Un Premio disonorevole assegnato in un giorno che rappresenta l’ipocrisia

Restare in silenzio, ignorare i problemi e disinteressarsi sono l’equivalente di un supporto attivo.Poiché la società in Israele è estremista e nazionalista, la politica del governo è un’espressione dei suoi desideri e non li contraddice. Un premio stimato da questo popolo e dal suo governo è un premio disonorevole.

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Amira Hass – 13 aprile 2021

Foto di copertina: Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu, il Presidente Reuven Rivlin e il Giudice Capo della Corte Suprema Esther Hayut alla cerimonia di premiazione israeliana nel 2019. Credito: Amos Ben Gershom / GPO

Non c’è gloria nel ricevere un premio che il governo israeliano assegna agli israeliani i cui successi parlano da soli. Non c’è onore in un premio assegnato dal Ministro dell’Istruzione, un ex comandante dell’esercito che era parte nella politica di segregazione della Striscia di Gaza. Non c’è magnificenza in un premio ufficiale che viene dato in un giorno che rappresenta l’ipocrisia: quando si dice indipendenza e significa espulsione, decanta sulla libertà mentre si pianifica il prossimo furto di terra, elogia la nostra illuminazione e rafforza il dominio della supremazia razziale. Non si possono condannare scienziati, artisti e scrittori per aver bisogno di riconoscimento e stima da parte del pubblico. Ma si può dire che vale la pena prestare attenzione alla parte artefatta della cerimonia, all’ipocrisia e all’arroganza dei suoi organizzatori e alla finzione che qui tutto va bene e normale e come dovrebbe essere. E si può chiedere: non prestatevi a questa normalizzazione criminale.

Israele non è l’ultimo paese la cui festa nazionale si basa sulla continua persecuzione degli altri. Non è l’unico prodotto del colonialismo sionista e della mentalità di suprematismo razziale a cui ha dato origine. Non è l’unico paese in cui le disparità sociali ed economiche basate sulla separazione etnica e religiosa si perpetuano nonostante un’apparenza di democrazia.

Ma mentre una parte significativa della società civile in paesi come Francia, Germania, Nuova Zelanda e persino gli Stati Uniti è consapevole delle ingiustizie innate e primordiali che hanno fatto parte della nascita e dello sviluppo di questi Stati, e cerca di rimediare almeno ad alcune di esse, lo stesso non si può dire di Israele.

Al contrario: con il pretesto del “processo di pace”, Israele nega sempre più qualsiasi legame storico, emotivo, culturale o materiale dei palestinesi con la loro patria. Negli ultimi 30 anni, lo Stato Sionista ha dimostrato più e più volte la legittimità degli argomenti avanzati dai palestinesi dagli anni ’20 e ’30: Che il sionismo è un movimento colonialista e che espellere un popolo dalla sua terra è il suo scopo e il suo effetto conseguente.

Se la maggioranza dei cittadini israeliani fosse contraria alla politica del governo, si potrebbe dire che il premio non appartiene a Likud, Kahane Chai e alle organizzazioni di coloni estremiste Ad Kan, Regavim e Amana. Si potrebbe dire che il premio appartiene alle persone e che i matematici creativi e i registi che ritraggono accuratamente la realtà piena di contraddizioni sono rappresentanti di quel popolo e degni della sua stima. Ma non mentiamo a noi stessi. Quando si tratta della politica israeliana nei confronti dei palestinesi, su entrambi i lati della Linea Verde, la maggior parte degli israeliani la sostiene. Su questo non c’è differenza tra Kahol Lavan e Yamina, o tra i devoti del rapper di estrema destra The Shadow e la maggior parte dei manifestanti di Balfour.

Molti sono illuminati quando si tratta di diritti LGBT, o della consapevolezza della violenza contro le donne e la necessità di punire severamente gli autori. I principi dello Stato Sociale parlano ancora al cuore della maggior parte del popolo. Il riconoscimento della discriminazione sistematica contro gli israeliani di origine mediorientale e nordafricana è cresciuto notevolmente.

Ma questa illuminazione e questo progressismo hanno chiari confini geografici ed etnici. Medici, assistenti sociali e ricercatori non hanno chiesto in massa che i palestinesi a Gaza e in Cisgiordania fossero vaccinati contro il coronavirus. Avvocati, geografi, informatici e storici non si stanno mobilitando per fermare la violenta conquista delle terre della Cisgiordania da parte dell’Amministrazione Civile, dei consigli di insediamento e dei giovani violenti che presidiano gli avamposti sulle colline. Né si stanno unendo a progettisti e architetti per chiedere l’immediata restituzione della terra alle città e ai villaggi palestinesi sovraffollati in Israele (come Nazareth e Umm el Fahm). L’espulsione dei palestinesi a Gerusalemme dalle loro case e quartieri con il beneplacito legale, non ha spinto i rettori di Università e Istituti Superiori e gli studenti a scendere in piazza in segno di protesta. Restare in silenzio, ignorare i problemi e disinteressarsi sono l’equivalente di un supporto attivo.

Poiché la società in Israele è estremista e nazionalista, la politica del governo è un’espressione dei suoi desideri e non li contraddice. Un premio stimato da questo popolo e dal suo governo è un premio disonorevole.

 

Amira Hass è corrispondente di Haaretz per i territori occupati. Nata a Gerusalemme nel 1956, Amira Hass è entrata a far parte di Haaretz nel 1989, e ricopre la sua posizione attuale dal 1993. In qualità di corrispondente per i territori, ha vissuto tre anni a Gaza, esperienza che ha ispirato il suo acclamato libro “Bere il mare di Gaza”. Dal 1997 vive nella città di Ramallah in Cisgiordania. Amira Hass è anche autrice di altri due libri, entrambi i quali sono raccolte dei suoi articoli.

 

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org