di Guerra (Crimes of War – 2006). Attualmente dirige presso l’UCSB un progetto sui cambiamenti climatici, la sicurezza umana e la democrazia e ricopre il ruolo di vicepresidente senior del consiglio di amministrazione della Fondazione per la Pace nell’Era Nucleare (Nuclear Age Peace Foundation).

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org