Gli attivisti israeliani aiutano a proteggere la raccolta delle olive palestinesi

Nell’ultimo decennio e mezzo, decine di attivisti israeliani di sinistra si sono riuniti per accompagnare i Palestinesi durante la raccolta delle olive. Nonostante le ricorrenti violenze dei coloni, nel corso degli anni la situazione sembra essere  migliorata.

Foto di copertina:  un colono israeliano attacca un gruppo di olivicoltori palestinesi. (Olivier Fitoussi / Flash90)

Orly Noy – 7 Ottobre 2018

E’ stata come una sorta di cerimonia di apertura della stagione delle olive: lo scorso mercoledì i coloni israeliani hanno sradicato 40 ulivi a Turmusaya, un piccolo villaggio palestinese a nord di Ramallah. Gli agricoltori palestinesi affrontano la violenza dei coloni durante tutto l’anno, ma è durante la raccolta delle olive che gli attacchi aumentano drammaticamente.

Negli ultimi 16 anni, un gruppo di organizzazioni di sinistra si sono unite per cercare di fermare gli attacchi. La Harvest Coalition, composta tra gli altri da gruppi come Ta’ayush, Rabbis for Human Rights, Coalition of Women for Peace e Combatants for Peace, ha arruolato volontari israeliani per unirsi ai contadini palestinesi nelle aree più  sottoposte alle violenze. La presenza degli attivisti israeliani può dare agli agricoltori quel minimo di protezione indispensabile nei Territori Occupati.

La coalizione è stata costituita nel 2002 dall’israeliano Yaakov Manor, 82 anni, veterano attivista per i diritti umani.

“Sentii  parlare per la prima volta del problema dei coloni che attaccano i contadini palestinesi negli anni ’90”, afferma Manor. “Ero responsabile del comitato di dialogo di Peace Now, e andavo in molti villaggi. Una volta ricevetti una telefonata da amici di Nablus che dicevano: “Abbiamo un grosso problema a Burin, i coloni non permetteranno il raccolto .” Così  decidemmo di unirci a loro. In quel momento non capii la gravità del problema; nessuno di noi la capii, dato che in quegli anni i Palestinesi non parlavano molto di questo tipo di attacchi. Il raccolto congiunto non ebbe luogo, poiché nell’area di Nablus  il Movimento Islamico era forte, e non voleva che gli Ebrei entrassero nei villaggi.

“Il vero inizio dei raccolti congiunti  è stato durante la Seconda Intifada, quando ero già attivo con Ta’ayush. Ricevemmo una telefonata urgente dal villaggio di Yasuf, vicino a Kfar Tapuach, che era molto kahanista. Andai lì con il rabbino Arik Ascherman di Rabbis for Human Rights e vedemmo i coloni che avevano invaso la terra del villaggio,  attaccato i Palestinesi e che cercarono di mandarci via. L’esercito è sempre pronto a disperdere  i Palestinesi e gli attivisti israeliani, ed è ciò che fece. In seguito sentimmo storie su come in molte zone diverse [gli agricoltori] non potevano fare il raccolto. Sentimmo parlare di terreni agricoli che non erano stati coltivati ​​per anni e dove da anni non si poteva fare il raccolto”.

“Nel 2002 avevamo un amico nel villaggio di Hares che lavorava nell’Ufficio di Coordinamento Distrettuale dell’Autorità Palestinese. Gli chiedemmo  di organizzare un tour in diversi villaggi per vedere cosa stava succedendo. Eravamo in quindici, principalmente da Ta’ayush. Visitammo la regione di Samaria, andammo in molti villaggi, ci incontrammo con i capi dei consigli locali e con i contadini. Ovunque andassimo,  annotavo i dati: quanti ettari di terra non erano stati coltivati, quali erano i problemi principali, ecc. Tornai  a casa con la mia lunga lista di villaggi, in particolare quelli situati vicino agli insediamenti. Contai qualcosa come 22.240 acri di terra che non erano stati coltivati ​​a causa della violenza dei coloni. Nel 2002, tutti i gruppi radicali  lavorarono insieme per organizzare un grande raccolto. Vennero  più di 200 persone e  organizzammo i volontari in gruppi. Ovunque andassimo, i soldati  cercarono di bloccarci. Ci aspettavano , ma  fummo in grado di aggirarli. Da quel giorno,  decidemmo di farlo ogni anno. ”

