Sconfitta irrimediabile: l’altra guerra impossibile da vincere per Israele

La guerra di Netanyahu resta impossibile da vincere semplicemente perché le guerre di liberazione, spesso condotte utilizzando tattiche di guerriglia, sono molto più complicate dei combattimenti tradizionali.

Fonte: English version

Di Ramzy Baroud – 2 aprile 2024

Immagine di copertina: Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu il 20 settembre 2023 a New York (Kena Betancur/Getty Images)

Storicamente, le guerre tendono a unire gli israeliani, ma ora non più. Non è che gli israeliani non siano d’accordo con gli obiettivi di guerra di Benjamin Netanyahu; semplicemente non credono che il Primo Ministro sia l’uomo che può vincere questa battaglia apparentemente esistenziale.

La guerra di Netanyahu resta impossibile da vincere semplicemente perché le guerre di liberazione, spesso condotte utilizzando tattiche di guerriglia, sono molto più complicate dei combattimenti tradizionali. Quasi sei mesi dopo l’inizio dell’attacco israeliano a Gaza, è diventato chiaro che i Gruppi di Resistenza palestinesi sono tenaci e ben preparati per una lotta molto più lunga.

Secondo Netanyahu, i suoi ministri di estrema destra e un Ministro della Difesa altrettanto intransigente, Yoav Gallant, la risposta è una maggiore potenza di fuoco. Tuttavia, nonostante la quantità senza precedenti di esplosivi utilizzati da Israele a Gaza, uccidendo e ferendo oltre 100.000 palestinesi, una vittoria israeliana, comunque venga definita, rimane sfuggente.

Allora, cosa vogliono gli israeliani? Più precisamente, qual è l’obiettivo finale del loro Primo Ministro, se ne ha uno, a Gaza?

I principali sondaggi d’opinione dal 7 ottobre continuano a produrre risultati simili: l’opinione pubblica israeliana preferisce Benny Gantz, il leader del Partito di Unità Nazionale, piuttosto che Netanyahu e il suo Partito Likud. Gantz è un ex Capo di Stato Maggiore dell’esercito.

Un recente sondaggio condotto dal quotidiano israeliano Maariv ha inoltre indicato che uno dei collaboratori più vicini e importanti della coalizione di Netanyahu, il Ministro delle Finanze e leader del Partito Sionista Religioso, Bezalel Smotrich, è praticamente irrilevante in termini di consenso pubblico. Se oggi si tenessero le elezioni generali, il partito del ministro di estrema destra non supererebbe nemmeno la soglia elettorale.

La maggior parte degli israeliani chiede nuove elezioni quest’anno. Se realizzassero il loro desiderio e votassero oggi, la coalizione pro-Netanyahu riuscirebbe a ottenere solo 46 seggi. I suoi rivali ne otterrebbero 64. E se la coalizione israeliana che attualmente controlla 72 seggi su 120 della Knesset (Parlamento) crollasse, il dominio della destra sulla politica israeliana andrebbe in frantumi, probabilmente per molto tempo.

In questo scenario, tutti gli imbrogli politici di Netanyahu, che gli sono stati utili in passato, non riuscirebbero a permettergli di tornare al potere, tenendo presente che ha già 74 anni.

Gli israeliani hanno imparato a incolpare un individuo o un partito politico per tutti i loro mali. Questo è in parte il motivo per cui i risultati elettorali possono differire notevolmente da un ciclo elettorale all’altro. Tra aprile 2019 e novembre 2022, Israele ha tenuto cinque elezioni generali, e ora il popolo ne chiede un’altra. Le elezioni del novembre 2022 dovevano essere decisive, poiché hanno posto fine ad anni di incertezza e hanno stabilito il “governo più di destra nella storia di Israele”, un quadro ricorrente nelle moderne coalizioni di governo israeliane.

