Una storia di sfollamento e di perdita della mia patria

La nostra Nakba viene trasmessa in tempo reale affinché il mondo intero possa vederla. Tutti possono assistere al nostro massacro e alla nostra morte collettiva. Il nostro semplice sogno è stato distrutto da Israele, per l’unico peccato dell’essere nati sotto occupazione.

Fonte: English version

Tareq Hajjaj – 5 dicembre 2023

Immagine di copertina: Palestinesi sfollati arrivano a Rafah in fuga dal bombardamento israeliano di Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza, 5 dicembre 2023. (Foto: © Abed Rahim Khatib/dpa via ZUMA Press APA Images)

Quando ho lasciato la mia casa nel quartiere Shuja’iyya di Gaza City per recarmi nel vicino quartiere di Zeiytoun, sapevo che questa non sarebbe stata l’unica tappa nel viaggio di sfollamento della mia famiglia. Mi era chiaro cosa sarebbe successo dopo. Israele avrebbe approfittato di questa opportunità per porre fine alla presenza palestinese a Gaza ed espellerci nel Sinai. Questo è ciò che Israele ha sempre desiderato e che fino ad ora era stato fermato solo dal rifiuto dei leader arabi.

Questa volta, però, sembra che tutto sia chiaro e pianificato in anticipo. Questa volta c’è il pericolo reale di perdere la nostra patria, forse per sempre, e di essere costretti a rifugiarci in Egitto. La nostra sola scelta è restare e rischiare morire. Siamo costretti a lasciare le nostre case distrutte. Siamo costretti ad abbandonare i nostri ricordi sepolti sotto le macerie. Siamo costretti a lasciare andare i sogni che abbiamo costruito in quelle case.

Dopo aver lasciato il nord di Gaza per andare a sud, ci siamo stabiliti a Khan Younis, ma non mi illudevo che saremmo rimasti lì per molto tempo, anche se l’esercito la definiva una “zona sicura”. Ben presto anche Khan Younis sarebbe stata svuotata dei suoi abitanti e tutti sarebbero stati costretti a dirigersi verso Rafah, al confine con l’Egitto. E dopo che Khan Younis sarà stata svuotata dei suoi abitanti – dopo che le sue infrastrutture saranno state distrutte, dopo che i suoi edifici saranno stati rasi al suolo e dopo che coloro che sono rimasti saranno uccisi – sarà il momento in cui sarà il turno di Rafah di essere sfollata, ma questa volta sarà per andare via  dalla Palestina.

In fuga da Khan Younis

Venerdì scorso a Khan Younis ci siamo svegliati con il rumore di un forte bombardamento. Il suono era vicino e terrificante. Nelle settimane precedenti, anche se Khan Younis era stata attaccata, si poteva ancora dire che le condizioni erano relativamente stabili, perché in quella parte della Striscia il tipo di bombardamento era meno intenso e non 24 ore su 24. Non più.

Il bombardamento era ormai ovunque. Scuoteva  tutto. Chiunque si trovava in casa veniva buttato a terra dalla forza delle esplosioni vicine. Tutti questi bombardamenti sono avvenuti la mattina presto, tra le 5:00 e le 6:00. Alle 7:00 l’esercito di occupazione ha iniziato a chiamare i nostri cellulari. Tutti in quella zona di Khan Younis hanno ricevuto la stessa chiamata che avvisava i residenti di aree specifiche di evacuare.

“La vostra zona di residenza è ormai diventata un pericoloso campo di battaglia. È necessario evacuare immediatamente nelle aree sicure indicate dalle forze di difesa israeliane”, recita la registrazione dell’esercito. Una di queste aree era chiamata al-Mawasi, nella parte occidentale di Khan Younis, e si estendeva a sud lungo la costa fino a Rafah.

All’inizio la mia famiglia ha deciso di non trasferirsi perché non avevamo un posto che potesse ospitare una famiglia composta principalmente da donne, bambini e anziani. Eravamo in otto e vivevamo nella stessa casa: la mia famiglia, composta da quattro persone, e la famiglia di mio suocero, anch’essa composta da quattro persone. Abbiamo deciso di non andare in nessuno dei centri di accoglienza per sfollati, dove le condizioni sono così terribili che gli anziani e i fragili tra noi non sarebbero sopravvissuti. Mia madre è anziana e soffre di diabete e malattie cardiache. E’ anche cieca. Abbiamo deciso di restare

Siamo rimasti fermi in quella decisione fino alla sera di quello stesso giorno. Sono uscito in strada per vedere come la gente reagiva alle telefonate dell’esercito. Ho visto persone fare le valigie e lasciare la zona. La gente abbandonava Khan Younis in massa mentre le donne cercavano carri trainati da animali per trasportare le loro cose. I più fortunati sono riusciti a utilizzare un’auto o un camion, ma la maggior parte procedeva a piedi, trasportando borse, valigie, zaini, bombole di propano, materassi arrotolati e prodotti alimentari come la farina.