Yaakov Manor (a destra) alla raccolta delle olive palestinesi. (Vardit Goldener)

Nel corso degli anni, Manor, un banchiere in pensione, è diventato una sorta  di esperto del raccolto. “La durata del periodo di raccolta cambia di anno in anno”, spiega. “Di solito c’è un buon anno seguito da un anno peggiore. I buoni raccolti, in termini di tempo e pioggia, possono durare per oltre due mesi. “A causa della siccità e dei danni causati dai parassiti, dice Manor, ci saranno meno olive da raccogliere, il che significa che la stagione sarà relativamente breve.

Andate  sempre negli stessi villaggi?

“Cambiamo di anno in anno. Negli ultimi anni la situazione è leggermente migliorata. Ci sono tra 25-30 villaggi un po’ più problematici situati negli insediamenti. Sono quelli in cui andiamo. ”

Hai mai dovuto affrontato la violenza?

“Sì. Sono stato personalmente attaccato a Yasuf da un colono in uniforme militare. Ci fu un  episodio di violenza vicino a Huwara, dove i coloni scesero dalla vicina Yitzhar. Eravamo un gruppo abbastanza grande,  ma arrivarono con bastoni e ci  lanciarono pietre. Uno dei nostri volontari finì all’ospedale. Riuscimmo ad  allertare rapidamente l’esercito, che però non ci aiutò molto, ma quando i coloni videro i soldati si ritirarono. Riuscii a schivare una pietra all’ultimo momento. Nel villaggio di Yanoun, uno dei coloni ruppe  il calcio del suo fucile sulla faccia di un mio amico “.

Coordinate le vostre azioni con l’esercito?

“Sì. Durante i primi anni avevamo chiesto alle forze di sicurezza di porre fine alla violenza dei coloni. Il ministero della Difesa ci comunicò che non era compito dell’esercito, e che l’esercito non poteva posizionare i suoi soldati in ogni uliveto. Dopo che le attività della coalizione ebbero più visibilità, l’esercito iniziò a coordinarsi con l’Autorità Palestinese nel periodo del raccolto, e i Palestinesi ottennero l’accesso a molti dei loro uliveti..

“Nel frattempo, l’Alta Corte di Giustizia stabilì che i Palestinesi dovevano  essere in grado di godere del frutto del loro lavoro e che l’esercito era obbligato a garantire il raccolto ogni anno. L’esercito chiese alla Corte di assicurarsi che il raccolto si svolgesse  in modo tale da prevenire gli scontri. Pertanto, i terreni agricoli furono   divisi in tre parti: la “zona verde”, aperta al raccolto ogni anno e dove gli Israeliani possono raccogliere insieme con i Palestinesi; la “zona blu”, più lontana dagli insediamenti ma ancora nel loro raggio d’azione, dove i Palestinesi possono andare ma senza i volontari. Secondo l’esercito, l’arrivo dei volontari è visto come una provocazione  verso i coloni. Più ci si avvicina agli insediamenti più problematici, più l’accesso dei nostri volontari è limitato.

Una ragazza della città di Awarta, in Cisgiordania, raccoglie le olive della sua famiglia con le jeep dell’esercito israeliano sullo sfondo. (Activestills.org)

“La terza area è la ‘zona rossa’, molto vicina agli insediamenti, dove i Palestinesi possono entrare solo in accordo con il coordinamento tra esercito e PA.