Per garantire che Israele non ricadasse nell’indecisione, il governo di Netanyahu voleva consolidare le sue conquiste. Smotrich e l’altrettanto estremista Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir vogliono modellare una nuova società israeliana che sia per sempre inclinata verso il loro modello di sionismo razzista, religioso e ultranazionalista. Netanyahu, d’altro canto, voleva semplicemente restare al potere, in parte perché è troppo abituato ai vantaggi del suo incarico, e anche perché vuole disperatamente evitare una pena detentiva a causa di diversi processi per corruzione.

Per raggiungere questo obiettivo, i partiti di destra e di estrema destra hanno lavorato diligentemente per cambiare le regole del gioco, riducendo il potere della magistratura e ponendo fine al controllo legislativo della Corte Suprema. Hanno fallito in alcuni intenti e sono riusciti in altri, compreso un emendamento alle Leggi Fondamentali del Paese per limitare il potere della più alta corte israeliana e il suo diritto di ribaltare le politiche del governo.

Sebbene gli israeliani abbiano protestato in massa al riguardo, era chiaro che l’impeto iniziale delle proteste, iniziate nel gennaio 2023, si stava esaurendo e che un governo con una maggioranza così consistente, almeno per gli standard israeliani, non si sarebbe arreso facilmente.

Tuttavia, il 7 ottobre ha cambiato l’equazione. L’operazione palestinese Onda di Al-Aqsa è spesso esaminata in termini di componenti militari e di intelligence, se non di utilità, ma raramente in termini di risultati strategici. Ha posto Israele di fronte ad un dilemma storico che nemmeno la comoda maggioranza di Netanyahu alla Knesset può, e molto probabilmente non riuscirà, risolvere.

A complicare le cose, il 1º gennaio, la Corte Suprema ha ufficialmente annullato la decisione della coalizione di Netanyahu di limitare il potere della magistratura. La notizia, sebbene estremamente significativa, è stata messa in ombra da molte altre crisi che affliggono il Paese, attribuite principalmente a Netanyahu e ai suoi alleati della coalizione: il fallimento militare e di intelligence che ha portato al 7 ottobre; la guerra devastante; l’economia in contrazione; il rischio di un conflitto regionale; la spaccatura tra Israele e Washington; il crescente sentimento anti-israeliano a livello mondiale; e altro ancora.

Il grande politico del passato, ora è appeso solo a un filo, continuando la guerra per rinviare il più a lungo possibile le sue crisi crescenti. Tuttavia, neanche una guerra indefinita è un’opzione. L’economia israeliana, secondo i dati recenti dell’Ufficio Centrale di Statistica del Paese, si è ridotta di oltre il 20% nel quarto trimestre del 2023. È probabile che continui la sua caduta libera nel prossimo periodo.

Inoltre, l’esercito sta lottando, combattendo una guerra impossibile da vincere senza obiettivi realistici. L’unica fonte importante di nuove reclute risiede negli ebrei ultra-ortodossi, che non sono soggetti alla coscrizione e vengono esentati dal campo di battaglia per studiare nelle Yeshivah (un’istituzione educativa ebraica che si basa sullo studio dei testi religiosi tradizionali, principalmente quello del Talmud e della Torah). Il 70% degli israeliani, compresi molti esponenti del partito di Netanyahu, vogliono che gli Haredim si arruolino nell’esercito. La scorsa settimana la Corte Suprema ha ordinato la sospensione dei sussidi statali a favore di queste comunità ultraortodosse.

Se ciò accadesse, la crisi si aggraverebbe su più fronti. È probabile che il governo di Netanyahu crolli se gli Haredim perdono i loro privilegi; se li mantengono, è probabile che crolli anche l’altro governo, il Consiglio di Guerra post-7 ottobre.

La fine della guerra di Gaza, anche se definita come una “vittoria” da Netanyahu, non farà che favorire la polarizzazione e approfondire la peggiore lotta politica interna di Israele dalla sua fondazione sulle rovine della Palestina storica nella Nakba del 1948. La continuazione della guerra si aggiungerà agli scismi, poiché servirà solo a ricordare una sconfitta irrimediabile.

Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Ramzy Baroud è un ricercatore senior non di ruolo presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), dell’Università Zaim di Istanbul (IZU).

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org