“C’erano corpi ovunque. Scene orribili, sufficienti a far piangere una pietra” Il viaggio straziante di una famiglia fuori da Gaza City

Zakaria Baker e la sua famiglia sono stati costretti dalle bombe israeliane a lasciare la loro casa nel campo profughi di Al-Shati il 7 novembre. Mentre viaggiavano verso sud, per oltre 15 chilometri, sono stati testimoni di incredibili orrori, e non tutti sono sopravvissuti al viaggio. Questa è la loro storia.

Fonte: English version

Zakaria Baker – 4 dicembre 2023

Immagine di copertina: Palestinesi fuggono nel sud della Striscia di Gaza in via Salah al-Din a Bureij, Striscia di Gaza, mercoledì 8 novembre 2023. (Foto: Stringer / APA Images)

Nota dell’editore: la seguente testimonianza è stata resa da Zakaria Baker l’11 novembre 2023. La testimonianza è stata raccolta da Amplify Gaza Stories, un’organizzazione che lavora sul campo a Gaza per raccogliere e tradurre testimonianze degli abitanti di Gaza, garantendo che le loro storie di lotta, resilienza e sopravvivenza vengano ascoltate.

11 novembre 2023

Sono Zakaria Baker, una delle persone sfollate dalle proprie case quattro giorni fa, il 7 novembre 2023.

L’inizio dell’evacuazione si è svolto così: un ufficiale dell’intelligence israeliana ha chiamato uno dei miei cugini. C’erano circa  una ventina seduti su delle sedie. Il bombardamento del campo profughi di Al-Shati non si fermava un solo secondo. I missili lanciati contro il campo non potevamo né vederli né sentirli. Erano  barrel bomb. Quando vennero lanciate su un blocco residenziale di sei o sette case, lo distrussero completamente. La cosa più spaventosa e dolorosa è che questi missili vengono lanciati contro case abitate.  Nel campo di Al-Shifa i corpi sono ancora sotto le macerie. Potevamo sentirne l’odore.

L’ufficiale dell’intelligence israeliana ha chiamato uno dei miei cugini che era seduto con noi e ha detto: “Bakers, perché non ve ne siete andati? I vostri vicini sono stati evacuati. Avete 30 minuti per partire. Se non lo fate, vi faremo cadere la morte addosso”.

Ok, mezz’ora… Cosa facciamo? Siamo famiglie con bambini e dobbiamo prepararci a partire?

Zakaria Bakr (Foto: Musheir El-Farra)

Meno di mezz’ora dopo, circa 20 minuti, forse meno, il bombardamento iniziò a pochi metri da noi. Stava prendendo di mira le case che erano a sole due o tre case dalla nostra. Non potevamo portare nulla con noi, solo alcuni farmaci, perché avevo da poco subito un intervento a cuore aperto. Così abbiamo camminato – donne, bambini e anziani – e mentre continuavamo a camminare, i bombardamenti si avvicinavano alle nostre case. Ogni volta che passavamo davanti a una casa, subito dopo veniva distrutta.

Il bombardamento è continuato fino alla moschea Rono vicino all’ospedale Al-Shifa. Quando siamo arrivati sotto la moschea, una bomba ha colpito il minareto. C’erano migliaia di persone in strada. Alcune di loro provenivano anche dall’ospedale. Con noi c’erano molti anziani. C’erano 160 persone della nostra famiglia, e della nostra famiglia allargata erano circa 4 o 5mila.

Abbiamo iniziato tutti a camminare. Quando abbiamo raggiunto Al-Shifa c’erano migliaia di persone. La maggior parte di loro erano residenti nei dintorni dell’ospedale Al-Shifa, o persone che avevano cercato rifugio all’interno dell’ospedale, ma che erano fuggite perché l’edificio era stato preso di mira.

​Abbiamo raggiunto lo svincolo di Dola, avevamo già percorso circa cinque-sei chilometri. Abbiamo visto un autobus dall’aspetto malmesso, ma funzionante, e abbiamo chiesto all’autista di portarci allo svincolo. Ci ha chiesto 80 shekel, ed eravamo circa 40 persone. Ci siamo accordati per 80 shekel, fino alla rotonda di Dola, vicino a Salah al-Din. Abbiamo raggiunto lo svincolo di Dola, siamo scesi dall’autobus, e abbiamo camminato per circa un chilometro dopo la rotatoria del Kuwait, e abbiamo visto enormi folle, sai, non pensare centinaia o migliaia o decine di migliaia, erano centinaia di migliaia di persone e vi erano scene orribili: donne di 80 e 90 anni, uomini anziani di 70 e 80 anni, alcuni di loro feriti, altri con bambini in braccio. Abbiamo continuato a camminare finché non abbiamo incontrato un asino e un carro, e il proprietario ci ha chiesto 20 shekel, quindi abbiamo caricato tutto su questo carro: donne, bambini, tutti i nostri bagagli, tutto ciò che potevamo mettere sul carro. A metà salita l’asino faticava, quindi il conducente ci ha chiesto di spingere. Abbiamo spinto finché non siamo stati a meno di 100 metri dall’IDF israeliano. Siamo scesi, e i soldati ci hanno chiesto di mostrare i nostri documenti d’identità. Ho preso in braccio mio nipote e ho giocato con lui per rassicurarlo. Abbiamo camminato fino a 10 metri dai soldati. Hanno detto: “Fermi”. Ci siamo fermati. Abbiamo visto tre carri armati muoversi davanti a noi. Una volta passati, ci è stato detto di proseguire.