“Ci incontriamo  con l’amministrazione civile ogni anno e coordiniamo le mappe delle diverse zone. Il problema non sono i soldati. Le varie unità dell’esercito vogliono proteggere il raccolto perché non vogliono disordini   o cattiva pubblicità . Ma quando arriviamo lì, molte volte i comandanti locali fanno ciò che vogliono e non agiscono sempre secondo gli ordini. Allora presentiamo reclami,e  a volte ciò aiuta. La lotta ha avuto successo perché i Palestinesi vengono semplicemente per il raccolto. Di solito ci sono problemi durante le prime due settimane,  poi le cose si calmano. ”

Accanto alla contorta divisione dei terreni agricoli in zone, c’è anche la questione  della “terra intrappolata”,  ovvero quella tra la barriera di separazione e la Green Line , alla quale la maggior parte dei Palestinesi non può accedere. “Stiamo parlando di non meno di 197.000 acri dall’area di Jenin a Qalqilya”, dice Manor. “Il muro è stato costruito a est della Green Line, inglobando  terreni agricoli che i Palestinesi hanno difficoltà a coltivare a causa dei permessi di ingresso. Nella West Bank circa il 40 per cento dei prodotti ortofrutticoli proveniva  dalle “terre intrappolate”. Queste sono le aree più fertili, dove c’era una fiorente  agricoltura palestinese, tra cui serre, pollai e altro ancora. A parte alcune zone, il muro ha messo fine a tutto questo “.

“C’è stato un periodo in cui la coalizione si è divisa in due: nei giorni feriali i  Rabbis for Human Rights si concentravano sui villaggi vicino agli insediamenti, mentre i secolari tra di noi si recavano nelle “terre intrappolate” durante il Sabbath. Ci siamo concentrati principalmente sulla politica dei permessi, che è molto  complessa e difficile per gli agricoltori palestinesi. In un primo momento,  permettevano l’accesso solo ai familiari stretti dei proprietari terrieri, oggi lo permettono qua e là anche a pochi lavoratori.

I volontari organizzati da vari gruppi di solidarietà si uniscono ai residenti locali nella raccolta delle olive nel villaggio di Walajeh, in Cisgiordania, il 14 ottobre 2011. (Ryan Rodrick Beiler / Activestills.org)

“Immagina un contadino la cui terra  si trova a 50 metri da casa sua, ma il cancello  che gli consente di passare attraverso la recinzione si trova a cinque chilometri di distanza. Deve percorrere i cinque chilometri per raggiungere la recinzione, e poi altri cinque chilometri fino a raggiungere la sua terra. Spreca due ore solo per arrivarci. Ci sono altri problemi, come il modo di trasportare le olive al villaggio. Il miglior olio d’oliva si ottiene spremendo le olive  entro quattro ore. A causa della politica dei permessi, ci sono agricoltori che non riescono a finire la raccolta da soli. Veniamo e li aiutiamo. In questi casi non abbiamo bisogno dell’approvazione dell’esercito, poiché al contrario dei Palestinesi, la “terra intrappolata” è aperta agli Israeliani.

Perché c’è bisogno di volontari? Perché l’esercito non svolge un ruolo più importante nella protezione del raccolto?

“Sostengono che l’esercito stanzia un numero molto elevato di soldati per il raccolto. Ha senso: non possono essere in ogni villaggio e in ogni uliveto – ecco perché ci siamo noi. L’esercito non vuole le provocazioni dei coloni, ma secondo la politica del governo i soldati non possono toccare i coloni, il che li rende impotenti. Prendete ad esempio gli atti di vandalismo, gli incendi dolosi, lo sradicamento di alberi o i furti di olive. L’esercito, a causa del potere politico dei coloni, non fa nulla. Non conosco un singolo caso di furto che sia stato portato in tribunale.

Bisogna sapere come raccogliere le olive per partecipare?

Si impara velocemente. E’ come prendere parte ad un evento familiare . Si interagisce con la famiglia degli agricoltori, si mangia insieme, si ascoltano storie. Abbiamo anche raccolti familiari dove i bambini sono i benvenuti.

 

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta in Ebraico su Local Call.

 

Trad:  Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” Invictapalestina.org

Fonte: https://972mag.com/the-israeli-activists-helping-protect-the-palestinian-olive-harvest/138052/

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Protected by WP Anti Spam