L’articolo del “New York Times” sui cinghiali felici di Haifa è solo un altro modo per ignorare i crimini dei coloni

Una città con questo tipo di eredità traumatica e razzista non può essere veramente un centro di convivenza fino a quando non si confronterà con il passato.

Fonte: english version

Di Alice Rothchild – 11 aprile 2021

Foto di copertina: Un contadino palestinese del villaggio di Qaryut ispeziona i resti dei suoi ulivi il 9 ottobre 1012, dopo che sono stati sradicati durante la notte, vicino alla città di Nablus della Cisgiordania settentrionale, in un attacco attribuito ai vicini coloni israeliani. Foto di Nedal Eshtayah. Copyright APA images.

Il 9 aprile 2021 il New York Times ha pubblicato un articolo mezzo ironico e mezzo serio intitolato “Where Boars Hog the Streets” (Dove i Cinghiali Occupano le Strade) di Patrick Kingsley. Si apre con la foto di una mamma cinghiale che attraversa una strada di Haifa con otto piccoli e un autista in attesa che sorride. Questo non fa poi così sorridere.

Anche se i cinghiali possono pesare fino a 140 Kg, in questo articolo sono descritti come l’aver “creato scompiglio” (scompiglio è una parola che generalmente associo a bambini indisciplinati in un parco giochi). I cinghiali sono ritratti in una varietà di modi: da innocui come scoiattoli, fino a pericolosi parassiti che distruggono prati e rovistano nella spazzatura, ma le immagini sono tutte carine. L’autore cade presto in una opportuna propaganda politica, l’hashbara. “Haifa è una delle poche città israeliane in cui gli ebrei vivono a fianco di un numero significativo di cittadini palestinesi di Israele, che costituiscono circa il 10% della popolazione della città”. Cita Edna Gorney, poetessa, ecologa e docente all’Università di Haifa. “Vorrei che tutti in Israele imparassimo a vivere come vivono ad Haifa: è un esempio di convivenza, non solo tra arabi ed ebrei, ma anche tra esseri umani e fauna selvatica.”

 
Patrick Kingsley, capo dell’ufficio di Gerusalemme del New York Times.

Perché questo mi preoccupa così tanto? L’ultima volta che ho visto cinghiali in Israele / Palestina, i coloni ebrei li stavano liberando su terre agricole palestinesi dove hanno causato un’enorme quantità di distruzione ed erano praticamente impossibili da controllare. Nel villaggio di Burin, vicino a Nablus, durante una visita con la Palestinian Medical Relief Society (Società di Soccorso Medico Palestinese), gli abitanti del villaggio si sono lamentati dei vicini insediamenti ebraici che spesso bloccavano l’accesso ai villaggi locali, bruciavano le loro fattorie e ulivi e allevavano cinghiali che liberavano nelle fattorie palestinesi.

Appena fuori dal villaggio rurale di Deir Istiya, c’è una valle chiamata Wadi Qana, parte del granaio alimentare per il distretto di Salfit. I coloni israeliani confinanti hanno scaricato nella valle acque reflue contaminando l’acqua, cacciato le famiglie dalla regione, scavato bacini idrici che prosciugano le sorgenti naturali, abbattuto frutteti, sradicato alberi e liberato cinghiali nei campi palestinesi dove si nutrono della piccola vegetazione e degli ulivi più giovani piantati per riparare ai danni arrecati dai coloni.

Queste storie ovviamente non sono così carine o commoventi. Rapporti dalla regione risalenti al 2012 indicano che i cinghiali sono autoctoni della Palestina e che c’è stato un devastante incremento nella loro popolazione a causa della mancanza di predatori naturali e delle leggi che ne vietano la caccia. Ci sono danni crescenti ai raccolti palestinesi (e non agli insediamenti israeliani) a causa delle politiche e delle pratiche del governo israeliano. Ci sono stati anche numerosi articoli su Vice, The Palestine Information Center e Al Monitor che confermano come la storia dei coloni che liberano cinghiali non è solo una leggenda, ma un dato di fatto.

Poi arriviamo al mito che Haifa è un modello Kumbaya (spirituale) di coesistenza in una società israeliana frammentata. È certamente bello che ci sia una “rinascita araba liberale ad Haifa”, ma la situazione è molto più complessa dei palestinesi gay e tatuati che hanno la libertà di festeggiare in un bar di loro scelta. Jihad Jaburaya, un avvocato palestinese che vive ad Haifa, mi ha spiegato la travagliata storia di Haifa. Prima del 1948, 70.000 palestinesi vivevano in città ed era un importante centro commerciale, che attirava lavoratori da tutto il mondo arabo. Nella guerra del 1948, le milizie sioniste costrinsero gli abitanti a fuggire “spingendoli in mare”; molti fuggirono in Libano, lasciando 1.200 palestinesi a lottare all’interno dello Stato di Israele appena formato. Quando le proprietà palestinesi furono sequestrate, furono affidate a “società” governative israeliane che riscuotevano l’affitto dagli ex proprietari.