Sono tornato nella casa in cui alloggiavamo e ho detto alla mia famiglia che tutti se ne stavano andando. Rimanevano solo poche case, ancora abitate. E’ stato allora che Israele ha bombardato due case all’interno del nostro blocco residenziale. La forza delle esplosioni ha mandato in frantumi le finestre della nostra casa. Il fumo ha riempito la stanza mentre mia madre e mio figlio neonato hanno iniziato a tossire in modo incontrollabile. Siamo scesi freneticamente in strada nel tentativo di fuggire dal fumo. Era ovunque, una nebbia grigia che trasportava polvere e odore di polvere da sparo. Non potevamo vedere nulla né davanti a noi, né l’uno verso l’altro. Urlavamo i nostri nomi e cercavamo di restare uniti. Quei momenti sono stati tra i più terrificanti che abbia mai vissuto, e le esplosioni non erano nemmeno così vicine, poiché dozzine di case ci separavano dagli obiettivi bombardati.

L’edificio di quattro piani preso di mira apparteneva alla famiglia Siam. L’attacco ha ucciso oltre quindici persone, la maggior parte delle quali donne e bambini. Una donna anziana è emersa dalla devastazione, indossava gli abiti di casa, era ricoperta di polvere, una mano semi-mozzata, ma era ancora viva. Lei era in piedi e urlava.

“Salvate i miei figli!” implorava le persone per strada accorse sul posto. Nessuno ha osato entrare, per una semplice ragione: l’esercito israeliano ora prende di mira gli edifici due volte, prima con un attacco iniziale che distrugge la casa e poi con un altro per uccidere il maggior numero di persone possibile. Questa pratica è diventata così comune che le persone a Gaza sono abituate ad aspettare il secondo attacco prima di andare a cercare i sopravvissuti

La donna anziana, sanguinante, continuava a urlare, implorare e ad aggrapparsi alle persone vicino a lei. La nostra decisione di lasciare Khan Younis è stata presa quella notte. La strategia israeliana di terrorizzarci e costringerci a fuggire ha funzionato.

L’attacco era intenzionale, un modo per dirci: questo è ciò che ti accadrà se scegli di restare.

La vita a Rafah

Abbiamo impacchettato freneticamente tutto quello che potevamo portare con noi, prendendo cibo e acqua, un po’ di farina, riso e lenticchie, cose che non sono più disponibili in tutta Gaza. Abbiamo preso ciò che abbiamo preso e abbiamo dimenticato ciò che abbiamo dimenticato nella nostra frenetica evacuazione.

Uno di noi ha chiamato un amico che possedeva un camion. Nel giro di un’ora stavamo mettendo tutto dentro, non solo la mia famiglia e quella di mio suocero, ma l’intero edificio di tre piani, compresi mio fratello e mio zio, tutti stipati nel camion. Già solo quell’immagine ci spaventava, perché sapevamo che gli aerei da guerra e i droni avrebbero potuto prendere di mira qualsiasi cosa si muovesse o apparisse sospetta.

Il viaggio a Rafah è stato devastante. Innumerevoli persone camminavano a piedi, portando tutta la loro vita tra le braccia, molti cercavano di fermarci e ci imploravano di portarli con noi. Ma non c’era posto, perché eravamo già tutti stipati uno sopra l’altro con le nostre cose.

La strada principale tra Khan Younis e Rafah, Salah al-Din Street, era già stata bombardata dagli aerei da guerra israeliani venerdì mattina presto, quindi le persone in fuga da Khan Younis hanno dovuto fare spaventose deviazioni che le hanno condotte attraverso campi agricoli e strade sterrate non illuminate, camminando di notte, nell’oscurità più nera.

Mio suocero ha chiamato sua sorella, che vive nel campo profughi di Yibna, a Rafah, chiedendole se aveva una casa dove potessimo stare. Ha detto che lei stessa era fuggita da casa in un posto più sicuro dopo che un isolato residenziale vicino a lei era stato colpito da un attacco aereo che aveva causato lo sfondamento della porta di casa sua e la caduta e la rottura dei telai delle finestre, rompendo le piastrelle sottostanti. Ma non avevamo altra scelta che andare in questa casa abbandonata, o rischiare di andare nei rifugi stracolmi di Rafah.

