Giornata internazionale della donna: la Palestina e l’arma del genere e della sessualità

Nella Giornata internazionale della donna (8 marzo), dobbiamo  considerare come una responsabilità urgente alzare la voce contro l’occupazione militare e la sua violenza inimmaginabile

Fonte: English version

Samreen Mushtaq– 5 marzo 2024

Immagine di copertina: Donna tra le macerie di Gaza (Ansa)

Non è possibile  ignorare le immagini e i video strazianti che escono ogni giorno dalla Palestina. In uno di questi video, non esplicitamente “brutale” come gli altri, un soldato israeliano mostra un paio di scarpe con tacchi alti appartenenti a una donna palestinese. Si riprende dicendo quanto sono carini e che sarà un regalo per la sua festa di fidanzamento. Un souvenir da una casa in rovina e desolata. In un contesto del genere, quali discorsi e silenzi scandiscono la festa della donna? Quali donne, la cui oppressione e le cui resistenze costituiscono il dibattito sulle rivoluzioni femministe globali e la loro definizione di vite meritevoli?

“Celebrare” la Giornata internazionale della donna

In questi giorni mi sono chiesta come pensare alla Giornata internazionale della donna o se abbia senso scriverne. Non che sia mai stata molto presente nell’agenda del paese in cui sono cresciuta, o in altri contesti. Soprattutto considerando che per molte donne in tutto il mondo dove, su vari fronti, sono in corso molteplici  battaglie giornaliere  riguardanti molte emarginate, l’idea di una giornata della donna da celebrare è molto “lontana”. Scegliere un giorno per parlare di questi problemi o per riflettere su di essi sembra simbolico o inadeguato.

Ciò non vuol dire trascurare che per molte la Giornata internazionale della donna è uno spazio per incontrarsi e riflettere sulle proprie esperienze e forme di resistenza. Ma soprattutto adesso, nei tempi in cui viviamo, in cui è in corso una violenza inimmaginabile sui corpi, sulle case, sui ricordi palestinesi, come si può parlare specificamente di genere? Mentre lotto con questi pensieri, Israele ha commesso quello che i commentatori chiamano il “massacro della farina”. Decine di palestinesi a Gaza sono stati uccisi dopo che i carri armati israeliani hanno aperto il fuoco sulle persone radunate per ricevere aiuti alimentari, mentre rischiavano di morire di fame. Oltre un centinaio di persone sono state uccise, molte altre ferite, alcune delle quali hanno perso gli arti.

Abbiamo visto crollare un intero sistema sanitario. Bambini morti, abbandonati nella sezione pediatrica di un ospedale dopo l’evacuazione forzata. Donne incinte rimaste senza assistenza medica. Donne sottoposte a cesareo senza anestesia. I chirurghi che operano senza acqua nemmeno per lavarsi le mani. Gruppi per i diritti umani e agenzie umanitarie hanno sollevato questo problema nei loro appelli per chiedere un cessate il fuoco.

Il ripetuto appello per le donne e i bambini palestinesi suscita una diffusa condanna, ma  il sistema che consente a una forza violenta di continuare con un terrore inimmaginabile, non fa nulla. Ciò che mostra è anche l’invisibilità degli uomini palestinesi – l’assenza di qualsiasi lutto pubblico, come se non meritassero una vita o una morte dignitosa. I palestinesi, indipendentemente dal genere e dall’identità sessuale, continuano a essere uccisi, feriti, mutilati e affamati. Cosa resta del sistema umanitario dopo tutto ciò e le sue promesse di diritti per tutti? Come si può parlare di Giornata internazionale della donna nel mezzo di un genocidio?

Armare il genere e la sessualità

Ci sono modi in cui il genere e la sessualità sono stati specificamente utilizzati per giustificare i crimini in corso. Ciò a cui abbiamo assistito come parte di questo genocidio e della sua guerra narrativa è il femminismo della sicurezza in mostra: donne che si uniscono al violento apparato di sicurezza come parte delle Forze di difesa israeliane che vengono presentate come “simboli di progresso e uguaglianza” e meritevoli di “aprire nuovi confini”. In molti modi, diventa un modo per rafforzare l’immagine dell’esercito, poiché la presenza delle donne cerca di far apparire l’esercito più umano – dopo tutto, le donne sono apparentemente gentili e premurose  e quindi, l’istituzione che rappresentano è una proiezione della stessa natura benevola.

È anche un modo per fare appello alle rivendicazioni sull’uguaglianza di genere – secondo cui le donne sono partecipanti paritarie, hanno pari opportunità e sono equamente coinvolte nella lotta “giusta” contro l’”altro” terrorista. Si parla dell’utilizzo dell’arma del genere e della sessualità. Queste donne “coraggiose” che lottano per il loro diritto di proprietà sulla terra palestinese rappresentano la forma perfetta di soggettività femminile, rispetto alle donne palestinesi altre.

In aggiunta allo spettacolo delle immagini della conquista, abbiamo anche visto una dopo l’altra immagini di soldati israeliani che mostrano allegramente la biancheria trovata nelle case che hanno distrutto o da cui hanno cacciato i palestinesi. Abiti appartenenti a donne che potrebbero essere state uccise o sfollate. Nelle case in rovina, tra le macerie di quello che un tempo era lo spazio personale di una famiglia, trovare ed esporre oggetti intimi come esibizione di mascolinità militare fa emergere in qualche modo un’emozione di gioia assoluta, unita all’umiliazione e alla disumanizzazione a cui cercano di sottoporre i palestinesi.

È come se i colonizzati non dovessero avere una vita intima, e come se queste immagini fossero intese come una esposizione della vita personale dei palestinesi, dei loro desideri e delle loro intimità. Questa violenza visiva, volta a rivendicare il potere, disumanizzare e umiliare i palestinesi, è una dimensione costitutiva dell’occupazione militare e racconta come essa si diverte nel suo controllo degli spazi pubblici e privati.

Urgenza di solidarietà globale

Quando pensiamo ai diritti delle donne oggi, è importante capire come il genere e la sessualità siano utilizzati come armi per la dominazione coloniale che produce esperienze di genere, anche se queste identità specifiche non funzionano per differenziare la vulnerabilità in un genocidio. Come ci ricorda Abeera Khan, “né la sessualità né il genere offrono protezione dall’occupazione, dalla colonizzazione e dal genocidio”. Il discorso sui diritti delle donne non può e non deve prendere le distanze dalle conversazioni e dall’indignazione per il genocidio di Gaza. La necessità di solidarietà globali contro forme intersecanti di oppressione non è mai stata così urgente.

Nella Giornata internazionale della donna (8 marzo), dobbiamo  considerare come una responsabilità urgente alzare la voce contro l’occupazione militare e la sua violenza inimmaginabile. Altrimenti, le urla assordanti e i silenzi provenienti dalla Palestina ci perseguiteranno per sempre.

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictpalestina.org