Avevamo solo una valigia a testa. C’erano corpi ovunque. Alcuni si decomponevano, altri erano carbonizzati. Abbiamo visto un’auto con una persona morta a bordo. La sua metà inferiore era intatta, la metà superiore era decomposta. Scene orribili, sufficienti a far piangere una pietra. Abbiamo lasciato l’area con i carri armati e ci siamo spostati al ponte Wadi Gaza, e ci hanno detto che ora eravamo in una zona sicura. Dalla zona dei carri armati fino a Wadi Gaza, mio nipote ha continuato a piangere, aveva fame. C’era un muretto e abbiamo lasciato che sua madre lo usasse per nascondersi dietro di esso,  così da poterlo allattare e farlo smettere di piangere.Ci siamo sentiti un po’ più tranquilli dopo che mio nipote è stato nutrito. Abbiamo continuato a camminare in una enorme colonna di persone.

Sul ponte non potevamo fermarci. Era vietato fermarsi. Una delle donne anziane che era con noi, sposata con un mio parente, , si chiamava Kefah Bakr e aveva 86 anni, è caduta per la stanchezza ed è morta, non è riuscita a sopravvivere al viaggio, alla camminata. È stata piuttosto fortunata perché è morta 10 metri dopo aver attraversato l’area controllata dall’IDF israeliano, e così è stata portata in ospedale.

Nell’area del serbatoio, non era permesso guardare a sinistra o a destra. Si poteva solo  guardare dritto.

Domanda di Mohammed Ghalayini, un volontario di Amplify Gaza Stories: le istruzioni dei soldati venivano date dagli altoparlanti?

No, le istruzioni venivano passate da una persona all’altra. Le persone davanti venivano istruite a fare qualcosa, poi lo dicevano a qualcuno dietro di loro e così via.

Molti anziani sono caduti e sono stati abbandonati. La gente li oltrepassava. Una persona si è chinata per raccogliere la valigia che gli era caduta. Il suo nome era Alaa Abu-Stata. E’ stato ucciso a colpi di arma da fuoco. Molte delle donne anziane non sono riuscite a sopportare la fatica e sono cadute. Nessuno osava fermarsi per aiutarle, tutti coloro che l’avessero fatto, sarebbero stati uccisi. Quindi abbiamo dovuto sacrificare una persona anziana per salvarne altre 10 o 20 dalla fucilazione o dall’umiliazione. Ho visto quattro casi, una persona è stata chiamata per nome dagli altoparlanti. Lo hanno spogliato nudo, lo hanno arrestato e nessuno sa dove lo abbiano portato. Nessuno sa niente di lui. Questo è quello che ho visto a una distanza di 100 metri, e altri hanno visto casi simili di arresti.

Abbiamo continuato a camminare fino a Burej. Immaginatevi! Da Al-Shati’ al ponte – qualcosa come 15 chilometri. A Burej non c’erano automobili, solo camion. È arrivato un camionista e gli ho detto che volevamo andare a Khan Younis o nella zona di Hamad. Ha chiesto 300 shekel. Ho detto, non importa, portaci via di qui. Abbiamo così raggiunto Hamad.

Domanda: avete trovato alloggio a Hamad?

No, non siamo riusciti a trovare nessuna stanza. Abbiamo trascorso tre notti dormendo  per terra, senza protezione, sotto il cielo: notti fredde. La terza notte, solo la terza notte, abbiamo acceso alcune torce per allontanare insetti e mosche dai bambini di otto e nove mesi. Il 4° giorno siamo riusciti a risolvere la situazione. Abbiamo rotto un tramezzo che appartiene al comune, circa 4 metri quadrati, e ci abbiamo messo 40 persone. Ne ho ricavato una tenda improvvisata con teli di plastica usati, e lì hanno potuto ripararsi sei famiglie.

Da ieri alle 12:00 non siamo riusciti a trovare un pezzo di pane. Facciamo un pasto al giorno, per due motivi: per evitare di andare in bagno e perché non riusciamo a trovare cibo. È una guerra della fame. Niente cibo in scatola. Abbiamo girato tutti i supermercati e non abbiamo trovato nulla. Le donne dormono con gli stessi vestiti con cui sono uscite di casa. Quest’acqua mi è stata data da Abu Mohammed. Siamo stati sottoposti al dolore, alla sofferenza, alla rabbia, all’umiliazione. Non riesco a più parlare.

Da quando questa storia è stata registrata, Baker, la sua famiglia e migliaia di altre persone  sfollate sono state nuovamente costrette a lasciare il loro rifugio nella città di Hamad, Khan Younis, il 2 dicembre, dopo aver ricevuto un ordine di evacuazione dall’esercito israeliano.

 

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” – Invictapalestina.org