Siamo arrivati nel paesaggio desolato di Yibna. Metà degli edifici del campo erano stati distrutti, l’altra metà dei residenti era fuggita spaventata ed era lì che saremmo rimasti. L’intera zona era desolata e sembrava che fossimo le uniche persone al mondo, intrappolate in un’esistenza infernale.

La casa in cui alloggiavamo non era più una casa. Le finestre sono state strappate dai telai. Ratti e topi riempivano la casa e la prima notte dormimmo accanto a loro. L’acqua – che eravamo riusciti a ottenere a Khan Younis dopo aver aspettato quattro ore in lunghe file –era impossibile da ottenere a causa dell’inaccessibilità delle strade bombardate, inaccessibili ai camion dei rifornimenti. Avevamo portato con noi dell’acqua potabile, ma il faticoso viaggio ci ha lasciato assetati. Abbiamo bevuto quando siamo arrivati, non sapendo che non avremmo potuto accedere ad altra acqua.

Ce ne siamo accorti il giorno dopo. Abbiamo cominciato a razionare quel poco che avevamo. Tutte le nostre famiglie dovevano condividere tre litri d’acqua. È stato un miracolo che potessi procurarmi dell’acqua bollita da utilizzare per il latte artificiale di mio figlio neonato, dopo essermi avventurato nella città di Rafah portando un litro d’acqua e un bollitore per il tè, cercando qualsiasi commerciante che avesse accesso a un fuoco per usarlo per bollire l’acqua che avevo. Ho dovuto aspettare mezz’ora affinché l’acqua bollisse, dopodiché sono tornato al punto in cui ci eravamo riparati e ho potuto versare l’acqua in un thermos per preservare quel poco di calore rimasto nell’acqua.

Ho lasciato la famiglia a Khan Younis, sorelle e fratelli. Alcuni risiedevano in zone sicure della città, vicino all’Ospedale Europeo, ma mia sorella si trovava nella zona di Qarara, uno dei primi obiettivi degli attacchi israeliani. L’ho chiamata per controllare come stesse e lei mi ha detto che adesso vive per strada. Ha lasciato Khan Younis con la sua famiglia e ha raggiunto Rafah a piedi, ma quando è arrivata e ha chiesto informazioni sui rifugi, la gente l’ha portata in una scuola stracolma che non aveva posto né per lei né per la sua famiglia. Hanno montato una tenda nella strada fuori dalla scuola.

La nostra nuova Nakba

Nel poco tempo che ho avuto per  scorrere le notizie, ho letto che il blocco residenziale dove alloggiavamo a Khan Younis era stato completamente raso al suolo. Se fossimo rimasti, nessuno di noi sarebbe sopravvissuto. Recentemente ho anche sentito alla radio locale che l’Egitto potrebbe essere costretto a consentire l’ingresso di alcuni profughi palestinesi. Si trattava della stessa questione che l’Egitto considerava non negoziabile all’inizio della guerra. Ora se ne parla apertamente da parte di alcuni funzionari egiziani.

Sembra che questo sarà il nostro destino nel prossimo futuro. Dopo che avranno finito con Khan Younis e avranno ucciso tutti coloro che si rifiutano di lasciare le loro case, i carri armati israeliani volgeranno gli occhi su Rafah. Al popolo palestinese verrà ordinato di fuggire verso il confine egiziano e, con ciò, Israele cercherà di creare nuove generazioni di rifugiati.

Eccoci qui, a documentare la nostra nuova Nakba prima ancora che accada, anticipando i suoi prossimi passi nella consapevolezza che perderemo le nostre terre e le nostre case. Le case che abbiamo lasciato a Gaza sono ormai ridotte in macerie, ma per noi quelle macerie rimarranno più preziose di tutta la terra del mondo. Non troveremo conforto in qualunque terra straniera dove andremo la prossima volta. Questa è la terra che amiamo, e questa è la terra che siamo costretti a lasciare nella fretta di sfuggire alla morte.

La nostra Nakba viene raccontata da noi in tempo reale affinché il mondo intero possa vederla. Tutti possono assistere al nostro massacro e alla nostra morte collettiva. Noi, portatori di un sogno semplice, quello di vivere con dignità in una casa sulla nostra terra tra i nostri cari e le nostre famiglie. Anche questo semplice sogno è stato distrutto da Israele, per l’unico peccato dell’essere nati sotto occupazione.

 

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org