Gli israeliani dichiararono le case palestinesi vuote “proprietà assenti” e  ammassarono i restanti abitanti della città in un ghetto simile a una prigione chiamato Wadi Al Nasnas. Wadi Al Nasnas divenne il centro della vita culturale palestinese, inclusa la casa del poeta Mahmoud Darwish. I sequestri di proprietà includevano il wafq (Opera Pia) islamico che è presumibilmente protetto dalla legge islamica per le famiglie. Molti dei nomi delle strade furono cambiati in nomi di rabbini o di famosi combattenti sionisti e i nomi rimanenti erano in gran parte di collaborazionisti palestinesi.

Nel quartiere di El Hadar, abbiamo visto molte case arabe tradizionali in pietra. Jihad ha osservato che è contro il diritto internazionale vendere o ristrutturare proprietà di persone espulse e che l’affitto e il ricavato dalla vendita delle “Proprietà di Stato” appartiene di diritto al proprietario originale. Ha anche detto che per anni il governo israeliano ha ignorato il dilagante consumo di droghe ed è intervenuto solo quando ha iniziato a  interessare i cittadini ebrei.

La popolazione palestinese di Haifa (40.000 residenti nel 2017) è ora una città nella città. La maggior parte dei cittadini ebrei vive separatamente dai loro “vicini” palestinesi,   forzati dalla storia, dalla cultura, dall’economia e dalle politiche non scritte, inclusa la discriminazione. Le scuole sono segregate, sebbene ai bambini palestinesi venga insegnato il solito programma di studio sionista privo di storia palestinese. Quando Jihad ha acquistato una casa in una prestigiosa zona residenziale, ha detto che gli  furono chiesti 15.000 dollari in più che se fosse stato un ebreo israeliano e quando si trasferì nella lussuosa proprietà, gli fu detto che non poteva parlare con nessuno dei proprietari adiacenti fino a quando la proprietà non fosse stata interamente acquisita. Il suo arabo avrebbe abbassato il valore delle proprietà e avrebbe potenzialmente rovinato il quartiere.

Chiaramente una città con questo tipo di eredità traumatica e razzista non può essere veramente un centro di convivenza fino a quando non si confronterà con il passato, con l’intera storia e con tutto il suo dolore e distruzione e non ci sarà un impegno verso il riconoscimento e le riparazioni.

L’industria della propaganda Hasbara non vuole che parliamo di Haifa con questo tipo di valutazione onesta e chiara del passato o del presente. L’industria Hasbara inoltre non vuole che parliamo di coloni che liberano cinghiali nelle fattorie palestinesi, della risposta razzista del governo israeliano nei confronti dei suoi cittadini palestinesi quando si tratta di istruzione e vaccini COVID-19 e dell’abbandono di Gerusalemme Est, delle politiche di apartheid vaccinale verso i palestinesi che vivono sotto occupazione. Non vogliono che parliamo della crisi umanitaria sempre più grave a Gaza, dell’incriminazione di Netanyahu, della costante deriva estremista dell’opinione pubblica israeliana, degli attacchi israeliani alle navi iraniane nel Mar Rosso. L’elenco potrebbe continuare….

I cinghiali che mangiano fiori ad Haifa sono molto più divertenti.

Il New York Times dovrebbe vergognarsi.

 

Alice Rothchild è un medico, autrice e regista che ha concentrato il suo interesse per i diritti umani e la giustizia sociale sul conflitto Israele / Palestina dal 1997. Ha praticato ostetricia per quasi 40 anni. Fino al suo pensionamento ha servito come assistente professore di ostetricia e ginecologia all’Harvard Medical School. Scrive e tiene molte conferenze, è autrice di Broken Promises, Broken Dreams: Stories of Jewish and Palestinian Trauma (Promesse e Sogni Infranti: Storie di Ebrei e Palestinesi Traumatizzati), Resilience, On the Brink: Israel and Palestine on the Eve of the 2014 Gaza Invasion (Resilienza, Sull’orlo del Baratro: Israele e Palestina alla Vigilia dell’Invasione di Gaza del 2014) e Condition Critical: Life and Death in Israel / Palestina (Condizione Critica: Vivere e Morire in Israele e Palestina). Ha diretto un film documentario, Voices Across the Divide (Voci Attraverso la Divisione) ed è attiva in Jewish Voice for Peace (Voci Ebraiche per la Pace). Seguitela su @alicerothchild

 

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org