Perché B’Tselem definisce Israele un regime di apartheid, dal fiume al mare

Uno dei principali gruppi per i diritti umani di Israele riconosce che l’occupazione non può essere compresa separatamente dal proposito di instaurare una supremazia giudaica all’interno della Linea Verde.

Fonte: English Version

Orly Noy – 12 gennaio 2021

Foto di copertina: Le truppe israeliane trattengono un commerciante di ortaggi mentre sorvegliano i lavori di costruzione lungo una strada principale a sud di Hebron, in Cisgiordania, il 16 dicembre 2019 (Wisam Hashlamoun / Flash90)

Esiste un costante e incombente pericolo per individui e gruppi che lottano per il cambiamento sociale o politico. Tendiamo a concentrarci così intensamente sul nostro obiettivo che non ci rendiamo più conto che le circostanze in cui stiamo agendo sono radicalmente cambiate. Non solo siamo su un campo di battaglia diverso, ma stiamo combattendo una guerra completamente diversa. Quando le forze che affrontiamo usano il loro enorme potere per distorcere e mascherare questa realtà, la nostra missione di riconoscerla e identificarla, diventa sempre più necessaria.

Questo è esattamente ciò che B’Tselem, una delle più longeve organizzazioni per i diritti umani di Israele, sta facendo oggi: l’ONG dichiara la sua posizione secondo cui, tra il fiume e il mare, esiste un unico regime israeliano di apartheid che si sforza di radicare, consolidare, e rendere irreversibile la supremazia giudaica in ogni angolo del paese.

La parola “apartheid” ha connotazioni molto severe e la memoria storica che evoca è agghiacciante. In qualità di membro del consiglio di B’Tselem, posso dire che abbiamo avuto molte discussioni difficili prima della decisione di pubblicare questa dichiarazione. Stabilire che lo Stato di Israele mantiene un regime di apartheid su entrambi i lati della Linea Verde non è stato facile per nessuno di noi, non solo come membri di un gruppo per i diritti umani, ma soprattutto come cittadini israeliani.

È importante ricordare, tuttavia, che “apartheid” non è semplicemente un termine dispregiativo che la sinistra adopera ogni volta che insorge contro la realtà attuale. Piuttosto, è la descrizione di un regime con caratteristiche chiare: uno il cui principio organizzativo è quello di promuovere e perpetuare la superiorità di un gruppo su un altro. All’inizio del 2021, questa è precisamente la realtà che affrontiamo in Israele-Palestina.

Dall’occupazione del 1967, l’esistenza della cosiddetta Linea Verde, che distingue apparentemente tra Israele sovrano e democratico e “territori occupati”, è diventata in gran parte il delineatore del dibattito politico sinistra-destra in Israele. Allo stesso tempo, per la maggior parte della sua esistenza, Israele ha fatto tutto quanto in suo potere per cancellare la Linea Verde, non solo stabilendo insediamenti, che sono tutti illegali secondo il diritto internazionale, ma promuovendo politiche praticamente identiche su entrambi i lati di quella linea, con l’obiettivo finale di mantenere l’assoluta ed esclusiva supremazia giudaica.

Migliaia di giovani israeliani sventolano bandiere israeliane mentre celebrano il Jerusalem Day, danzando e marciando attraverso la Porta di Damasco fino al Muro Occidentale, 17 maggio 2015. (Yonatan Sindel/Flash90)

I meccanismi e le tattiche per farlo sono simili. Uno è l’ingegneria demografica del territorio che lo suddivide, applicando differenti status personali per i palestinesi che vivono in ogni area e attuando politiche discriminatorie di furto di terra. Un altro è un insieme di politiche riguardanti l’immigrazione e la libertà di movimento, che favoriscono palesemente la demografia israeliana. Un altro ancora è la restrizione della partecipazione politica sulla base dell’appartenenza nazionale, al fine di preservare la supremazia giudaica. E molti altri ancora.

Non solo panchine separate

Quando fu istituito nel 1989, il mandato di B’Tselem era limitato alla Cisgiordania, a Gerusalemme Est e alla Striscia di Gaza. Rimettendosi al modello ampiamente accettato che vede “Israele” come un’entità e i “territori occupati” come un’altra, l’organizzazione non si è occupata della situazione dei diritti umani all’interno dei confini riconosciuti dello Stato di Israele, sottraendosi ad una visione d’insieme dell’intera area compresa tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo.

Il mandato di B’Tselem non sta cambiando; ma dopo 32 anni non è più possibile vedere quanto sta accadendo nei territori occupati separatamente da quanto sta accadendo nell’intero territorio sotto il controllo israeliano. I concetti che comunemente usiamo per descrivere la realtà, come “occupazione senza fine” o “realtà a uno stato”, non sono più appropriati. Tra le altre cose, definire la realtà attuale aiuterà l’organizzazione a svolgere il proprio lavoro in modo più efficace e accurato.

