Giornata della Memoria dell’Olocausto 2021: un fronte di indifferenza

Israele, che è diventato un rifugio per gli ebrei fuggiti nel tempo, e per i sopravvissuti, esiste ormai da 73 anni. La sua occupazione militare esiste da 54 anni. Con la sua condotta Israele dimostra quotidianamente che l’espropriazione e l’espulsione del popolo palestinese dalla loro patria è parte integrante della sua identità.

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Amira Hass – 7 aprile 2021

Questi sono i giorni per fermarsi e pensare alla gente comune, che si è abituata. Questi sono i giorni per pensare alle persone che non erano favorevoli, che non partecipavano attivamente, ma non potevano emigrare, e vivevano mentre i loro vicini ebrei venivano banditi prima dai marciapiedi, poi dalle cliniche e dalle biblioteche, e poi dalle strade e dalle città e, alla fine, dal ricordo.

Nei prossimi due giorni i canali televisivi, i siti web e le trasmissioni radiofoniche in Israele saranno piene di effusioni visive, verbali ed emotive dei ricordi del numero sempre minore di sopravvissuti all’Olocausto. Ma chiunque sia nato da una famiglia sopravvissuta ai vagoni bestiame non ha bisogno di questi due giorni per ricordare. La nostra conoscenza non ha bisogno di nuovi dettagli. È impresso indelebilmente in noi, anche se non lo vorremmo.

Le gambe allargate di ufficiali armati e in uniforme, che ridevano mentre guardavano le donne denudate in piedi accanto alla fossa, possono uscire dalla nostra memoria acquisita ogni giorno. I binari della ferrovia e le camicie a righe suscitano sempre la nausea, anche se i nostri occhi vedono normali binari ferroviari e camicie a righe insignificanti. I nostri genitori sono morti molto tempo fa, ma di giorno in giorno diventiamo meno capaci di capire come hanno resistito al gelo, giacendo su tavole di legno accanto ad altri morti viventi, che bruciavano dal tifo. Nessun nuovo studio e nessun giorno commemorativo risponderanno alle domande che non abbiamo potuto formulare, o non abbiamo insistito nel fare, nella nostra infanzia.

Il cuore va ai sopravvissuti, che sono commossi dall’attenzione che ricevono un giorno all’anno. Siamo profondamente nauseati da questa mercificazione; perché il Giorno della Memoria dell’Olocausto è uno dei più efficaci modellatori dell’etica fanatista nazionale israeliana. Tra interviste, documentari e la sirena si sentiranno discorsi carichi di enfasi e insincerità, disseminando veleno demagogico.

Ancora una volta useranno le nostre famiglie assassinate per glorificare l’esercito israeliano e il suo eroismo contro Gaza e contro il villaggio di Bilin, a difesa dell’avamposto di Esh Kodesh e dell’insediamento della Sussia. Ancora una volta tracceranno una linea retta come un serpente tra gli assassini tedeschi e ucraini e i palestinesi, che nel 1948 cercarono di difendere la loro patria da coloro che erano venuti a espropriarli.

I nostri cuori sono rivolti a loro. Il loro anonimato è molto organico e presente, in ogni succoso fico d’India ai lati della strada, case in pietra con archi di 90-150 anni e una dolce collina dove si possono ancora vedere le rovine di un villaggio.

Nei prossimi due giorni sarà difficile sfuggire al rumore fioco del vittimismo mercificato e belligerante. Un possibile rifugio è pensare alla gente comune che taceva. Perché avevano figli da crescere e nutrire, un lavoro e una madre anziana. Persone che non avevano sostegni, ma si sono abituate.

La sopravvivenza in un viaggio della morte è difficile da comprendere. Nessuna cellula del nostro corpo può capire la catena di montaggio dell’omicidio e degli assassini. D’altronde tutti condividiamo e conosciamo il meccanismo dell’abitudine: Al rumore della strada, all’edificio che ci blocca la vista, alle rughe sul viso, alle direttive sul coronavirus. L’abitudine fa parte della nostra esperienza quotidiana.

Nei complessivi 12 anni della sua esistenza, la Germania nazista riuscì ad attuare parte del suo piano genocida. Israele, che è diventato un rifugio per gli ebrei fuggiti nel tempo, e per i sopravvissuti, esiste ormai da 73 anni. La sua occupazione militare esiste da 54 anni. Con la sua condotta Israele dimostra quotidianamente che l’espropriazione e l’espulsione del popolo palestinese dalla loro patria è parte integrante della sua identità.

Gli oppositori del regime nella Germania nazista rischiarono la prigionia, la tortura e la morte. Non c’erano i social network con informazioni e foto accessibili. Il potere di realizzare il cambiamento non era nelle loro possibilità.

Qui, il potere di realizzare il cambiamento è nelle nostre mani. Proteste, opposizioni e denunce non comportano un prezzo particolarmente alto: una risposta piena di odio su Internet, bugie di un’organizzazione di coloni, percosse da parte di teppisti timorati di Dio. Licenziamento dalla scuola. Nessuna di queste è sufficiente a spiegare la scarsità di attivisti israeliani che si oppongono alla politica di espropriazione ed espulsione, o il fatto che coloro che non sono razzisti dichiarati si sono abituati alla realtà dell’apartheid e al costante decadimento.

In questo giorno gli israeliani che si sono abituati e quelli che tacciono devono almeno mostrare comprensione, persino empatia, per i comuni tedeschi di quei tempi.

Amira Hass è corrispondente di Haaretz per i territori occupati. Nata a Gerusalemme nel 1956, Amira Hass è entrata a far parte di Haaretz nel 1989, e ricopre la sua posizione attuale dal 1993. In qualità di corrispondente per i territori, ha vissuto tre anni a Gaza, esperienza che ha ispirato il suo acclamato libro”Bere il mare di Gaza”. Dal 1997 vive nella città di Ramallah in Cisgiordania. Amira Hass è anche autrice di altri due libri, entrambi i quali sono raccolte dei suoi articoli.

 

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org