Chiunque voglia comprendere la politica israeliana nei territori occupati separandola dalla legge sullo stato nazionale ebraico, ad esempio, mente a se stesso. Chiunque cerchi di comprendere la distruzione di massa delle comunità palestinesi in Cisgiordania, insieme alla costruzione intensiva di insediamenti israeliani, separatamente dalla distruzione di Umm al-Hiran nel Naqab / Negev, e la sua sostituzione con la città israeliana di Hiran, sta mentendo a se stesso.

Chiunque voglia comprendere la facilità con cui le forze armate israeliane sparano a morte senza conseguenze sui palestinesi in Cisgiordania, non può ignorare le uccisioni di 13 civili palestinesi da parte della polizia israeliana nell’ottobre 2000, per le quali nessuno è stato condannato. È impossibile comprendere le minacce di demolizione contro Khan al-Ahmar in Cisgiordania senza sapere come quelle stesse minacce siano state “risolte” sul villaggio di al-Araqib nel Naqab.

Lo sgomento delle donne beduine dopo aver assistito alla demolizione della loro casa nel villaggio di Umm al-Hiran nel Negev, nel sud di Israele, 18 gennaio 2017 (Hadas Parush / Flash90)

È vero che l’apartheid israeliano manca di alcuni degli elementi più “espliciti” del tipo praticato in Sud Africa. Ma l’apartheid non riguarda semplicemente panchine separate per persone di diverso colore della pelle; piuttosto, è la divisione degli esseri umani che vivono sotto lo stesso regime in rigide gerarchie, e la distribuzione delle risorse pubbliche e la concessione, o la negazione, dei diritti secondo quelle gerarchie. Israele potrebbe non avere panchine per soli israeliani, ma ha strade per soli israeliani in luoghi come Hebron.

Questa logica organizzativa ha creato una realtà in cui gli israeliani godono di uno spazio contiguo e di libertà di movimento su entrambi i lati della Linea Verde, con l’eccezione della prigione a cielo aperto creata per i palestinesi a Gaza. La stessa logica intrappola i palestinesi all’interno delle sottocategorie delle aree A, B e C in Cisgiordania; Gerusalemme Est; Gaza; e all’Interno del cosiddetto “Israele vero e proprio”. Ciascuna di queste designazioni viene fornita con una serie di restrizioni uniche imposte da Israele. Così, a differenza di un israeliano, un palestinese residente in Cisgiordania non può attraversare la Linea Verde senza un permesso speciale, e anche la loro libertà di movimento all’interno della Cisgiordania è limitata.

Un nuovo modello

Il fatto che il regime di apartheid israeliano controlli l’intera area tra il fiume e il mare non significa che l’occupazione non esista più. Al contrario, è molto tangibile per le sue vittime palestinesi e costituisce una categoria giuridica separata all’interno del regime generale di Israele. Non solo l’occupazione non si discosta da questo regime, ma è una delle sue manifestazioni più chiare.

La posizione di B’Tselem non cerca di cancellare le differenze esistenti tra le realtà della vita in Cisgiordania, Gaza, Gerusalemme Est e le città palestinesi all’interno di Israele. Piuttosto, cerca di collocarli nel contesto più ampio che Israele cerca costantemente di nascondere: in tutti questi luoghi, Israele è il sovrano di fatto, e in ognuno, in varie forme, impone un regime di supremazia giudaica.

B’Tselem è giunto a questa difficile conclusione con dolore e consapevolezza. Dopo 32 anni non è facile cambiare modello. Viviamo e lavoriamo all’interno della società israeliana, ne siamo parte integrante e siamo ben consapevoli dello strascico e della repulsione che la parola “apartheid” evoca nel dibattito pubblico. Ma ignorare la realtà che Israele ha deliberatamente creato per decenni andrebbe contro il mandato stesso che l’organizzazione si è assunta più di tre decenni fa.

Il cambiamento, di qualsiasi tipo esso sia, inizia con una corretta lettura della realtà che si cerca di cambiare, guardando quella realtà con disincanto e chiamandola con il suo nome. La realtà che oggi prevale tra il fiume e il mare ha un nome: apartheid. Negarlo non lo farà sparire. Al contrario, aiuterà solo a consolidarlo. Riconoscere questa realtà è un passo necessario per correggerla.

Con questo, B’Tselem invita l’opinione pubblica israeliana e la comunità internazionale a guardare alla nostra realtà con coraggio, ad interiorizzare il suo pieno significato, impegnandosi per creare un futuro diverso basato su pieni ed uguali diritti umani per tutti gli abitanti del paese.

 

Orly Noy è una degli editore di Local Call, un’attivista politica e traduttrice di poesia e prosa farsi. Fa parte del consiglio esecutivo di B’Tselem e attivista del partito politico Balad. La sua scrittura affronta le linee che intersecano e definiscono la sua identità di Mizrahi, una donna di sinistra, una donna, una migrante temporanea che vive all’interno di un immigrato perpetuo, e il dialogo costante tra loro.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

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